Meloni a Tripoli, di "storico" c'è solo la vergogna di quello scambio
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Meloni a Tripoli, di "storico" c'è solo la vergogna di quello scambio

La stampa mainstream, quella che si abbevera delle velini di palazzo (Chigi), sempre pronta a ossequiare il vincente, o la vincente, di turno. Ecco allora fioccare l’aggettivo “storico” in accompagno dell’accordo di Tripoli. 

Meloni a Tripoli, di "storico" c'è solo la vergogna di quello scambio
Giorgia Meloni in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Gennaio 2023 - 13.10


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Il titolo che meglio sintetizza la missione di sabato in Libia della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è quello di Avvenire: “Meloni a Tripoli: gas e navi ‘anti migranti’: lo scambio fra Italia e Libia”.

C’è poco da esultare

Naturalmente l’obiettività del giornale della Cei ha poco seguito nella stampa mainstream, quella che si abbevera delle velini di palazzo (Chigi), sempre pronta a ossequiare il vincente, o la vincente, di turno. Ecco allora fioccare l’aggettivo “storico” in accompagno dell’accordo di Tripoli. 

Di cosa si tratti lo spiegano bene un articolo di Avvenire e un servizio dell’Ansa

Scrive Avvenire: “«La Libia è una priorità per l’Italia. Per la stabilità del Mediterraneo. Per la sicurezza. Per alcune delle grandi sfide che l’Europa affronta in questo tempo, come la crisi energetica». Giorgia Meloni ha appena incontrato il primo ministro del governo di unità nazionale libico, Abdel Hamid Dbeibah e ora, davanti alle telecamere, spiega il senso di un vertice (la premier italiana era arrivata in mattinata a Tripoli con i ministri di Esteri e Interno, Tajani e Piantedosi, e con il numero uno di Eni De Scalzi) per chiudere uno storico accordo sul gas da 8 miliardi di dollari e per rafforzare la collaborazione sull’immigrazione.

Ecco le due sfide. «Abbiamo parlato di come potenziare gli strumenti per combattere i flussi illegali. È un tema che non riguarda solo Italia e Libia, deve riguardare l’Unione europea nel suo complesso», ripete Meloni. Poi tocca a Tajani: «Ho firmato un memorandum d’intesa tra il governo italiano e quello libico per la consegna di cinque vedette finanziate dalla Ue. Rafforziamo la cooperazione con la Libia, anche per contrastare i flussi d’immigrazione irregolare».[…]. «La cooperazione nel campo dell’energia tra Italia e Libia è antica e solida», dice Meloni che ricorda come «Eni è presente qui dal 1959, ha di fatto contribuito a una parte importante della storia libica di questi anni, dello sviluppo economico della Libia oggi grazie al gasdotto Green stream condividiamo uno strumento fondamentale per favorire il processo di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico». Oggi questa cooperazione si rafforza ulteriormente. 

.L’amministratore delegato di Eni, Descalzi, e l’amministratore delegato della National Oil Corporation (Noc), Farhat Bengdara, hanno siglato un accordo per avviare lo sviluppo delle Strutture A&E un progetto strategico volto ad aumentare la produzione di gas per rifornire il mercato interno libico, oltre a garantire l’esportazione di volumi in Europa. 

La produzione di gas inizierà nel 2026 e Descalzi, ha sottolineato che «l’accordo di oggi consentirà di effettuare importanti investimenti nel settore dell’energia in Libia, contribuendo allo sviluppo e alla creazione di lavoro nel Paese, e rafforzando la posizione di Eni come primo operatore in Libia».  Impresa e politica perchè – spiega Meloni – «l’Italia vuole giocare un ruolo importante, anche nella capacità di aiutare i Paesi africani a crescere e a diventare più ricchi. Una cooperazione che non vuole essere predatoria, che vuole lasciare qualcosa nelle nazioni». E ancora. «Il modo più strutturale per affrontare il tema delle migrazioni è consentire alle persone di crescere e prosperare nelle loro nazioni . E questo si fa aiutando quelle nazioni a crescere e prosperare e questo è uno dei temi che il prossimo Consiglio europeo affronterà, difesa della dimensione esterna, cooperazione in particolare con le nazioni africane e priorità alla rotta del Mediterraneo centrale, come richiesto dall’Italia». In serata l’ultimo bilancio della premier su twitter: «Positiva missione. Siglati importanti accordi su cooperazione, energia e contrasto all’immigrazione irregolare. Abbiamo inoltre espresso piena disponibilità a favorire il percorso verso legittime elezioni e stabilizzazione della Libia».

Di seguito il servizio dell’Ansa: “L’idea dell’Italia come hub per redistribuire il gas in Europa si intreccia con la volontà di un cambio di approccio su immigrazione e cooperazione, per “aiutare i Paesi africani a crescere e diventare più ricchi”. Meloni pretende una svolta da Bruxelles, e su questo insisterà anche nel Consiglio europeo del 9-10 febbraio: “Il tema deve riguardare l’Ue nel suo complesso”.

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Cruciale, però, resta la collaborazione dei Paesi di partenza. Negli incontri con il primo ministro del Governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Dbeibah, e il presidente del Consiglio presidenziale, Mohammed Yunis Ahmed Al-Menfi, Meloni, a quanto si apprende, ha spiegato di apprezzare gli sforzi delle autorità locali per contenere le partenze, sottolineando che però ultimamente sono aumentate. Da qui la necessità “intensificare” l’impegno, di trovare “soluzioni più efficaci”, con risultati “verificabili”, anche “in collaborazione con l’agenzia Onu sul campo”. Intanto i ministri degli Esteri dei due Paesi hanno siglato un accordo per “potenziare le capacità e la cooperazione con l’autorità libica in relazione alla guardia costiera”. Un patto “vergognoso” perché consegna “5 motovedette a chi si è reso responsabile di torture e stupri ai danni dei migranti”, ha protestato Angelo Bonelli (Avs), invitando la premier “a leggere il rapporto choc dell’Onu che svelò la detenzione arbitraria, le torture e gli stupri a cui sono sottoposti i migranti per mano della guardia costiera libica”. Piantedosi, con il suo omologo, ha poi messo le basi per “una task force congiunta” su flussi migratori, lotta al terrorismo e contrasto al narcotraffico. L’intesa clou è però quella sul gas con la compagnia petrolifera nazionale (Noc), attraverso cui l’Eni “rafforza la sua posizione come primo operatore in Libia”, ha sottolineato l’ad Claudio Descalzi.

“Un chiaro segnale che il settore petrolifero in Libia è privo di rischi”, la tesi del presidente della Noc, Farhat Omar Bengdara. L’accordo, però, è stato contestato nelle scorse settimane dall’altro esecutivo libico (non riconosciuto dalla comunità internazionale), quello guidato da Fathi Bashagha. Un scenario ancora più incerto per il ruolo del generale Khalifa Haftar, che controlla la Cirenaica. Dove si trovano vari campi petroliferi, dove fanno base molti scafisti e dove è segnalata l’attività dei mercenari russi della Wagner. Meloni ha “auspicato” che l’impegno del governo di Dbeibah a indire elezioni “possa tradursi rapidamente in azioni concrete, con la mediazione dell’Onu”. Un “ampio compromesso politico nazionale”, ha aggiunto, può “aiutare a sbloccare l’attuale situazione di stallo”. Rilanciando l’impegno per l’autostrada prevista dal trattato Italia-Libia del 2008 e sottolineando l’importanza di dare standard di sicurezza all’aeroporto di Tripoli, la premier ha poi promesso che l’Italia “farà la sua parte, per assicurare una maggiore unità di intenti da parte della comunità internazionale sul dossier libico ed evitare il rischio che alcune influenze lavorino per destabilizzare il quadro piuttosto che favorirlo”.

Le “due Libie”

Globalist le ha raccontate in decine di articoli. Di grande interesse, in questo caso, sono le analisi di Giuseppe Didonna e Leonardo Sgura.

 Scrive Didonna in un dettagliato report per Agi: “Non è certo facile il percorso della Libia verso delle elezioni che dovrebbero favorire un processo di transizione politica, mentre la tensione nel Paese nordafricano è tornata altissima negli ultimi mesi. In guerra dal 2011, la Libia è ancora impantanata in una lotta tra fazioni che non sembra avere fine.

L’impasse politica attuale difficilmente porterà a una transizione democratica senza un deciso contributo da parte di garanti stranieri, il cui intervento al contrario, fino a ora non ha favorito la stabilità del Paese. La necessità di una nuova data per presentarsi alle urne, dopo l’annullamento delle elezioni inizialmente previste il 24 dicembre 2021, sembra mettere d’accordo tutti, libici e Paesi stranieri, e ha trovato nuova linfa nella nomina da parte delle Nazioni Unite di un nuovo inviato speciale per la Libia, il senegalese Aboulaye Bathily.

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Lo scorso anno una legge con tanto di data sulle elezioni è stata promulgata dal presidente del Parlamento Libico di Tobruk, Aqilah Saleh, ma è fallita miseramente perché non ha trovato accordo con l’altro parlamento libico, quello della capitale Tripoli. Accordo necessario in base a una legge del 2015 (Skhirat Lybian Political agreement).

È emerso con chiarezza che il principale ostacolo per le elezioni in Libia è rappresentato dalle istituzioni che attualmente controllano le due parti del Paese. La sconfitta del generale Khalifa Haftar nel 2020 sembrava aver segnato l’affermazione del governo con sede a Tripoli, che sostenuto militarmente dalla Turchia e politicamente dalle Nazioni Unite pareva destinato a prendere le mani del Paese a scapito della fazione di Tobruk.

Al contrario, invece che l’affermazione di una fazione su un’altra si è assistito a un rimescolamento delle carte da entrambe le parti in conflitto e all’uscita di scena anche del vincitore Fayez al Sarraj oltre che dello sconfitto Haftar. Sostanzialmente i due uomini che si sono contesi la guida del Paese dopo la caduta di Muammar Gheddafi, Fayez al Serraj per Tripoli e Haftar per Tobruk, sono stati sostituiti dai due nuovi leader delle coalizioni-fazioni, in lotta per il potere:Fathi Bashagha e Abdul Hamid Dbeibah, il primo nominato premier a Tobruk, nell’est del Paese, il secondo primo ministro del governo con sede nella capitale Tripoli.

Si tratta dell’ennesimo atto di una crisi che sembrava sopita con la sconfitta delle truppe fedeli al generale di Tobruk, Haftar, ma che in realtà era avviata verso una nuova fase, aperta dalla decisione di annullare le elezioni previste fine 2021.

Una decisione che ha portato alla nomina di Bashaga come premier del parlamento di Tobruk e alla formazione di un esecutivo che governa l’est del Paese, non riconosciuto dal parlamento di Tripoli e dal governo guidato da Dbeibah.

Il rinvio delle elezioni ha favorito il clima d’incertezza e l’intensificarsi di scontri che hanno raggiunto l’apice lo scorso settembre, quando il conflitto è arrivato nelle strade della capitale Tripoli. Le milizie di Bashaga sono tornate ad assaltare la capitale a inizio settembre, e probabilmente oggi ci troveremmo a descrivere una situazione completamente diversa, se a respingere le milizie di Tobruk non fossero intervenuti ancora una volta i droni turchi.

Lo sguardo della Turchia

Per Ankara è centrale che Tripoli non passi nelle mani della fazione di Tobruk. Un dato confermato dal fatto che la decisiva discesa in campo della Turchia nel teatro di guerra libico, a dicembre 2019, sia stata motivata proprio dalla necessità di difendere la capitale, all’epoca assediata da Haftar.

Da allora Ankara ha assunto un ruolo di primo piano nel Paese e non a caso proprio la Libia ha rappresentato una parte consistente e costante del dialogo tra il governo italiano in carica e il governo turco. Di Libia hanno parlato non solo il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier Giorgia Meloni durante il loro primo faccia a faccia al G20 di Bali, ma anche i ministri degli Esteri e degli interni d’Italia e Turchia, incontratisi nel mese di gennaio. Incontri con al centro il tema dell’immigrazione, al termine dei quali è stata sempre sottolineata la convergenza di vedute di Roma e Ankara, che premono entrambe per delle elezioni e una transizione politica che porti stabilità in Libia”.

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Così l’analista di Agi.

Il labirinto di un conflitto tribale, gli appetiti dei vicini ambiziosi

A guidarci in questo inestricabile “labirinto” è Leonardo Sgura, corrispondente dal Cairo di Rai News: “L’Egitto – annota Sgura –  insieme agli Emirati arabi uniti, è vicino alla Cirenaica, ampia regione orientale confinante con l’Egitto, il cui esercito nazionale è comandato dal generale Haftar, protagonista della guerra civile divampata nel 2014, due anni dopo la caduta di Gheddafi, con l’obiettivo di prendere il controllo di tutto il paese, in particolare della compagnia petrolifera e della banca centrale, conquistando Tripoli e spodestando il Governo di Accordo Nazionale guidato all’epoca da Al Serraji, sostenuto da Turchia e Qatar. 

Insieme all’Egitto, dunque, l’altro Paese direttamente coinvolto nella questione libica, è proprio la Turchia che nel 2020, quando la caduta di una Tripoli sotto assedio sembrava ormai imminente, è intervenuta militarmente nel conflitto salvando Al Serraji: sia inviando truppe, per lo più mercenari; sia impiegando i propri droni per bombardare l’esercito della Cirenaica. 

L’intervento turco spinse Serraji e Haftar alla tregua, arrivata ad agosto del 2020, e poi agli accordi – mediati dall’Onu – che insediarono a marzo 2021 il governo provvisorio di Dbeibeh, il quale aveva il compito di gestire le elezioni, fissate al 24 dicembre 2021, per la riunificazione politica del paese.

Quelle elezioni non si sono mai svolte, per una serie di contrasti sulle “regole” relative alle candidature. sia Dbeibeh che Haftar intendevano e ancora oggi intendono candidarsi alla guida della Libia, ma una serie di veti incrociati hanno impedito di trovare una base “costituzionale” condivisa che permetta ad entrambi di correre per la presidenza. 

Gli accordi prevedevano anche che, prima del voto, venissero ritirate le truppe straniere presenti nel Paese, compreso un contingente dei mercenari della Wagner, inviato dalla Russia a sostegno di Haftar. 

Altro punto da realizzare prima delle urne era il disarmo delle milizie private, seguito dalla riunificazione delle forze armate e degli apparati di sicurezza.

Tutti impegni che non sono mai stati rispettati, mentre la Turchia, nella confusione generale, ha chiuso con Tripoli accordi – contrari al diritto internazionale – in base ai quali comunque accampa pretese sui giacimenti di gas del mediterraneo orientale. 

Su tutto questo si continua a trattare. 

I colloqui tra le fazioni libiche da mesi si svolgono al Cairo, con la mediazione egiziana, tra delegazioni dei contrapposti organi legislativi, cioè la camera dei rappresentanti, che ha sede a Tobruk e sostiene il governo Bashaga, e l’Alto Consiglio di Stato, il “Senato” che ha sede a Tripoli e sostiene il premier Dbeibeh. Due settimane fa, dopo l’ultimo round di trattative, il portavoce della Camera dei Rappresentanti, Aguila Saleh, ha annunciato che c’è un’intesa sulle regole per le candidature, dicendosi ottimista sulla possibilità di andare alle urne entro il prossimo settembre. Ottimismo ridimensionato, poche ore dopo, dallo stesso Saleh, precisando che l’accordo è ancora in una fase embrionale. Parole identiche ha usato il capo del Consiglio di Stato, Khalid al Mishri, raffreddando gli entusiasmi degli osservatori internazionali.

Una tela di Penelope intricatissima, che spiega la ragione per cui, sul fronte internazionale, la diplomazia italiana sta lavorando anche a stretto contatto con Egitto e Turchia, Paesi cruciali per raggiungere l’obiettivo di una concreta stabilizzazione della Libia”.

Un obiettivo lontano dal realizzarsi.  

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