Muroni (Leu): "La Libia non è paese né porto sicuro, revocare accordi"
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Muroni (Leu): "La Libia non è paese né porto sicuro, revocare accordi"

La deputata: "Parliamo di un 'non Stato' dove è in atto un conflitto tra milizie di opposte fazioni che configura a tutti gli affetti una guerra civile"

Migranti detenuti in Libia
Migranti detenuti in Libia
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28 Ottobre 2019 - 16.07


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Tutti lo sanno ma tutti tentennano: “La Libia non è un né un Paese né un porto sicuro, come l’Onu e la Commissione Europea dicono da tempo e come ricorda oggi la giornalista e direttrice del network DonnexDiritti Luisa Betti Dakli. Se non vogliamo essere complici di violazioni di diritti umani e crimini contro l’umanità, l’Italia revochi l’accordo con la Libia per la gestione dei flussi dei migranti che altrimenti dal 2 novembre sarà rinnovato automaticamente per tre anni. Parliamo di un ‘non Stato’ dove è in atto un conflitto tra milizie di opposte fazioni che configura a tutti gli affetti una guerra civile. Una situazione ulteriormente aggravata da quanto sta avvenendo nel nord della Siria”.
Lo afferma in una nota la deputata di Leu, Rossella Muroni, parlando dell’accordo stipulato dall’Italia con la Libia in materia di controllo dei flussi migratori.
“Nell’ultimo report sulla situazione umanitaria dei migranti in Libia della missione delle Nazioni Unite in Libia, ci sono – aggiunge – numerose testimonianze di donne stuprate e torturate, il rapporto ‘L’inferno al di là del mare’ di Oxfam Italia, Borderline Sicilia e Medici per i diritti umani raccontava già nel 2017 le violenze e i maltrattamenti che si verificano nei centri di detenzione – o forse sarebbe più corretto dire lager – libici. Una violenza, una disumanità e un disprezzo dei diritti umani di fronte al quale non si può restare indifferenti. Sospendere tutti gli accordi con la Libia in materia di controllo dei flussi migratori è quanto chiedono da tempo alcuni parlamentari con interrogazioni e risoluzioni. Oltre ad essere necessario, revocare il Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia rappresenterebbe anche quel segnale di discontinuità da più parti invocato in occasione dell’insediamento del nuovo esecutivo”, conclude.

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