L’odissea dei profughi siriani e palestinesi
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L’odissea dei profughi siriani e palestinesi

La denuncia di Amnesty: arrestati e detenuti a tempo indeterminato dalle autorità egiziane. Dal 3 luglio giro di vite: Il Cairo li considera sostenitori di Morsi.

L’odissea dei profughi siriani e palestinesi
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18 Ottobre 2013 - 12.14


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di Giorgia Grifoni

Ripescati in mare e lasciati marcire nelle stazioni di polizia per settimane. Stipati in minuscole, malsane celle senza cibo, assistenza medica, tutela legale e senza latte né pannolini per i più piccoli. E poi rimandati a casa, spesso nell’inferno della guerra. È il destino che attende centinaia di profughi siriani in Egitto e che Amnesty International ha denunciato con un rapporto diffuso ieri.

La scorsa settimana una delegazione dell’organizzazione per i diritti umani ha trovato 40 siriani incarcerati illegalmente e a tempo indeterminato in un posto di polizia di Alessandria. C’erano anche 10 bambini, tra cui due gemelli di un anno trattenuti lì dal 17 settembre. E un bambino di 9 anni arrestato su un barcone in partenza per l’Europa assieme a un amico di famiglia, al quale è stato negato di vedere la mamma per quattro giorni.

I numeri forniti da Amnesty e dall’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) svelano un quadro allarmante, aggravatosi con il colpo di Stato militare del 3 luglio scorso che ha deposto il presidente egiziano Mohammad Morsi: dal mese di agosto, la Marina egiziana ha intercettato 13 barconi diretti verso l’Europa a largo delle sue coste. Secondo i dati dell’UNHCR, 946 persone sono state arrestate durante la traversata e 724 – tra cui anche donne e bambini – rimangono detenute dalle forze di sicurezza.

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Secondo il rapporto, i prigionieri possono scegliere: essere deportati in un altro Paese oppure rimanere in cella a tempo indeterminato e senza alcun tipo di tutela. Nella maggior parte dei casi, infatti, i profughi siriani vengono tenuti in stato di arresto dalla Sicurezza nazionale egiziana nonostante il giudice ne abbia ordinato il rilascio. A nessun avvocato è permesso di assistere i rifugiati sparsi nelle prigioni della costa egiziana, e l’UNHCR non si può nemmeno avvicinare.

Chi sceglie la deportazione viene spedito in Libano, Giordania, Turchia, ma in alcuni casi anche in Siria. Alcuni avvocati hanno riferito ad Amnesty che in almeno due istanze i profughi sono stati rispediti tutti a Damasco. Un gruppo di 36 rifugiati palestinesi della Siria è stato deportato il 4 ottobre scorso: all’arrivo, secondo Amnesty, molti di loro sarebbero stati arrestati dalla sezione palestinese dell’intelligence militare siriana a Damasco.

“Invece di offrire aiuto vitale e sostegno ai profughi provenienti dalla Siria – ha dichiarato Sherif Alsayed Ali, responsabile Amnesty di rifugiati e diritti dei migranti – le autorità egiziane stanno arrestando, deportando e violando gli standard dei diritti umani. La maggior parte dei rifugiati ha perso la casa e i mezzi di sostentamento. Non riuscire ad aiutarli e a proteggerli è una macchia sulla reputazione dell’Egitto e potrebbe seriamente danneggiare la sua immagine come attore chiave nella regione”.

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Pronta la difesa egiziana: “Il rapporto è impreciso – ha detto il portavoce del ministro degli Esteri Badr Abdel-Attai nella conferenza stampa di ieri – Non esiste una politica ufficiale sulla deportazione forzata dei nostri fratelli siriani. La maggior parte di loro vive in pace e non ci sono campi di rifugiati nel Paese”. Eppure in molti notano l’ondata di xenofobia nei confronti di siriani e palestinesi, che si è manifestata negli ultimi mesi soprattutto sui media. Entrambi i gruppi di rifugiati, infatti, sono stati accusati dalle autorità egiziane di essere sostenitori dei Fratelli Musulmani e di essere complici delle violenze che hanno devastato il Paese dopo il colpo di Stato del 3 luglio.

Come ha ammesso Abdel-Attai, infatti, alcuni siriani sono stati rispediti a casa per aver partecipato alle “proteste armate e agli scontri violenti” degli ultimi mesi. Un’ulteriore misura contro l’ingresso di siriani e palestinesi è stata l’introduzione della richiesta di visto di ingresso nel Paese e di “accertamenti di sicurezza”. La tempistica non è certo casuale. Ma le autorità egiziane parlano di “ragioni di sicurezza” e Abdel-Attai promette che “non appena la situazione di sicurezza migliorerà, tali procedure saranno riesaminate per alleviare le sofferenze dei rifugiati siriani. Potranno ottenere un visto d’ingresso libero rilasciato dalle ambasciate egiziane all’estero”.

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