Morto il migrante picchiato per aver difeso la moglie da insulti razzisti
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Morto il migrante picchiato per aver difeso la moglie da insulti razzisti

Un ultrà di Fermo aveva dato della 'Scimmia' alla compagna e il nigeriano aveva reagito. È stato picchiato a morte. Malmenata anche la donna.

Emmanuel Chidi Namdi e la compagna Chinyery (ansa)
Emmanuel Chidi Namdi e la compagna Chinyery (ansa)
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6 Luglio 2016 - 19.51


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Scimmia! Poi il litigio, il coma e la morte. Non ce l’ha fatta il nigeriano Emmanuel Chidi Namdi, richiedente asilo di 36 anni.  Era fuggito con la 24enne Chinyery da Boko Haram, trovando ospitalità presso il seminario arcivescovile della cittadina marchigiana.

Ieri in via XX Settembre l’aggressore, denunciato a piede libero, si è rivolto alla donna chiamandola “scimmia”.

Ne è scaturita una colluttazione violentissima al termine della quale Emmanuel era in fin di vita. Il decesso oggi pomeriggio. È morto per razzismo. 

 

La vicenda. Il fermano ha avvicinato l’uomo e la sua convivente in strada e ha insultato la donna chiamandola “scimmia”. Il nigeriano ha reagito e quanto è seguito è in via di accertamento. Secondo una versione dei fatti, il nigeriano ha sradicato un palo della segnaletica stradale e picchiato l’italiano, facendolo cadere a terra. Rialzatosi, l’uomo si è scagliato contro l’africano riducendolo in fin di vita a forza di botte. Secondo altre ricostruzioni, il 36enne è stato colpito ripetutamente, e una volta alla nuca, con il palo della segnaletica divelto. Entrato in coma, Emmanuel Chidi Namdi è spirato nel pomeriggio di mercoledì.

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Violenze anche sulla donna. Anche la compagna del nigeriano è stata malmenata, riportando escoriazioni alle braccia e a una gamba guaribili in sette giorni. L’ultrà 35enne è stato denunciato a piede libero. Un altro uomo era con lui e per ora entra nella vicenda solo come testimone.
Emmanuel Chidi Namdi e la compagna Chinyery erano arrivati al seminario vescovile di Fermo lo scorso settembre, fuggiti dalla Nigeria dopo l’assalto di Boko Haram a una chiesa. Nell’esplosione erano morti i genitori della coppia e una figlioletta. Prima di sbarcare a Palermo, avevano attraversato la Libia, dove erano stati aggrediti e picchiati da malviventi del posto. Durante la traversata, Chinyery aveva abortito.
E adesso mons. Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, accusa: “È stata una provocazione gratuita e a freddo, ritengo che si tratti dello stesso giro delle bombe davanti alle chiese”. Riferimento ai quattro ordigni piazzati nei mesi scorsi di fronte a edifici di culto di Fermo. Monsignor Albanesi, che è anche presidente della fondazione Caritas in Veritate che assiste migranti e profughi, si costituirà parte civile.
Il sindaco di Fermo, Paolo Calcinaro, in una nota, esprime il suo dolore e condanna non solo il brutale episodio ma anche lo “strisciante razzismo che non può e non deve trovare spazio nel modo più assoluto nella nostra città”. “La comunità di Fermo – ribadisce Calcinato – è conosciuta come esempio virtuoso di integrazione e accoglienza anche rispetto a chi rifugge da drammi inenarrabili. Non merita di essere bollata per quanto emergerà da questo episodio, ma deve invece rivendicare con forza lo spirito che ha sempre contraddistinto la sua realtà, le etnie straniere, i nuovi cittadini italiani ed i figli di tutti loro, che stanno crescendo insieme, senza discriminazione”.

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Interviene l’Anpi provinciale di Fermo, per ricordare come Emmanuel e Chimiary, “nostri fratelli e compagni, vittime delle persecuzioni e delle guerre civili nel loro paese” sono anche “vittime della violenza fascista e razzista in Italia”, perché i “due cosiddetti cittadini italiani” coinvolti nella brutta vicenda sono “noti da tempo alle forze dell’ordine come ultras ed elementi della destra fascista”, “stupidi pericolosi sicari generati da un clima di intolleranza, di paura e d’odio innescato volutamente da quanti pensano di far leva sulle angosce e i timori della gente in difficoltà per avvantaggiarsene politicamente ed economicamente”.

 
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