L'eurodeputata ungherese: "Spero che Orban sia sconfitto e a Budapest arrivi un governo più umano"
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L'eurodeputata ungherese: "Spero che Orban sia sconfitto e a Budapest arrivi un governo più umano"

Katalin Cseh è un'europarlamentare ungherese, vicepresidente del gruppo Renew Europe parla alla viglia delle elezioni in Ungheria

L'eurodeputata ungherese: "Spero che Orban sia sconfitto e a Budapest arrivi un governo più umano"
Katalin Cseh eurodeputata ungherese
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2 Aprile 2022 - 10.22


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Basta Orban, un presidente liberticida che sta facendo fare passi indietro agli ungheresi. “La guerra in Ucraina preoccupa molto l’Ungheria, anche per l’enorme sfida dell’accoglienza dei rifugiati, di fronte alla quale gli ungheresi stanno dimostrando di avere un grande cuore. Al tempo stesso, desta allarme anche la crisi dei profughi bloccati al confine tra Polonia e Bielorussia.

“Servono soluzioni, e devono venire dall’Ue, anche perché stiamo parlando di frontiere esterne europee. Quanto al mio Paese, spero che le elezioni di domani mettano fine al governo Orban, aprendo la strada a un esecutivo più umano”. Katalin Cseh è un’europarlamentare ungherese, vicepresidente del gruppo Renew Europe.

Nata in Canada 34 anni fa e laureata in medicina, è entrata al Parlamento europeo nel 2019 con Momentum, un partito liberale ed europeista fondato nel 2017 in opposizione alle politiche del primo ministro Viktor Orban, al motto di “non lasciamoci dividere da battaglie ideologiche, ma uniamoci per raggiungere gli stessi obiettivi”.

Cseh è raggiunta dall’agenzia Dire alla vigilia dalle elezioni legislative, che in Ungheria opporranno il premier di destra Orban, in carica dal 2010, all’economista, storico ed ingegnere elettronico di 49 anni Peter Merki-Zay, scelto per rappresentare un’alleanza di partiti di opposizione di cui non solo fa parte Momentum ma anche il partito conservatore di centro-destra Jobbik.

Il voto cade in un momento particolare per l’Ungheria e per l’Europa. “A oggi sono entrati oltre 200mila ucraini” spiega Cseh, chiarendo che sebbene “la maggior parte dei rifugiati non intenda fermarsi in Ungheria, preferendo proseguire verso altri Paesi europei, resta una cifra enorme per il nostro sistema di accoglienza”. L’Ungheria di Orban è sempre stata contraria a ogni meccanismo di redistribuzione e ricollocamento dei migranti, divenendo una delle voci più forti del gruppo di Visegrad e alleato di quei leader – tra cui Marine Le Pen in Francia o Matteo Salvini in Italia – pronti a ostacolare in tutti i modi persino le operazioni di salvataggio nel Mar Mediterraneo, nell’Egeo, o lungo la cosiddetta “rotta balcanica”.

Ma la guerra della Russia contro l’Ucraina ha capovolto l’equazione. “Il nostro governo si è detto immediatamente pronto ad accogliere i profughi” assicura Cseh, “peccato che sia intervenuto con incredibili lentezza, lasciando alle ong e ai volontari tutto il lavoro. Senza di loro non ce l’avremmo mai fatta”.

L’eurodeputata si è distinta in questi anni incoraggiando Budapest e l’Ue a scelte di solidarietà verso i migranti non europei che bussano alle porte dell’Unione, facendo sua anche la recente causa dei profughi bloccati alle frontiere europee con la Bielorussia. Dalla primavera scorsa, tra le 3mila e le 5mila persone originarie di Iraq, Siria, Afghanistan o Yemen secondo le ong sarebbero state costrette dall’esercito bielorusso a varcare la frontiera di Polonia, Lettonia e Lituania per ottenere la protezione internazionale, trovando però i confini chiusi e militarizzati. Intere famiglie con bambini hanno trascorso l’inverno nelle zone di frontiera, respinti dai vari militari in un ping pong definito “mortale” dai volontari che hanno cercato di portare cibo e aiuti sfidando leggi che criminalizzano il soccorso in quelle regioni.

Con la guerra in Ucraina, l’afflusso è ripreso perché le autorità bielorusse hanno stabilito la chiusura del campo profughi prossimo alla frontiera con la Polonia. Sebbene non ci siano osservatori indipendenti, si parla però di numeri più modesti: tra le 100 e le 300 persone si troverebbero bloccate alla frontiera polacca, tra cui anche malati, neonati o donne incinte a cui viene negato l’asilo e persino le cure.

“La situazione è grave- continua Cseh- ma non parlerei di doppio standard rispetto al modo in cui il governo polacco sta affrontando la crisi dei profughi che fuggono dall’Ucraina: nel primo caso, abbiamo persone che sono state portate con l’inganno in Europa dal governo bielorusso mesi fa, nell’ambito della ‘guerra ibrida’ che Minsk e Mosca hanno lanciato all’Europa”.

La vicepresidente di Renew Europe continua: “A ogni modo servono soluzioni e attenzione anche per l’area di confine bielorussa. E la Polonia non può trovarle da sola: serve cooperazione da parte dei Paesi europei perché parliamo sempre di frontiere esterne dell’Ue”.

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