Condanna del suprematismo bianco: così Biden "seppellisce" Trump
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Condanna del suprematismo bianco: così Biden "seppellisce" Trump

Il miliardario razzista quando era alla Casa Bianca aveva legittimato, almeno in parte, la loro fanatica ideologia suprematista. Ora basta

Suprematisti bianchi in America
Suprematisti bianchi in America
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Giugno 2021 - 15.22


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Il suo predecessore li aveva “sdoganati”. Di più. Aveva legittimato, almeno in arte, la loro fanatica ideologia suprematista. Quando non ha potuto farne a meno, ha parlato di “violenza inaccettabile”, di “mele marce”, ma mai di terrorismo organizzato. Per questo Donald Trump è diventato l’eore del white power americano. Ora, per fortuna, alla Casa Bianca è insediato un uomo che guarda in faccia la realtà e che chiama le cose come stanno. Terrorismo bianco “Oggi la minaccia più letale per il Paese è il suprematismo bianco. Non il terrorismo, non al -Qaeda: i suprematisti bianchi sono oggi la principale minaccia”. Così il presidente Usa Joe Biden parlando a Tulsa in occasione della commemorazione a 100 anni del massacro di circa 300 cittadini afroamericani. Biden ha sottolineato l’agghiacciante tentativo di rimozione di questa tragedia: “Il fatto che siamo rimasti in silenzio non vuol dire che non sia mai accaduto”. Il presidente ha denunciato anche gli attacchi contro il diritto di voto degli afroamericani.  “Cento anni fa, una violenta folla di suprematisti bianchi ha fatto irruzione, bombardato e distrutto circa 35 isolati del fiorente quartiere nero di Greenwood a Tulsa, in Oklahoma. Famiglie e bambini sono stati assassinati a sangue freddo. Case, aziende e chiese sono state bruciate. In tutto, fino a 300 neri americani sono stati uccisi e quasi 10.000 sono rimasti indigenti e senza casa”, ha ricordato Biden. La presidenza di Biden, nata proprio sotto il segno della ribellione all’ingiustizia del suprematismo bianco, non poteva mancare all’appuntamento della commemorazione di una dei momenti più bui della storia statunitense. Viola Fletcher, una sopravvissuta di 107 anni al massacro, ha recentemente testimoniato davanti al Congresso: “Non dimenticherò mai – ha detto Fletcher secondo il presidente americano – la violenza della folla bianca quando abbiamo lasciato la nostra casa. Vedo ancora uomini neri che vengono fucilati, corpi neri che giacciono per strada. Sento ancora odore di fumo e vedo fuoco. Vedo ancora che le fabbriche dei neri vengono bruciate. Sento ancora gli aeroplani che volano in alto. Sento le urla. Ho vissuto il massacro ogni giorno. Il nostro Paese può dimenticare questa storia, ma io no”. Biden ha promesso di non dimenticare, ha indetto un “Giorno della memoria” per i 100 anni dal massacro di Tulsa e annunciato sette misure per ridurre il gap economico razziale negli Stati Uniti: da investimenti nell’edilizia nei quartieri più poveri al sostegno finanziario per scuole e piccole attività guidate da minoranze. Biden ha poi promesso di affrontare il tema della discriminazione razziale nei posti di lavoro e nell’assegnazione delle case. Lotta al white power Neanche un mese dopo il suo insediamento ufficiale alla Casa Bianca, Biden aveva detto quello che in quattro anni di presidenza, Trump non aveva mai affermato: il terrorismo interno è la “più grande minaccia” in America e i suprematisti bianchi sono le “persone più pericolose”. Di conseguenza, il presidente ha promesso di concentrare il suo Dipartimento di Giustizia sul contrasto al “white power” suprematista e terrorista. supremazia bianca. Biden, a Milwaukee martedì alla sua prima uscita da presidente, ha risposto a una domanda di Joel Berkowitz, un professore dell’Università del Wisconsin-Milwaukee, su ciò che Berkowitz ha definito la “minaccia in corso” dei suprematisti bianchi sulla scia del raid del 6 gennaio al Campidoglio. “Ho scelto di entrare in politica per la causa dei diritti civili e in opposizione ai suprematisti bianchi. Il Ku Klux Klan, e le persone più pericolose in America continuano ad esistere”, ha detto Biden all’evento sponsorizzato dalla Cnn, che è stato ospitato da Anderson Cooper. “Questa è la più grande minaccia al terrore in America, il terrore interno. E quindi mi assicurerei che il mio Dipartimento di Giustizia e la divisione per i diritti civili si concentrino pesantemente proprio su queste persone, e mi assicurerei che, di fatto, ci concentriamo su come affrontare l’ascesa della supremazia bianca”. Quella commistione da spezzare Biden ha evidenziato, con preoccupazione, l’esistenza di un numero considerevole di poliziotti e militari che si uniscono a gruppi suprematisti bianchi. L’amministrazione Trump ha minimizzato la minaccia del terrorismo di destra, e Biden ha attaccato Donald Trump per quello che ha dipinto come l’incoraggiamento del suo predecessore ai gruppi di estrema destra. “Forse ricorderete che in uno dei miei dibattiti con l’ex presidente, gli ho chiesto di condannare i Proud Boys e non ha voluto farlo”, ha detto Biden. “Ha detto ‘Stand by’, stai pronto, o qualunque fosse la frase esatta”. Trump aveva detto ai Proud Boys di ‘stare indietro e tenersi pronti’. Il 27 gennaio, commemorando la Giornata della memoria, il nuovo inquilino della Casa Bianca   aveva ricordato tutte “le vittime, gli eroi e le lezioni dell’Olocausto sia particolarmente importante oggi, quando coloro che lo negano e minimizzano diventano sempre più rumorosi nei nostri discorsi pubblici”. E rievocando “gli orrori visti e sentiti a Charlottesville nel 2017, con i nazionalisti bianchi e i neonazisti che vomitavano la stessa bile antisemitica sentita negli anni ’30 in Europa”. Scrive Moisés Naím, in un articolo ripreso da Repubblica: “Susan Bro incarna il dilemma che potrebbe diventare l’elemento caratterizzante dell’amministrazione Biden: può esserci pace sociale senza giustizia? Susan Bro è la madre di Heather Heyer, assassinata nel 2017, a 32 anni, a Charlottesville, capitale della Virginia, da James Alex Fields, militante di estrema destra. Fields investì deliberatamente con la sua auto un gruppo di persone che protestavano pacificamente contro la marcia di neonazisti e suprematisti bianchi arrivati a Charlottesville da tutto il Paese. Come noto, commentando questi tragici eventi, il presidente Trump sottolineò che c’erano persone per bene da entrambe le parti. Biden ha detto che i fatti di Charlottesville furono decisivi per indurlo a candidarsi alla Casa Bianca.
Il timore di Susan Bro è che per cercare l’unità Joe Biden sia pronto a sacrificare la giustizia. ‘Per sanare le ferite di azioni come quelle è necessario che chi le ha commesse sia chiamato a risponderne e condannato. Non può esserci unità senza giustizia, ha dichiarato lei al New York Times. Biden propone un’altra ottica: ‘Possiamo unire le forze, smetterla di gridare e abbassare la temperatura dello scontro. Senza unità non può esserci pace, solo rabbia e risentimento’”, annota Naím. Certo, il messaggio che nel giorno del giuramento, il 46mo presidente degli Stati Uniti ha indirizzato agli americani è stato “America United”, ma questo non significa scendere a compromessi su quelli che sono i pilastri di un sistema democratico. E la lotta al suprematismo bianco per Biden è materia non negoziabile. L’endorsement degli incappucciati Un passo indietro nel tempo. Undici novembre 2016. All’indomani dell’elezione di Trump come nuovo presidente degli Usa, il Ku Klux Klan, in una nota ufficiale sul proprio sito, comunica l’intenzione di organizzare un corteo per la vittoria del magnate in North Carolina per il 3 dicembre (2016). Il Ku Klux Klan aveva mandato un messaggio di congratulazioni con il suo ex leader David Duke in cui si affermava che “il clan ha avuto un ruolo enorme nell’elezione di Trump Sul sito in cui viene dato l’annuncio, l’organizzazione esprime la grande gioia per l’esito delle elezioni: sotto l’immagine del nuovo presidente eletto, compare infatti la scritta ‘Trump’s race united my people’, dove ‘race’ può essere inteso sia per corsa che per razza.  Nel sito compare anche un lungo appello scritto in prima persona: “Lasciatemi cominciare parlando della falsità circolante sui media che siamo un gruppo di odio. Lasciatemi dire che nulla è più lontano dalla realtà. Non odiamo nessuno. Tuttavia odiamo alcune cose che certi gruppi stanno facendo alla nostra razza e alla nostra nazione. Odiamo le droghe, l’omosessualità, l’aborto e la mescolanza di razze perché queste cose sono contro le leggi di Dio e stanno distruggendo tutte le nazioni bianche”. Trump aveva ricevuto l’appoggio ufficiale del Ku Klux Klan. L’endorsement era arrivato con un editoriale su The Crusader, la rivista dell’organizzazione suprematista bianca, dal titolo ‘Make America Great Again’ — ovvero lo slogan della campagna del repubblicano. Thomas Robb, direttore nazionale del Ku Klux Klan, sostiene che “questo slogan piace alla gente che si sta rendendo conto come in America sia successo qualcosa di male.” “Non so quante persone siano favorevoli a questo slogan, ma evidentemente ce ne sono state abbastanza per far sì che Trump vincesse le primarie repubblicane.” Non è la prima volta che esponenti del KKK si dicono vicini alle idee di Trump. Il team del tycoon aveva già dovuto prendere le distanze dalle parole di supporto pronunciate dal su citato da David Duke, l’ex leader supremo dell’organizzazione. A Robb, però, questo non sembra interessare. “Non ci importa; [Trump] può anche condannarci tutto il giorno,” ha detto Robb a VIce News. “Noi siamo concentrati sul messaggio.” Un messaggio che, a detta di Robb, si riferisce “alla salvaguardia dell’identità bianca.” “Siamo preoccupati per il genocidio dei bianchi, per i bianchi che stanno diventando una minoranza,” ha aggiunto il direttore del KKK. “I bianchi hanno il diritto di amare la propria storia e la propria cultura.” Robb spiega di aver votato per candidati repubblicani in passato, ma che nessuno di loro è mai stato “così nazionalista” come Trump. “Non è un suprematista bianco,” aggiunge Robb. “Non lavora per i bianchi, ma credo che la sua linea politica crei un terreno fertile affinché tutti – compresi i bianchi – possano sposare la propria identità”. Allarme “bianco” “Tre fra le più autorevoli testate internazionali sfornano copertine d’autore eloquenti – annota su Artribune Helga Marsala – Quella che sta girando di più in Rete l’ha commissionata il New Yorker a David Plunkert, talentuosissimo artista e graphic designer, noto per i suoi raffinati lavori in cui si mixano pop-surrealismo, underground, dadaismo, composizioni visionarie, gusto vintage. Un mago del collage, specializzato in poster e illustrazioni per i giornali. Qui Plunkert raffigura l’inquilino della Casa Bianca a bordo di una barchetta, mentre spera di sospingerla col suo alito di vigoroso maschio bianco. E la vela su cui soffia non è altro che il famoso cappuccio bianco indossato dagli adepti del Ku Klux Klan. Ha spiegato Plunkert su Twitter: ‘La debole condanna del presidente Trump verso quei gruppi di odio – quasi stesse cercando di non perderli come elettori – mi ha costretto a prendere in mano la penna’. Il target di riferimento resta in effetti strategico per uno che, dall’orrida congrega di razzisti, aveva ricevuto entusiastici endorsement in campagna elettorale. Copertina eloquente anche per l’Economist, che su un fondo rosso lacca disegna un Donald di profilo, intento ad arringare le folle con un megafono, sempre a forma del mitologico cappuccio. La firma l’illustratore John Berkeley. Il Time, invece, sceglie di adagiare la bandiera americana sul braccio teso di un nazista. Titolo: Hate in America. Quando l’odio razziale diventa il cuore del dibattito statunitense e le istituzioni prestano il fianco, omettono, lanciano messaggi ambigui. Qualcosa vacilla”. Scrive Guido Caldiron nel suo libro Wasp. L’America razzista dal Ku Klux Klan a Donald Trump (Fandango Editore) : “L’endorsement più significativo, e sinistro, sarebbe arrivato da David Duke, già Gran Dragone dei Knights of the Ku Klux Klan alla fine degli anni Settanta e in seguito divenuto una delle figure chiave del circuito negazionista e neonazista internazionale. ‘Trump ha capito che l’immigrazione rappresenta una minaccia esistenziale per il nostro popolo. Questo paese ha bisogno di sorvegliare le frontiere per difendere il proprio retaggio e garantire la sopravvivenza degli americani bianchi’, spiegherà l’ex klansman già nell’agosto del 2015. ‘Grazie alla campagna di Trump, questi temi vengono oggi presentati in modo giusto a tutto il paese e ciò rappresenta un’ottima chance anche per noi’.
In seguito lo stesso Duke, che dopo tre anni di mandato come parlamentare locale, nel 1991 si candidò senza successo, nelle fila repubblicane, alla carica di governatore della Louisiana, avrebbe annunciato la sua volontà di tornare a misurarsi con la corsa per un seggio a Capitol Hill, galvanizzato proprio dalla discesa in campo del miliardario. ‘Ho detto da tempo tutto quello che dice Trump e anche di più. Lui si candida oggi sull’onda di una tendenza che ho contribuito ad alimentare per 25 anni’, dirà Duke annunciando la sua nuova corsa nello Stato del profondo Sud. Da notare come la reazione del candidato repubblicano a questo imbarazzante sostegno sarebbe arrivata solo a distanza di settimane e nella forma di una sconfessione da molto giudicata troppo blanda: Trump definirà Duke come una ‘bad person’, da cui ‘ho già preso le distanze in varie occasioni nel corso degli anni’”. Spiega Derek Black, trentenne figlio di un Gran Dragone del KKK, già star radiofonica di Stormfront e oggi ricercatore “convertito”. Parlando con Npr (National Public Radio) dei toni di certi gruppi e di alcuni oratori alla convention repubblicana di agosto, Black sostiene: ‘La parola “bianco” non compare mai in nessuno dei loro discorsi. Mi viene in mente il mio padrino David Duke che alla fine degli anni Ottanta è riuscito a farsi eleggere nell’Assemblea della Louisiana. Non ha mai usato epiteti razzisti. Non ha mai attaccato gruppi. Ha sempre usato il linguaggio delle vittime: la maggioranza silenziosa. Le vere vittime sono persone come te e me, che si battono contro le forze del politicamente corretto, contro le forze della discriminazione. La vera discriminazione è contro le persone che ci assomigliano ‒ e non si arriva mai a dire che le vittime sono i bianchi, perché bisogna sempre evitare di essere chiamati razzisti”. Questo è il senso di “giustizia” degli incappucciati bianchi. E del loro “eroe”: Donald Trump. Che tale rimane anche dopo la sua dipartita dalla Casa Bianca. The Donald resta in campo E con lui gli “incappucciati” bianchi.

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