Lotta ai suprematisti bianchi del "white power" e apertura all'Iran: Biden fa sul serio
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Lotta ai suprematisti bianchi del "white power" e apertura all'Iran: Biden fa sul serio

Un mese dopo il suo arrivo alla Casa Bianca, Biden dice quello che in quattro anni di presidenza, Trump non aveva mai affermato: il terrorismo interno  è la "più grande minaccia" in America.

Nazisti e suprematisti bianchi negli Stati Uniti
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

19 Febbraio 2021 - 14.39


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Dalla lotta al terrorismo suprematista all’apertura all’Iran. Joe Biden fa sul serio. Sul fronte interno come su quello internazionale.

Lotta al white power

Neanche un mese dopo il suo insediamento ufficiale alla Casa Bianca, Biden dice quello che in quattro anni di presidenza, Trump non aveva mai affermato: il terrorismo interno  è la “più grande minaccia” in America e i suprematisti bianchi sono le “persone più pericolose”. Di conseguenza, il presidente ha promesso di concentrare il suo Dipartimento di Giustizia sul contrasto al “white power” suprematista e terrorista. supremazia bianca.

Biden, a Milwaukee martedì alla sua prima uscita da presidente, ha risposto a una domanda di Joel Berkowitz, un professore dell’Università del Wisconsin-Milwaukee, su ciò che Berkowitz ha definito la “minaccia in corso” dei suprematisti bianchi sulla scia del raid del 6 gennaio al Campidoglio.

“Ho scelto di entrare in politica per la causa dei diritti civili e in opposizione ai suprematisti bianchi. Il Ku Klux Klan, e le persone più pericolose in America continuano ad esistere”, ha detto Biden all’evento sponsorizzato dalla Cnn, che è stato ospitato da Anderson Cooper. “Questa è la più grande minaccia al terrore in America, il terrore interno. E quindi mi assicurerei che il mio Dipartimento di Giustizia e la divisione per i diritti civili si concentrino pesantemente proprio su queste persone, e mi assicurerei che, di fatto, ci concentriamo su come affrontare l’ascesa della supremazia bianca”. 

Quella commistione da spezzare

Biden ha evidenziato, con preocupazione, l’esistenza di un numero considerevole di poliziotti e militari che si uniscono a gruppi suprematisti bianchi. L’amministrazione Trump ha minimizzato la minaccia del terrorismo di destra, e Biden ha attaccato Donald Trump per quello che ha dipinto come l’incoraggiamento del suo predecessore ai gruppi di estrema destra.

“Forse ricorderete che in uno dei miei dibattiti con l’ex presidente, gli ho chiesto di condannare i Proud Boys e non ha voluto farlo”, ha detto Biden. “Ha detto ‘Stand by’, stai pronto, o qualunque fosse la frase esatta”. Trump aveva detto ai Proud Boys di ‘stare indietro e tenersi pronti’.

Il 27 gennaio, commemorando la Giornata della memoria, il nuovo inquilino della Casa Bianca   aveva ricordato tutte “le vittime, gli eroi e le lezioni dell’Olocausto sia particolarmente importante oggi, quando coloro che lo negano e minimizzano diventano sempre più rumorosi nei nostri discorsi pubblici”. E rievocando “gli orrori visti e sentiti a Charlottesville nel 2017, con i nazionalisti bianchi e i neonazisti che vomitavano la stessa bile antisemitica sentita negli anni ’30 in Europa”.

Scrive Moisés Naím, in un articolo ripreso da Repubblica: “Susan Bro incarna il dilemma che potrebbe diventare l’elemento caratterizzante dell’amministrazione Biden: può esserci pace sociale senza giustizia? Susan Bro è la madre di Heather Heyer, assassinata nel 2017, a 32 anni, a Charlottesville, capitale della Virginia, da James Alex Fields, militante di estrema destra. Fields investì deliberatamente con la sua auto un gruppo di persone che protestavano pacificamente contro la marcia di neonazisti e suprematisti bianchi arrivati a Charlottesville da tutto il Paese. Come noto, commentando questi tragici eventi, il presidente Trump sottolineò che c’erano persone per bene da entrambe le parti. Biden ha detto che i fatti di Charlottesville furono decisivi per indurlo a candidarsi alla Casa Bianca.
Il timore di Susan Bro è che per cercare l’unità Joe Biden sia pronto a sacrificare la giustizia. ‘Per sanare le ferite di azioni come quelle è necessario che chi le ha commesse sia chiamato a risponderne e condannato. Non può esserci unità senza giustizia, ha dichiarato lei al New York Times. Biden propone un’altra ottica: ‘Possiamo unire le forze, smetterla di gridare e abbassare la temperatura dello scontro. Senza unità non può esserci pace, solo rabbia e risentimento’”, annota Naím.

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Certo, il messaggio che nel giorno del giuramento, il 46mo presidente degli Stati Uniti ha indirizzato agli americani è stato “America United”, ma questo non significa scendere a compromessi su quelli che sono i pilastri di un sistema democratico. E la lotta al suprematismo bianco per Biden è materia non negoziabile.

La svolta sull’Iran

Dalla politica interna a quella internazionale.  Si profila una svolta nei rapporti fra Stati Uniti e Iran: il Dipartimento di Stato si è detto pronto ad accettare l’invito dell’Unione Europea di sedersi intorno a un tavolo per discutere del nucleare iraniano e provare a salvare l’accordo del 2015.    “Gli Stati Uniti – ha detto Ned Price, portavoce del Dipartimento di Stato – accettano l’invito dell’Alto rappresentante dell’Unione europea a partecipare a una riunione del Gruppo 5+1 e dell’Iran per discutere una via diplomatica sul programma nucleare iraniano”.    I G5 (Gran Bretagna, Cina, Francia, Russia e Stati Uniti più’ la Germania) hanno siglato l’accordo del 2015, mediato dall’allora presidente Barack Obama, in base al quale l’Iran ha ridotto il suo programma nucleare in cambio di promesse di aiuti economici. L’ex presidente Trump si è ritirato dall’accordo nel 2018 e ha imposto dure sanzioni all’Iran. Resta ora da vedere se l’Iran sarà, a sua volta, disposto a sedersi con gli Stati Uniti.    Un alto funzionario dell’amministrazione americana ha detto che Biden sta mostrando buona fede e vede un incontro come l’inizio di un “percorso prolungato” per ripristinare l’accordo sul nucleare. Se l’Iran rifiuta di incontrarci, ha detto, “penso che sarebbe in contrasto con quanto dichiarato finora da Teheran”. Ma le mosse di Biden non si fermano qui. Come segno di distensione, gli Usa hanno annullato due passi simbolici della precedente amministrazione. Innanzitutto, in una lettera alle Nazioni Unite, gli Stati Uniti hanno ritirato la controversa affermazione dell’ex presidente Trump, secondo il quale lo scorso settembre l’Onu aveva ripristinato tutte le sanzioni sull’Iran.    Inoltre, l’amministrazione Biden ha annunciato di aver allentato le rigorose restrizioni imposte da Trump sui movimenti dei diplomatici iraniani accreditati presso le Nazioni Unite, con sede a New York. “La nostra idea – ha detto un funzionario del Dipartimento di Stato ai giornalisti – è di prendere provvedimenti per rimuovere inutili ostacoli alla diplomazia multilaterale, modificando le restrizioni sui viaggi interni che sono stati estremamente restrittivi”.     Il Dipartimento di Stato, nell’annunciare l’abolizione delle restrizioni decise da Trump nel 2019, ha comunque precisato che nei confronti dei diplomatici iraniani presso la sede Onu di New York restano in vigore le stesse restrizioni applicate ai diplomatici delle Nazioni che hanno cattive relazioni con gli Stati Uniti, come quelli della Corea del Nord, che hanno bisogno di autorizzazione per andare oltre un raggio di 40 chilometri da Midtown Manhattan.    E’ intanto in programma una visita in Iran del capo dell’Aiea, Rafael Grossi, che sabato si recherà a Teheran per colloqui con le autorità iraniane sul tema del nucleare. 

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Lo “sputo”di Netanyahu

Che Benjamin Netanyahu desiderasse ardentemente la rielezione del suo grande amico e sodale Donald Trump è cosa risaputa. Ma che reagisse con uno “sputo” politico all’elezione di Biden, questa è una notizia. Che Globalist rilancia con lo scritto di Alon Pinkas, storica firma di Haaretz: “Per 28 giorni Benjamin Netanyahu ha aspettato con ansia una chiamata dal suo ‘amico intimo da 30 anni’ il presidente americano Joe Biden. Quando la chiamata è finalmente arrivata mercoledì sera, Netanyahu era giubilante. È stata ‘molto calda e amichevole ed è continuata per circa un’ora, ha affermato in una dichiarazione. Ha poi proceduto a ringraziare Biden in un modo tipicamente Netanyahu-esque: ha fatto l’elogio di Rush Limbaugh. Niente ha più senso nel mondo del primo ministro. ‘Era un grande amico di Israele ed è stato al nostro fianco nella buona e nella cattiva sorte. … Ci mancherà molto’, ha twittato Netanyahu sul suo amato amico, il provocatore conservatore che è vituperato, detestato e aborrito dal 99% degli elettori di Biden, compreso il 75% degli ebrei americani. È assolutamente bello e lodevole fare l’elogio di un amico. È grazioso sottolineare i suoi attributi positivi e ignorare le controversie. Questo è naturale. Per farlo, si invia una lettera personale alla famiglia in lutto. Invece, Netanyahu ha scelto di segnalare agli estimatori di Limbaugh, tutti parte della base di Donald Trump: ‘Sono con voi’. Ha scelto di deridere Biden – che ha rubato le elezioni, secondo Limbaugh – e di offendere i democratici. Dalla fine degli anni ’80, quando il suo talk show radiofonico è andato in onda per la prima volta, Limbaugh ha dato un contributo pervasivo all’inquinamento del discorso politico americano. Ha corrotto il Partito Repubblicano fertilizzando, coltivando e alimentando una cultura di cospirazioni, disinformazione, razzismo, odio, xenofobia e paura che si è riversata costantemente nella base degli elettori del GOP. In larga misura, era il presagio di Trump e l’avanguardia del Trumpismo. Il New York Times ha intitolato una delle sue storie sul passaggio di Limbaugh ‘Eredità di veleno: Mentre Trump si alzava, ‘Tutto suonava familiare’. L’uso da parte di Limbaugh di insulti indiscriminati, di un linguaggio dispregiativo e degradante, di insulti razziali (‘Barack il negro magico’), di insulti misogini (‘Il femminismo è stato istituito per permettere alle donne poco attraenti di accedere alla corrente principale della società’) e di capricci omofobi sono stati un preambolo al lessico di Trump adottato da molti elettori repubblicani. Limbaugh è diventato un megafono nazionale per uomini bianchi arrabbiati, abbattuti, rifiutati e ansiosi, tutti prontamente disposti a sottoscrivere teorie del complotto, bugie, falsità e fatti alternativi. Questa è la cultura politica a cui il signor Netanyahu si è affiliato; queste sono le persone che lui sostiene essere i suoi alleati in America. Sembra che ‘l’alleanza indissolubile e i valori condivisi’ in cui Netanyahu crede non sia con Joe Biden, Antony Blinken, Chuck Schumer, Cory Booker, Nancy Pelosi, Adam Schiff, o Jerry Nadler, ma con Rush Limbaugh. Molto è stato scritto – e molto altro merita di essere studiato – sull’erosione del bipartitismo durante gli anni di Netanyahu, e la sua decisione deliberata e consapevole di allinearsi con il GOP, certamente dopo le elezioni presidenziali americane del 2012. Le relazioni di Israele con gli Stati Uniti sono una questione di sicurezza nazionale, che supera di gran lunga i confini convenzionali delle relazioni estere e della politica estera. All’interno di questa struttura di relazioni, il concetto di bipartitismo è un pilastro centrale.

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Bipartitismo – rimarca ancora Pinkas – non significa che entrambi i partiti politici statunitensi abbiano necessariamente una politica o sentimenti identici verso Israele o una particolare politica che coinvolga Israele. I partiti repubblicano e democratico sono composti da due coalizioni elettorali diverse e sempre più estranee. Ciò che il bipartitismo significa è che Israele non era e non dovrebbe mai diventare una questione di cuneo nella politica americana. La maggior parte dell’onere per assicurare che questo non accada ricade su Israele. Centinaia di diplomatici, leader politici, ufficiali della difesa e vertici militari in Israele, insieme a migliaia di devoti ebrei americani, hanno fatto per decenni sforzi straordinari per evitare che Israele diventasse una questione di parte nella politica statunitense.

Israele ha mantenuto buone relazioni con le amministrazioni repubblicane e democratiche e le leadership del Congresso. Quando si sono verificati disaccordi, attriti e scontri, essi ruotavano intorno alla sostanza e alla politica – e a volte su scontri di personalità – ma non erano mai dovuti a una preferenza politica o a una scelta di Israele tra i due partiti.

Finché non è arrivato il signor Netanyahu. Ha gradualmente sostituito gli ebrei americani liberali e centristi con i cristiani evangelici; ha fatto di Limbaugh e Sean Hannity il suo go-to dei media americani; si è schierato con lo speaker della Camera Newt Gingrich contro il presidente Bill Clinton alla fine degli anni ’90; ha affrontato il presidente Barack Obama costantemente dal 2009; ha essenzialmente appoggiato Mitt Romney nel 2012; è andato dietro le spalle di Obama e Biden nel 2015 per parlare al Congresso contro l’accordo nucleare dell’Iran; e poi ha forgiato una bella bromance con Donald Trump.

Ci sono cambiamenti demografici, generazionali e culturali nella società americana che si esprimono politicamente e già sforzano il sostegno bipartisan a Israele. Ci sono politiche che Israele adotta, o non adotta, che si manifestano nel modo in cui è percepito da entrambi i lati della tossica divisione rosso/blu negli Stati Uniti.

Con un democratico – che non l’ha chiamata in 28 giorni – alla Casa Bianca e il controllo democratico sia del Senato che della Camera dei Rappresentanti, ci si aspetterebbe che un primo ministro esperto, versato nella politica statunitense, mostrasse buon senso e umiltà.

Invece, ha elogiato pubblicamente Rush Limbaugh.

Il titolo dell’analisi di Alon Pinkas nell’edizione in lingua inglese di Haaretz è: A Day After Biden Finally Called Him, Netanyahu Decided to Spit in Democrats’ Faces ( Il  giorno dopo che Biden lo ha finalmente chiamato, Netanyahu ha deciso di sputare in faccia ai democratici). 

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