Da quattro mesi è prigioniera del coronavirus: una bambina milanese di quattro anni continua a risultare positiva al tampone e non può dunque lasciare la sua abitazione. Al Corriere della Sera la mamma spiega quanto sia terribile la situazione in cui è costretta da 120 giorni.
«Serve un doppio tampone negativo per liberare mia figlia ‘legalmente’, ma non voglio più sottoporla a questo stress. È tormentata dagli incubi, si risveglia urlando, parla di mostri e di dottori cattivi».
Le autorità sanitarie concordano con la mamma sul fatto che non sia più un pericolo per gli altri eppure nessuno si prende la responsabilità di liberarla. A maggio il primo tampone (“debolmente positivo”).
Parte il balletto di altri quattro test, «uno l’opposto dell’altro: debole, negativo, positivo. Tutti concentrati in un mese, vissuti con la speranza di uscire dall’incubo e la delusione di doverli ripetere, di dover immobilizzare di nuovo la bambina» per cercare col cotton-fioc tracce del virus nel naso e nella bocca. In base alle norme servono due «negativi» a distanza di 24 ore per finire la quarantena. Ma per la piccola il via libera non arriva.
La bambina inizia a manifestare disturbi comportamentali, non vuole farsi toccare o salire in auto. La mamma decide di non sottoporla più ai test e si rivolge alle autorità competenti regionali (che hanno già evidenziato il problema al ministero della Salute) e nazionali.
«Tutti mi hanno confermato che la bambina non è più contagiosa, ma nessuno si è assunto la responsabilità di liberarla. Chiedo che si valutino altri elementi per la fine della quarantena non si possono violentare così i bambini».
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