L'Italia crolla, per fortuna c'è Lupi che tifa Tav
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L'Italia crolla, per fortuna c'è Lupi che tifa Tav

Ci si domanda da quale mondo parallelo escano le sgangherate parole del partitocrate Maurizio Lupi, oggi ministro, secondo cui l'inutile Tav Torino-Lione si deve fare.

L'Italia crolla, per fortuna c'è Lupi che tifa Tav
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27 Maggio 2013 - 01.32


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di Giorgio Cattaneo

Ci si domanda da quale assurdo mondo parallelo escano le sgangherate parole del partitocrate Maurizio Lupi, oggi ministro, secondo cui la mostruosa e inutile linea Tav Torino-Lione si deve fare, punto e basta, in quanto opera di valore strategico. Trent’anni fa, le onnipotenti élite planetarie in piena globalizzazione modellavano le prime fantasie ferroviarie in chiave post-sovietica, manovrando alla bisogna la servile tecnocrazia europea. A quei tempi era normale ascoltare amenità persino divertenti sul futuro dei trasporti, puro trionfalismo avveniristico di khrusceviana memoria.
Molti entusiasti camerieri locali, politici di professione con amici cementieri, all’epoca finirono dietro le sbarre. Ma i loro successori non persero il vizio: certe superstizioni fanta-ferroviarie erano dure a morire. Una in particolare, la Torino-Lione, divenne col passare degli anni una specie di leggenda: il treno superveloce per passeggeri che avrebbe sostituito l’aereo. Il mito resistette persino all’avvento – quello sì rivoluzionario – dei voli low cost: per tenere in vita la bufala della Torino-Lione bastò convertire il progetto, da passeggeri a merci.

Anche se tutti sanno che le merci viaggeranno ad alta velocità solo il giorno in cui anche gli asini potranno finalmente volare, la Torino-Lione non teme il ridicolo. E oggi sembra ormai diventata un cancro pericoloso, un tumore maligno nel corpo stremato dell’Italia agonizzante.
Nessun giuramento di Ippocrate a tutela del malato: tutti i medici si ostinano a negare l’evidenza clinica. Bresso e Ghigo, Fassino e Chiamparino, Berlusconi e Bersani, Mario Monti, persino il leghista Cota. Oggi è il turno di Lupi. Con una differenza, rispetto a molti predecessori: negli anni ’90 il paese era in piena crescita, e nel decennio del Duemila i segnali di crisi non erano ancora palesi, prima del crac della Lehman. L’Italia era ancora il paese dei ristoranti pieni, dei mille telefonini: poteva ben continuare a tollerare lo scempio degli sperperi, delle caste, delle mafie, delle grandi opere inutili.
Poi, la choc-therapy firmata Napolitano, Monti e Fornero. Il trauma del rigore: un terremoto senza precedenti nella storia repubblicana. Oggi si teme che stia per saltare in aria tutto quello che finora ha tenuto insieme il sistema-Italia, la sua capacità di coesione sociale, il welfare, la spesa pubblica. Depressione devastante, disoccupazione, amputazione del futuro, panico e povertà per un presente mai così precario.
Però attenzione: può crollare il mondo, ma non la fede nella Torino-Lione. Strana divinità pagana, settaria e oscura, che pretende un tributo di prepotenze e intimidazioni per alimentare il suo culto misterico.

Chi frequenta i blog non può a fare a meno di preoccuparsi nel constatare l’abisso vertiginoso che continua invariabilmente a separare le notizie “clandestine” da quelle ufficiali, spacciate dal mainstream.
Per giornali e televisioni, secondo cui fino a ieri la crisi semplicemente non esisteva, il dramma nazionale che stiamo vivendo non ha vere cause, è un fatto squisitamente naturale, una bizzarra e fatale calamità. Verità negata, uguale pericolo: se non viene più accettata, benché propinata con l’artificio della manipolazione, la verità ufficiale potrebbe un giorno essere imposta con la sopraffazione, la revoca dei diritti, la confisca orwelliana di quel che resta della democrazia reale. L’incubo è diventato realtà non appena l’oligarca Monti ha preso il posto del governo regolarmente eletto.
Il tempo di ascoltare la fiaba dell’austerity, l’impostura dei sacrifici necessari per riconquistare il diritto alla rassicurante narrazione della crescita, ed ecco che il paese si è scoperto improvvisamente nudo, povero e spaventato, esposto alla durezza di una barbarie che si credeva sepolta per sempre nella spazzatura del passato remoto: la legge del più forte, la spietata lotta per la sopravvivenza.

Il peggio è che la tragedia sociale si consuma alla cieca, in sordina, in modo non dichiarato né sincero. E nessuno si azzarda mai neppure per sbaglio a contestare le verità imbarazzanti delle pagine web che citano autorevoli fonti internazionali. Così come nessun politico, in vent’anni, ha mai potuto smentire, conti alla mano, gli eretici No-Tav – ieri considerati alla stregua di visionari esaltati e un po’ folli, ma oggi drammaticamente “maggioranza”, paese reale, definitivamente riconosciuti come nient’altro che italiani in allarme, saliti prima di altri sulle barricate per denunciare quella che viene percepita come una truffa insopportabile perché particolarmente vile, apertamente sfrontata.
Italia e valle di Susa sono ormai sintonizzate sulla stessa lunghezza d’onda, mentre ogni giorno va in scena lo stillicidio inesorabile delle rivelazioni: lentamente, gli italiani scoprono che il loro governo è come se non esistesse, costretto com’è ad eseguire ordini imposti dall’alto. Banalità del male: le maggiori lobby planetarie che dirigono le marionette di Bruxelles stabiliscono il prezzo dei loro smisurati privilegi a spese dei comuni mortali, in un orizzonte recessivo in costante peggioramento a causa dell’emergenza universale economica e climatica, energetica e demografica.

Nell’Italia sequestrata dalla paura e rimpicciolita dalla depressione, ormai ci si limita a registrare diktat. Ministri e parlamentari sembrano avere una sola possibilità: obbedire, per conservare il posto.
E così votano senza fiatare il Fiscal Compact, inseriscono l’aberrazione del pareggio di bilancio in Costituzione e colpevolizzano i cittadini per il debito statale, ancora chiamato pubblico ma in realtà privatizzato dai bancarottieri della finanza mondiale speculativa, gli stessi che si sono inventati l’Eurozona per azzoppare un’Europa che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, sarebbe potuta diventare un temibile competitor, ai confini con l’Est russo e cinese. Il gioco è immenso, la crisi è globale.
Persino l’élite pre-democratica lancia segnali di allarme, mentre l’Istat annuncia che – proprio in base al Fiscal Compact – il paese ha di fronte qualcosa come ottant’anni di austerità: vale a dire un biglietto di sola andata, ad altissima velocità, per il Bangladesh. Per fortuna ci resta Maurizio Lupi, l’umorista travestito da ministro, in visita al cantiere in mezzo ai monti. Non è facile, di questi tempi, riuscire ancora a far ridere.

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