Sondaggi: ecco perché sbagliano
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Sondaggi: ecco perché sbagliano

Diciamoci la verità: i sondaggi non servono a prevedere i risultati elettorali. Sono solo la a semplice fotografia dell’opinione di una popolazione in un dato momento.

Sondaggi: ecco perché sbagliano
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27 Maggio 2014 - 14.43


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di Franco Balbo

E anche questa volta i sondaggi hanno fatto flop. Doveva essere un testa a testa Pd-M5s. La maggior parte dei sondaggi assegnava un leggero vantaggio al Pd, qualcun altro teorizzava il sorpasso da parte del Movimento di Grillo ai danni del Partito di Matteo Renzi e invece le urne ci hanno consegnato un +20 del Partito Democratico sul Movimento 5 Stelle. Insomma, un Pd davanti a tutti e ben distaccato dagli altri partiti.

Perché i sondaggi continuano ad essere così “sballati”?

Forse è venuto il momento di dirsi la verità: i sondaggi non servono a prevedere i risultati elettorali. Il sondaggio è una semplice “fotografia” dell’opinione di una popolazione in un dato momento. I sondaggi non leggono il futuro. Basti immaginare una gara di formula uno. Una foto all’ultimo giro non può assicurarci che l’ordine di arrivo sia lo stesso e soprattutto non può garantire che i distacchi tra i piloti siano identici a quelli fotografati un giro prima.

E allora a cosa servono i sondaggi se non possono “prevedere il futuro”? I sondaggi sono comunque molto utili perché ci descrivono la situazione del momento. Per un candidato sapere che ci sono ancora tantissimi indecisi o che è indietro nei consensi espressi può aiutarlo a decidere di cambiare strategia elettorale, a puntare su altri temi proponendo altre idee e soluzioni. I sondaggi, infatti, per servire veramente al candidato o al Partito, andrebbero fatti all’inizio e a metà della campagna elettorale.

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Premesso questo, vediamo in concreto cosa può non aver funzionato nei sondaggi elettorali:

– Il campionamento, cioè la scelta delle persone rappresentative di una intera popolazione di riferimento. Un presupposto per la qualità dei sondaggi è che il campione sia scelto in modo perfettamente casuale tale da essere realmente rappresentativo. In molti casi però il campione non è estratto in modo casuale. Il tradizionale sistema delle interviste telefoniche, ad esempio, è ormai inadeguato perché un numero sempre più crescente di italiani non ha il telefono di rete fissa. Se il “campione” di intervistati non rispecchia il Paese, è chiaro che la forbice d’errore aumenti.

– il tempo di somministrazione del sondaggio. Il voto di “appartenenza politica” è sempre meno presente, soprattutto dopo la caduta del “muro” e della crisi delle ideologie. In questa “epoca storica” è più facile che le persone votino un partito e poi, in elezioni successive, ne votino un altro. Non c’è una “fidelizzazione” dell’elettore come in passato. Oggi si passa con più disinvoltura da Lega a M5s, da Forza Italia al Pd in base ai leader e alle proposte politiche del momento.

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La scelta del voto spesso avviene ai seggi o nel giorno precedente. Così può succedere che una persona il venerdì dichiari un voto e poi parlando con parenti, rappresentanti di lista, amici, edicolante, cambi idea. Accade che la fotografia del venerdì non sia uguale o simile a quella della domenica.
– I sondaggi non contano gli indecisi. Quando si intervistano come campione 1000 persone e ben 300 di queste (30%) si dichiara indeciso o non risponde è chiaro che qualsiasi intenzione di voto dichiarino gli altri 700 è una dichiarazione che non può descrivere in alcun modo come sarà il reale esito del voto.

Ad esempio, se il nostro campione si dichiara ancora indeciso per oltre il 30% degli intervistati, dire che il PD è al 33% non può essere presa come previsione finale. Il dato deve essere descritto semplicemente per quello che è, e cioè che tra chi ha già deciso cosa votare (ammesso che non cambi idea) il 33% dichiara che voterà PD. Poi gli indecisi voteranno e cambieranno sicuramente quel dato. Tutto qui. Tutto e nulla se volevamo una previsione.

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– Molte persone mentono. Alcune risposte non sono veritiere semplicemente perché vi sono persone che non vogliono far sapere ad uno “sconosciuto” la loro intenzione di voto, soprattutto se ritengono il voto per quel partito “socialmente” non condiviso. Famoso esempio è quello della Democrazia Cristiana. “Nessuno” dichiarava di votarla ma poi aveva urne piene di consensi.
In questo scenario è evidente che le previsioni elettorali devono essere affinate tenendo sempre ben presente, come si è detto, che i sondaggi non prevedono il futuro ma fotografano il dato “qui ed ora”.
Evitando quindi di dare responsabilità e competenze ai sondaggi che non possono avere, nulla vieta di tentare di studiare metodologie in grado di stare al passo con i cambiamenti sociologici del paese (fine delle interviste telefoniche? Twitter pool?). Bisognerà forse potenziare l’indagine qualitativa (focus group, interviste individuali in profondità) da affiancare all’analisi quantitativa dei dati. Insomma provare ad entrare tra e con la gente. Capire gli umori e i “dissapori”.

Certo è che sarà molto difficile ottenere una foto statica nel tempo e ben a fuoco in un contesto dove i soggetti da fotografare sono così in movimento, più “volatili” nel voto e sempre più indecisi.

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