Ucraina, l'arma letale non è negli arsenali ma nei silos: la battaglia del grano
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Ucraina, l'arma letale non è negli arsenali ma nei silos: la battaglia del grano

I Paesi a basso reddito che stanno andando incontro a una carestia di portata storica a causa del blocco delle esportazioni di grano e altri cereali da Russia e Ucraina

Ucraina, l'arma letale non è negli arsenali ma nei silos: la battaglia del grano
Vladimir Putin
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Maggio 2022 - 18.20


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L’arma letale in mano allo Zar non sta negli arsenali atomici ma nei silos. Il grano come arma di ricatto al mondo. 

Nella stragrande maggioranza dei Paesi europei il dibattito sulla guerra in Ucraina è ancora incentrato sui torti e le ragioni delle due parti belligeranti. C’è però una parte del mondo, largamente maggioritaria, che si interroga molto meno su questi aspetti e che, di certo, può essere considerato una vittima senza alcuna responsabilità: si tratta dei Paesi a basso reddito che stanno andando incontro a una carestia di portata storica a causa del blocco delle esportazioni di grano e altri cereali da Russia e Ucraina. La regione del Mar Nero, che oltre ai due Stati in conflitto comprende anche il Kazakistan, è uno dei sei panieri alimentari del mondo. La Russia è il più grande esportatore di grano al mondo, mentre l’Ucraina è al sesto posto nella classifica. Insieme, secondo la Fao, i due paesi in guerra producono il 12% di tutte le calorie alimentari scambiate a livello globale, controllando il 29% delle esportazioni totali di grano, il 19% delle esportazioni di mais e il 78% delle esportazioni di olio di girasole. La Russia è anche il primo esportatore mondiale di fertilizzanti azotati, il secondo fornitore di fertilizzanti al potassio e il terzo esportatore di fertilizzanti al fosforo.

Quali soni i Paesi più dipendenti dal grano di Russia e Ucraina

Una cinquantina di nazioni del mondo dipendono dalla Russia e dall’Ucraina per il loro approvvigionamento alimentare, in particolare per gli oli di mais e girasole. La maggior parte di questi sono paesi poveri e dipendenti dalle importazioni in Asia e Africa. Ma quali sono i Paesi che nei prossimi mesi avranno maggiori difficoltà ad approvvigionarsi di cibo? Il primo è l’Egitto, che importa dalla Russia e dall’Ucraina 4,4miliardi di dollari di grano. Seguono i Paesi dell’Africa Subsahariana con 2,2, la Turchia con 1,9 e i Paesi di Medio Oriente e nord Africa con 1,6. A soffrire saranno però anche Pakistan, Bangladesh, Indonesia e Libano

Secondo il World Food Program in Africa orientale, dove grano e prodotti a base di grano rappresentano un terzo del consumo medio di cereali, il 90% delle importazioni proviene da Russia e Ucraina. Non è difficile immaginare quali potranno essere le conseguenze per questi Stati in termini di accesso al cibo.

Vie d’uscita

Il primo treno merci con un carico di grano dall’Ucraina è arrivato in Lituania attraverso la Polonia. Nei giorni scorsi ha raggiunto la città di confine di Sheshtokai per poi proseguire verso il porto di Klaipeda dove sarà caricato su navi mercantili. 

Questa settimana, si legge in una nota delle ferrovie di stato di Vilnius, arriveranno altri due treni con grano, mais e olio di girasole. “Fino a 1.500 tonnellate di grano e altri prodotti agricoli a carico”, ha detto il portavoce della compagnia ferroviaria Ltg Mantas Dubauskas, citato da Reuters.

Si tratta di “prove” che hanno lo scopo di valutare l’efficacia di rotte alternative nell’impossibilità di utilizzare i porti ucraini, bloccati dalle ostilità con Mosca. La rotta scelta consente di aggirare la Bielorussia, alleata della Russia.

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La ferrovia è però solo una possibilità, ma non una soluzione definitiva per il fatto che l’Ucraina utilizza degli scartamenti ferroviari differenti da molti Paesi Europei.

Le rotte del grano: i porti fluviali e autostrade

Un’altra soluzione di ripiego per far uscire dal Paese il grano ucraino sono i 4 porti fluviali del Danubio, ma sono vecchi e piccoli: da lì è impossibile far partire più di 300 mila tonnellate di grano al mese. Allo stesso tempo la carenza di carburante dovuta alla guerra, le difficoltà logistiche e gli scontri rendono scarsamente praticabili le autostrade che portano verso Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Moldavia da dove non sono uscite fino ad ora più di 20 mila tonnellate al giorno (dati Barchart). 

Alcune autostrade infatti sono intasate, i prezzi del trasporto sono andati alle stelle e allo stesso tempo le frontiere e infrastrutture europee sono impreparate a un incremento del traffico così netto. A complicare ulteriormente il quadro, le pratiche burocratiche, ispezioni e controlli e la necessità di molti più documenti rispetto all’esportazione marittima.

Sbloccare i porti

La guerra in Ucraina blocca le esportazioni di grano: si tratta di uno stop che sta già facendo sentire le sue pesantissime ripercussioni a livello globale. Nei primi dieci giorni di maggio, l’export di grano ucraino è più che dimezzato rispetto allo stesso periodo del 2021, passando da 667.000 a 300.000 tonnellate. 

“L’Ucraina fornisce una grande quantità di grano al mercato mondiale. L’unica soluzione è sbloccare i porti”, dice Mykola Horbachov, presidente dell’associazione ucraina del grano, reduce dalla riunione di lunedì scorso con l’Organizzazione Mondiale del Commercio durante la quale “abbiamo parlato della questione dello sblocco dei porti ucraini, dell’export del grano e su come riavviare tutta la catena. C’è già un’esperienza che può essere presa come modello, che riguarda il Golfo di Aden dove è stato effettuato lo sblocco grazie all’intervento di navi militari”.        

“Tecnicamente, quindi, sarebbe possibile fare da scorta alle navi da carico con le navi militari, europee o statunitensi. Non c’è un’altra soluzione se non lo sblocco dei porti – insiste Horbachov – Anche perché attualmente nei porti sono bloccate 25 milioni di tonnellate di grano del precedente raccolto; con il raccolto nuovo si aggiungeranno altre 30-35 milioni di tonnellate tra grano e colture oleose per un totale di circa 60 milioni di tonnellate di prodotto che dovrà essere esportato”.

L’appello di Zelensky

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha lanciato un appello: “La comunità internazionale intervenga per eliminare il blocco imposto ai nostri porti se vuole evitare a moltissimi Paesi una crisi alimentare subito dopo una crisi energetica”. 

Appello raccolto da Stati Uniti e Alleati, che, secondo la Cnn, avrebbero pensato a come “scortare” il grano in uscita dall’Ucraina attraverso il mar Nero. Una sorta di coalizione navale di “volonterosi”, che però ha già perso l’adesione della Gran Bretagna, che ha dichiarato che non invierà le proprie navi da guerra nel Mar Nero. Ipotesi già di per sè complicata dalla applicazione del Trattato di Montreux da parte della Turchia, che ha chiuso il traffico attraverso gli stretti di Bosforo e Dardanelli alle navi da guerra.

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Von der Leyen: “Depositi bombardati e navi bloccate dai russi”

“L’artiglieria russa sta deliberatamente bombardando i depositi di grano in tutta l’Ucraina. E le navi da guerra russe nel Mar Nero stanno bloccando le navi ucraine piene di grano e semi di girasole”. Intervenendo al Forum economico di Davos, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha detto che le “conseguenze di questi atti vergognosi sono sotto gli occhi di tutti”. “I prezzi globali del grano sono alle stelle. E sono i Paesi fragili e le popolazioni vulnerabili a soffrirne di piu'”, ha sottolineato von der Leyen. 

“I prezzi del pane in Libano sono aumentati del 70% e le spedizioni di cibo da Odessa non sono riuscite a raggiungere la Somalia. E per di più, la Russia sta ora accumulando le proprie esportazioni di cibo come una forma di ricatto, trattenendo le forniture per aumentare i prezzi globali o scambiando grano in cambio di sostegno politico. Questo è: usare la fame come un’arma, l’impatto si sente non solo sull’Ucraina ma in Africa e Asia: non abbiamo dubbi che le truppe russe rubano il grano ucraino o distruggono le scorte, ci sono varie prove”, ha aggiunto un portavoce della Commissione Ue. 

L’effetto guerra sui prezzi del grano

Salgono del 36% negli ultimi tre mesi i prezzi del grano anche per effetto delle speculazioni e dei saccheggi nei territori occupati in Ucraina che riducono le scorte e aggravano l’allarme fame, con un effetto domino sui Paesi in crisi alimentare. E’ il bilancio tracciato dalla Coldiretti sull’impatto dell’aumento dei prezzi dall’inizio del conflitto al Chicago Board of Trade, in riferimento alle accuse di furti di grano ucraino da parte della Russia. 

Un duro colpo per l’economia dell’Ucraina dove il raccolto di grano è stimato quest’anno pari a 19,4 milioni di tonnellate, circa il 40% in meno rispetto ai 33 milioni di tonnellate previsti mentre in controtendenza – sottolinea la Coldiretti – sale la disponibilità in Russia dove la produzione aumenta del 2,6% per raggiungere 84,7 milioni di tonnellate delle quali circa la metà destinate all’esportazioni (37-39 milioni di tonnellate). Le esportazioni di cereali dalla Federazione Russa nell’anno agricolo 2020-2021 ammontavano a 49 milioni di tonnellate, di cui 38,4 milioni di tonnellate di grano.

Il controllo delle scorte alimentari – continua la Coldiretti – rischia di sconvolgere gli equilibri geopolitici mondiali con Paesi come Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran che acquistano più del 60% del proprio grano da Russia e Ucraina ma anche Libano, Tunisia Yemen, e Libia e Pakistan sono fortemente dipendenti dalle forniture dei due Paesi.

Una situazione che riguarda direttamente anche l’Unione Europea nel suo insieme dove il livello di autosufficienza della produzione comunitaria varia dall’ 82% per il grano duro destinato alla pasta al 93% per i mais destinato all’alimentazione animale fino al 142% per quello tenero destinato alla panificazione secondo l’ultimo outlook della Commissione Europea che evidenzia l’importanza di investire sull’agricoltura per ridurre la dipendenza dall’estero e sottrarsi ai ricatti alimentari.

Ma “quello che avete visto finora è niente rispetto a ciò che vedrete se non si sblocca la situazione”, avverte in un’intervista a Repubblica Pierre Vauthier, l’esperto in “disaster risk management” che la Fao ha inviato in Ucraina per combattere la crisi alimentare che terrorizza il pianeta. “Non parlo solo dei porti ma di semine e raccolti resi impossibili dalla battaglia, fertilizzanti russi che mancano e bisogna sostituire, mancato accesso al credito agricolo, macchinari requisiti dallo stato maggiore per prendere i pezzi di ricambio, officine dove ieri si riparavano i trattori e oggi i carri armati. È tutto stravolto”.

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Per questo si cerca una soluzione, e in poco tempo. Anche perché “il grano non è eterno, si deteriora, perde valore nutritivo ed economico. Sono già mesi che è fermo nei silos. Stiamo architettando ogni possibile soluzione: riattivare una serie di vecchi mulini e trasformarlo in farina, che almeno dura di più, ma soprattutto vorremmo farlo partire. Il treno è una soluzione insufficiente. Pensiamo a una carovana di migliaia di camion che lo porti oltre il confine rumeno, dove imbarcarlo su chiatte che raggiungono con una rete di canali il delta del Danubio”.

Pierre Vauthier racconta: “Troviamo nelle campagne le piccole fattorie e le case coloniche danneggiate ma ancora abitate. Questa è gente fantastica: ho abbracciato vecchi di 80 anni con la casa distrutta che non volevano lasciare il campo e ci imploravano di aiutarli a riprendere la semina, il raccolto, e la commercializzazione che è la fase più difficile. Cerchiamo di far sì che la loro attività non si interrompa, è difficile ma cruciale in vista del futuro. A volte la situazione è così disperata che diamo un indennizzo in cash a chi ha perso tutto perché trovi un mercatino dove comprare da mangiare». Ma «la parte qualificante del nostro lavoro è aiutarli a rimettere a posto il campo contaminato dagli esplosivi, se non addirittura disseminato di mine, a selezionare i semi che gli portiamo, anche a riparare il pollaio e raccogliere letame da concime”.

L’Est e il Sud Est dell’Ucraina sono le parti più colpite. “A occidente ci sono ampie estensioni agricole dove operano grandi compagnie in una situazione sì di tensione ma un po’ migliore, diciamo che non hanno troppo bisogno di noi. Ma dal Donbass al porto di Odessa, ci sono grandi aree coltivate queste sì in pericolo. E sono i terreni più produttivi e redditizi, dove è stata tentata con successo la produzione di grano saraceno e altri cereali pregiati. In giugno sarà il momento della semina per il raccolto del prossimo inverno: ma il 49% dei terreni coltivati a grano, il 38% di quelli ad avena e così via, sono in zone di conflitto attivo”, dice ancora Vauthier.

La “battaglia del grano”  non è un rischio. E’ già certezza. Ed è una battaglia che riguarda soprattutto quella parte di mondo che vedeva distante la guerra in Ucraina. Distante dai propri interessi. Ma senza grano non si vive. In ogni angolo del pianeta. Per questo gli eventi ucraini riguardano tutti. 

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