Perché la Bosnia è un paese nato morto
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Perché la Bosnia è un paese nato morto

Nessuno ha avuto ancora il coraggio di dire che il solo modo per rimettere in piedi la Bosnia è quello di cancellare una unione forzata. [Giuseppe Zaccaria]

Perché la Bosnia è un paese nato morto
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14 Ottobre 2012 - 10.59


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Scusateci, abbiamo sbagliato tutto. Quello che da qualche settimana si sta muovendo intorno alla Federazione di Bosnia Erzegovina
potrebbe sembrare la scena di una “pochade” se invece non stesse gettando le premesse di un altro, drammatico passaggio della storia nell’Europa
del Sud Est.

L’ingresso di Saturno in Scorpione (ormai per spiegarsi certe virate della politica estera mondiale c’è rimasta solo l’astrologia) sembra avere spinto mezzo a dire quel che tutti sapevano da tempo, e cioè che la Bosnia così non può andare avanti, è un Paese
nato morto e dunque o ci si decide a fare qualcosa o tanto vale lasciarlo affondare.

Daniel Serwer, direttore a Washington del Centro per i rapporti transatlantici è soltanto l’ultima “testa d’uovo” che interviene sull’argomento, ma se non altro mette chiaramente in fila gli elementi della questione: “Le istituzioni bosniache hanno bisogno di riforme
fondamentali – dice – eppure la Ue dice che bisogna cambiare ma non insiste su questo punto, mentre gli Stati Uniti parlano di riforme senza
sapere come farle”. Bella prospettiva, non c’è che dire e ancora nessuno ha fatto il passo ulteriore, nessuno ha avuto ancora il coraggio di
dire che il solo modo per rimettere in piedi la Bosnia è quello di cancellare l’eguaglianza forzata.

Meglio chiarire subito che nessuno pensa di abolire la democrazia o di ripristinare il dominio ottomano (anche se a certi circoli islamici l’idea non
dispiacerebbe) né di riarmare le etnie aspettando di vedere chi riesce ad ammazzare di più. Il punto è un altro: ormai perfino ai suoi ideatori
è chiaro che a fallire in modo irrimediabile è l’idea di una parità imposta da leggi, regolamenti e pastoie messe a punto diciassette anni fa
da esperti della diplomazia e teorici di una democrazia coltivata “in vitro”.

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La Bosnia nata dagli accordi di Dayton del 1995 e dal successivo protocollo di Parigi è un Paese diviso in due (Una federazione croato-musulmana
con capitale a Sarajevo ed una “entità” serba con centro a Banja Luka) che a sua volta nella metà comune a cattolici e musulmani si divide in
cantoni, ciascuno dei quali dispone di un proprio Parlamento, di propri ministri, di bilanci autonomi e competenze esclusive sul proprio
territorio.

Secondo la Costituzione nata da Dayton ciascun organo rappresentativo, dal consiglio comunale a quello cantonale e dunque al ministero per finire
con il Parlamento, deve formulare decisioni “equamente rappresentative”, ovvero spesso impossibili. Il bilanciamento esasperatob dei poteri ha
condotto a una paralisi completa, ed questo proposito spesso viene citato un esempio grottesco: la Filarmonica di Bosnia si è riunita una volta
sola per eseguire il nuovo inno nazionale (privo di parole, per essere “equanime”), e da allora non l’ha più fatto poiché bisognerebbe mettersi
d’accordo su tre file di strumenti a fiati, tre di archi e tre di tamburi. E poi come la mettiamo con il primo violino?

In diciassette anni di democrazia paralizzata ci sono stati uomini di buona volontà che hanno cercato di mandare avanti la baracca, ma ogni
volta i loro sforzi venivano scambiati per tentativi di leadership a sfondo etnico: è accaduto più volte a politici provenienti dall’Erzegovina, dovei cattolici croati sono prevalenti ed ai musulmani del centro questo non poteva andare giù. Nello stesso tempo i nipoti di Alja
Izetbegovic hanno visto gonfiarsi al loro interno una componente tradizionalista e poi estremista che va facendosi sempre più imbarazzante
ed oggi ha prodotto l’occupazione di interi villaggi che nel Sud Est d’Europa portano avanti vita e verbo degli alawiti.

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Dall’altra parte, la “Republika Srpska” di Banja Luka fa finta di partecipare ai lavori di un Parlamento bloccato ma intanto porta avanti una
politica autonoma che quando serve che fa riferimento a Belgrado, e quando si tratta di concludere affari nel settore energetico procede spedita per conto suo.

Questo feticcio piantato nel ventre d’Europa continua a produrre deficit, disoccupazione, fame, tensioni, divora centinaia di miliardi di euro
senza alcuna possibilità di rinascita. Insomma, deve cambiare. Anche se nessuno sa ancora dire come.

Gli Stati Uniti hanno fatto sapere di recente che stanno consultando gli alleati in vista di una conferenza internazionale da tenere entro la
primavera dell’anno prossimo, l’Alto commissario dell’Onu ha denunciato ripetutamente “la paralisi delle istituzioni”, le fabbriche continuano
a chiudere ed il Kosovo ha occupato anche altri importanti settori economici, come il traffico di droga o di esseri umani. Insomma, o si cambia
o si muore. In attesa di questo momento MIlorad Dodik, presidente-padrone della “Republika Srpska” ha già detto: “Noi vogliamo tornarcene con
Belgrado”.

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E’ molto difficile che questo accada, a meno di non voler distruggere un secondo feticcio, quello dell’intangibilità delle frontiere (che
peraltro vale per tutti eccetto che per il Kosovo) però le cose devono cambiare e sarà davvero interessante vedere come.

Una delle migliori analisi sulla politica estera delle potenze occidentali rispetto ai Balcani rimane ancora quella di Carl Bildt, oggi
ministro degli Esteri svedese e in passato primo rappresentante Onu in Bosnia: “Dovremmo metterci d’accordo sul modello da applicare nei Balcani
– disse una decina di anni fa – prima abbiamo accettato la nascita di stati nazionali come Slovenia e Croaza, poi in Bosnia abbiamo costretto
cattolici, ortodossi e musulmani a restare assieme, adesso abbiamo il modello Kosovo di fronte al quale non esistono soluzioni precostituite”.

Un bel panorama, in effetti. Se almeno in Kosovo gli stessi americani che vollero a tutti i costi i bombardamenti della Serbia e poi l’indipendenza
di Pristina oggi diventano “tycoons” di nuova specie (Madeleine Albright privatizzerà Poste e Telecomunicazioni, Wesley Clarck punta allo
sfruttamento delle miniere e guida il gruppo che costruisce
autostrade) la Bosnia non può contare neanche su pacificatori che si trasformano in sciacalli. Islamici a parte, non la vuole nessuno.

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