Elezioni in Israele, Netanyahu verso la maggioranza ma serve Yamina
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Elezioni in Israele, Netanyahu verso la maggioranza ma serve Yamina

Stando agli Exit Poll il blocco pro-Netanyahu otterrebbe 53 seggi e il blocco anti-Netanyahu 59, e Yamina, con i suoi 8 seggi, come preannunciato, costituisce l'ago della bilancia di queste elezioni

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

23 Marzo 2021 - 20.43


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Una partita a destra. Variano le tonalità, si scontrano ambizioni personali. Ma su dove guarda Israele, nella sua maggioranza, su questo non c’è dubbio: a destra. E il player principale è sempre lui: l’eterno Primo ministro, Benjamin “Bibi” Netanyahu. La sinistra, Labor (7 seggi) e Meretz (6) sopravvive, e non era scontato. Ma resta ai margini, mera testimonianza di un glorioso tempo che fu.

I primi exit polls delle quarte elezioni anticipate in due anni, danno il Likud, il partito di Netanyahu, al primo posto e alla grande: 32 seggi contro i 17 del secondo arrivato, Yesh Atid, il partito laico centrista di Yair Lapid (!7). Al terzo posto si colloca Shas (9 seggi), il partito ultraortodosso sefardita. Crolla la Joint List araba che passa dai 15 seggi delle precedenti elezioni agli 8 che gli exit polls le assegnano.  Camorosa, ma annciata, la disfatta di Kahol Lavan di Benny Gantz, precipitato a 7 seggi dai 33 delle precedenti elezioni.

Per il resto, è un fiorire di tonalità di destra: razzista, ultraortodossa, omofobica. Netanyahu cannibalizza New Hope del fuoriuscito Gideon Sa’ar, ridotto ai minimi termini rispetto alle rosee previsioni pre-elettorali (6 seggi). Per raggiungere la maggioranza alla Knesset (61) Netanyahu ha bisogno del sostegno del giovane e ambizioso leader di Yamina (destra radicale) Naftali Bennett (7 seggi).

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Il rampante “tecno-colono” non ha mai nascosto di voler prendere il posto di “King Bibi” ma il magro risultato raggiunto porta inevitabilmente al ridimensionamento delle sue velleità. “Farò solo ciò che è bene per lo Stato d’Israele”, è il suo sibillino commento ai primi exit polls. Prima che nelle urne, la vittoria della destra etnocratica in Israele, è avvenuta sul piano culturale, sull’aver plasmato la psicologia di una Nazione a propria immagine e somiglianza. La destra ha vinto perché ha fatto prevalere, nella coscienza collettiva, Eretz Israel, la Terra d’Israele, su Medinat Israel, lo Stato d’Israele. In questa visione, la Sacra Terra, proprio perché è tale, non è materia negoziabile e chi osa farlo finisce per essere un traditore che merita la morte.

Questo, un traditore sacrilego, è stato Yitzhak Rabin per la destra israeliana che ha armato ideologicamente la mano del giovane zelota, Ygal Amir, che mise fine alla vita del premier-generale che aveva osato stringere la mano al “capo dei criminali palestinesi”, Yasser Arafat, riconoscendo nel nemico di una vita, un interlocutore di pace. Israele ha ottenuto successi straordinari in svariati campi dell’agire umano. E’ all’avanguardia mondiale quanto a start up, ha insegnato al mondo come rendere feconda anche la terra desertica e portato a compimento importanti scoperte nel campo della scienza, della medicina, dell’innovazione scientifica. Ma la modernizzazione sociale ed economica non ha mai interagito con la grande questione identitaria. Su questo terreno, la tradizione ha vinto e non ha fatto prigionieri.

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A prevalere è l’Israele che fonda la propria identità  sull’appartenenza etnica, sull’affermazione di una diversità che crea gerarchia, che al massimo può contemplare la tolleranza ma mai una piena inclusione. La “Questione israeliana” non ha nulla di difensivo. Essa, a ben vedere, è una declinazione di quel sovranismo nazionalista che segna il presente, ipotecando il futuro. I padri fondatori d’Israele si sono battuti per realizzare il sogno di uno Stato per gli ebrei. La destra revisionista ha imposto lo Stato degli ebrei. Non è una differenza semantica. E’ il segno della sconfitta del sionismo. E dell’assoluta marginalità del campo di sinistra.

La lunga notte post voto definirà compiutamente la conformazione della nuova Knesset. Subito dopo,  si apriranno i giochi post elettorali, dei quali Netanyahu è maestro. Il legislatore del Likud David Bitan ha detto a Channel 12 News: “Non c’è alcuna possibilità di formare un altro governo se non quello guidato da Netanyahu”, dichiara a Channel 12 David Bitan, uno dei fedelissimi di “Bibi” aggiungendo che “anche questo non sarà semplice”. Certo, non sarà semplice saziare tutti i partiti di destra affamati di potere. Ma Netanyahu c’è abituato. Israele lo ha incoronato “re”. E un “re” non si fa processare. 

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