Migranti, il Sultano al "suq" di Bruxelles. Ma l'Italia non è invitata
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Migranti, il Sultano al "suq" di Bruxelles. Ma l'Italia non è invitata

Charles Michel ha invitato la Turchia a “rispettare gli impegni” derivanti dall’accordo del marzo 2016, che prevede che i migranti rimangano in Turchia, in cambio di aiuti finanziari europei

Von der Leyen, Erdogan e Charles Michel
Von der Leyen, Erdogan e Charles Michel
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Marzo 2020 - 16.14


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Il Sultano al “suq” di Bruxelles. Quella di ieri, 9 marzo,  è stata una serata molto intensa per il presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Una serata, prolungatasi nella notte, di incontri ai massimi livelli sia in ambito Nato che dell’Unione Europea. Ma al di là degli attestati formali, Erdogan torna. a casa pressoché a mani vuote

Notte di esami

Una conferma in proposito viene dalla scelta di Erdogan di andare direttamente all’aeroporto anziché tenere una conferenza stampa con il presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, e quello del Consiglio europeo, Charles Michel. “È chiaro che abbiamo i nostri disaccordi, ma abbiamo parlato francamente. È stata una bella conversazione”, ha dichiarato Von der Leyen.

Charles Michel ha invitato la Turchia a “rispettare gli impegni” derivanti dall’accordo Ue-Turchia del marzo 2016che prevede che i migranti rimangano in Turchia, in cambio di aiuti finanziari europei. Erdogan e i due leader europei hanno incaricato il ministro degli esteri dell’UE Josep Borrell e il suo omologo turco Mevlut Cavusoglu di “chiarire l’attuazione dell’accordo” Ue-Turchia “per essere certi” che entrambe le parti hanno” la stessa interpretazione”, ha detto Michel. “È positivo che le linee di comunicazione con la Turchia rimangano aperte e attive”, ha insistito Von der Leyen, per la quale l’accordo del 2016 è “ancora in vigore”.

Ankara considera tuttavia insufficienti gli aiuti concessi per l’assistenza di quattro milioni di migranti e rifugiati, principalmente siriani, che ospita da anni. Su 6 miliardi di euro di aiuti previsti, 4,7 miliardi sono stati impegnati, di cui 3,2 miliardi sono già stati erogati, secondo la Commissione europea.

Prima di questo incontro, Erdogan aveva avuto un altro colloquio, anch’esso “schietto”, con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, al quale ha chiesto maggiore aiuto nel conflitto in Siria e di fronte ai milioni di rifugiati generati dai combattimenti. “La Nato è in un processo critico in cui deve mostrare chiaramente la sua solidarietà”, ha affermato Erdogan in una conferenza stampa. Questo “supporto concreto” deve manifestarsi “senza discriminazione” e senza “condizioni politiche”, ha aggiunto.

Il Sultano non ha perso occasione per “sparare”, verbalmente, contro  il governo greco del primo ministro Kyriakos Mitsotakis, che ha ricevuto 700 milioni di euro da Bruxelles per proteggere i suoi confini e gestire i nuovi arrivati. “È irrazionale e sconsiderato che un alleato e un Paese vicino designino la Turchia responsabile dell’immigrazione clandestina”, ha affermato.

Da parte sua, Stoltenberg ha reso omaggio alla Turchia, rilevando che “nessun altro alleato ha sofferto tanto degli attacchi terroristici” e “non detiene il numero di rifugiati”. Assicurando ad Ankara il sostegno della Nato, ha anche espresso la sua “grande preoccupazione” per gli eventi al confine tra Grecia e Turchia. Ma al di là degli omaggi verbali, Stoltenberg non è andato, con evidente disappunto del suo interlocutore turco. Il capo dell’Alleanza Atlantica ha manifestato la vicinanza di tutto il Patto ad Ankara per quanto riguarda gli attacchi ricevuti dalle truppe di  Bashar al-Assad nel nord della Siria, ma, nonostante gli appelli di Erdogan, che vorrebbe tutti i Paesi della Nato coinvolti sul confine, si è guardato molto bene da spingersi così in là. In compenso si è soffermato sulla situazione a un’altra frontiera, quella con la Grecia, segno che l’Alleanza Atlantica è molto più preoccupata dalle guerre dentro le mura di casa.

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Dopo la crisi del 2015-2016 per la quale l’Ue aveva messo a punto soluzioni temporanee per la ricollocazione dei migranti, la riforma delle norme in materia di asilo in Europa si è fermata. Lunedì Von der Leyen ha dichiarato che la Commissione pubblicherà una nuova proposta “subito dopo Pasqua”.

Da Bruxelles a Berlino. Angela Merkel si è espressa ieri a favore di una “nuova fase” dell’accordo Unione Europea-Turchia sui migranti nel corso del Forum economico greco-tedesco di Berlino alla presenza del primo ministro greco Kyriakos Mītsotakīs.  È “inaccettabile”, ha detto la cancelliera tedesca, che la Turchia cerchi di “risolvere i propri problemi sulla pelle dei profughi”, aprendo le frontiere con la Grecia ai migranti che accoglie sul proprio territorio e che i migranti siano spinti verso “un vicolo cieco”, ovvero verso il confine con la Grecia. Per questo è necessario spendersi “con grande forza” affinché “l’accordo Ue-Turchia possa passare” ad una fase nuova. Lo scopo “è gestire, organizzare e ridurre la fuga e la migrazione”, ha detto ancora Merkel.

Ma il Sultano non molla.  La cancelliera tedesca e il presidente francese Emmanuel Macron saranno martedì prossimo (17 marzo) a Istanbul per incontrare il presidente turco e discutere della crisi dei migranti. Lo ha annunciato lo stesso Erdogan, aggiungendo che potrebbe prendere parte all’incontro anche il premier britannico Boris Johnson. Dell’Italia non c’è notizia.

Il nodo siriano

“Non è solo la mancanza di scrupoli di Erdogan che ha messo nelle mani di Ankara l’arma di ricatto dei profughi, milioni di persone intrappolate in paesi che non li vogliono, spesso in condizioni disperate. È stata soprattutto una scelta, più o meno consapevole, dell’Europa, che anche in questa occasione non sembra in grado di capire che il problema dei milioni sfollati siriani non risiede né ad Ankara né al confine greco, ma in Siria, in una crisi senza fine che abbiamo deciso di ignorare”, annota Eugenio Dacrema, analista di punta dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) .

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Se quello turco sembra un ricatto, le scuse e i biasimi dell’Europa suonano come ipocrite bugie. – gli fa eco Matteo Colombo, del team Ispi – Dal 2016 ad oggi l’Unione non è stata in grado di dotarsi di una politica comune sulle migrazioni e non ha toccato palla nella crisi siriana, agendo anche solo nel proprio interesse per cercare una soluzione che fermasse l’esodo migratorio. E oggi, in piena crisi, mentre gruppi di uomini a volto coperto seminano il panico tra i migranti sulle isole dell’Egeo e in rete circolano video in cui la guardia costiera greca prende a bastonate i migranti sui gommoni, i vertici europei sono arrivati in Grecia per una passerella che non ha prodotto alcun risultato concreto. Se gli Accordi stretti con la Turchia nel 2016 avevano un merito, era quello di fornire all’Europa e agli europei un po’ di tempo per pensare a delle soluzioni di lungo periodo. Non possiamo dire di averlo saputo sfruttare. Le conseguenze ci si rivolteranno contro”.

Intanto, Le forze armate russe e quelle turche hanno condotto una missione congiunta di pattugliamento nel nord della Siria secondo quanto previsto dal memorandum di Sochi: lo riferisce il retroammiraglio Oleg Zhuravliov, capo del Centro russo per la riconciliazione delle parti belligeranti, un organo del ministero della Difesa russo. Secondo l’alto ufficiale, i militari russi e quelli turchi hanno controllato la situazione in diverse località della provincia di Al Hasaqah. La polizia militare russa ha inoltre pattugliato diverse zone delle province di Al Hasaqah e Raqqa.

Ma il patto tra lo Zar e il Sultano non piace al Faraone, al secolo il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.  Il capo dei servizi di sicurezza egiziani, generale Abbas Kamel, si è recato nei giorni scorsi a Damasco per incontrare il suo omologo siriano, Ali Mamluk, nell’ambito degli sforzi congiunti egiziano-siriani di contrastare l’influenza turca nel Mediterraneo orientale e, in particolare, in Libia. Lo riferiscono media governativi siriani, secondo cui la visita a Damasco di Kamel è avvenuta la scorsa settimana, prima che a Mosca il presidente russo, Vladimir Putin, raggiungesse un accordo con collega turco, Tayyep Recep Erdogan, per la spartizione della regione nord-occidentale siriana di Idlib. I media ricordano che Kamel e Mamluk si erano già incontrati due volte negli ultimi due anni al Cairo. E che la cooperazione tra i due Paesi si è rafforzata negli ultimi anni in funzione anti-Ankara. L’Egitto sostiene le truppe libiche al comando del generale Khalifa Haftar, e il governo siriano, alleato della Russia, ha stabilito formali relazioni diplomatiche con il governo che fa capo a Haftar, contro quello di Fayyez Sarraj sostenuto, tra gli altri, dalla Turchia. Come riferito nelle ultime ore da diverse fonti siriane in Siria, la Russia e gli Hezbollah libanesi, vicini all’Iran e che dal 2012 appoggiano il governo di Damasco nella guerra in corso, hanno cominciato a reclutare civili siriani da inviare in Libia a sostegno “logistico” delle truppe di Haftar impegnate nell’assedio di Tripoli. 

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Emergenza umanitaria

Nel frattempo la situazione dei migranti diventa sempre più grave, come testimonia a Vatican News il reporter del quotidiano Avvenire, Nello Scavo, che in questi giorni è stato inviato proprio nella zona di confine tra Turchia e Grecia. “Quello che noi abbiamo visto, e che abbiamo anche documentato – spiega Scavo – è l’uso di esseri umani come armi non convenzionali di una guerra tra potenze. Sono state ammassate migliaia e migliaia di persone lungo la linea di confine sapendo che sarebbe stato per loro impossibile riuscire a passare. Questa mattina le autorità greche ci hanno informato che gli ultimi respingimenti riguardano più di 1400 persone solo nella giornata di ieri fino a poche ore fa. Questo vuol dire che gli scontri saranno sempre molto intensi fino a quando non si troverà una soluzione politica”. Le autorità greche – prosegue Scavo – reagiscono, sono stati usati anche lacrimogeni e fumogeni. D’altra parte lo stesso accade anche dalla parte turca. Noi abbiamo anche visto dei migranti picchiati dalla polizia turca perché non volevano più assaltare la linea di confine. E dunque si tratta davvero di persone schiacciate tra due fuochi”.

Ed è in questo scenario apocalittico che la Siria è entrata nel decimo anno di guerra. Il numero degli sfollati interni ha superato i 6,5 milioni; altrettanti sono i profughi nei Paesi limitrofi. Quando l’Onu ha smesso di contare le vittime, queste ultime erano oltre mezzo milione. Considerando che la popolazione siriana totale era di circa 22 milioni prima del conflitto, si comprende la vastità di questa tragedia senza fine. Le immagini girate dai droni che sorvolano le città siriane mostrano uno scenario desolante. Il grigio e il silenzio regnano su città semi deserte, dove sono state distrutte case, scuole, siti archeologici, luoghi di culto e ospedali, a conferma le ripetute violazioni delle convenzioni internazionali. Hanno fatto un deserto e  l’hanno chiamato pace.

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