Così la destra ha invaso la Rai al grido di "nuova narrazione"
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Così la destra ha invaso la Rai al grido di "nuova narrazione"

Il percorso annunciato più volte dall’ex direttore del Tg2 e ora ministro della cultura Gennaro Sangiuliano: il cambio di narrazione.

Così la destra ha invaso la Rai al grido di "nuova narrazione"
Giorgia Meloni e Gennaro Sangiuliano
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Vincenzo Vita Modifica articolo

5 Luglio 2023 - 09.35


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L’«operazione speciale» della destra sulla Rai ha fatto un salto di qualità. 

Si sono incrociate notizie diverse, ma unite da uno scuro filo conduttore: la presa del potere sulla e nella azienda pubblica da parte del nuovo establishment, guidato da Fratelli d’Italia con gli alleati della maggioranza e con i gruppi dell’universo comunicativo che sentono arrivati i propri quindici minuti di celebrità, dopo gli anni della presunta (molto presunta) egemonia culturale della sinistra.

La neppure troppo delicata moral suasion inversa, che ha facilitato l’uscita– con tutte le differenze del caso- di Fabio Fazio, Lucia Annunziata, Maurizio Mannoni, fino all’annuncio di Bianca Berlinguer e la situazione di precarietà di altre e di altri, rientra nel percorso annunciato più volte dall’ex direttore del Tg2 e ora ministro della cultura Gennaro Sangiuliano: il cambio di narrazione. Come se il palinsesto di un’emittente complessa come la Rai fosse assoggettabile ad una bacchetta magica. 

Il servizio pubblico, pur con gli svariati difetti che ne hanno accompagnato la storia, ha -comunque- creato una forma di estetica e ha conquistato successi di ascolto non facilmente replicabili se l’ingranaggio venisse rotto con modalità di violenza simbolica. Ed è proprio un caso di scuola la volontà di chiudere l’esperienza della terza rete rinnovata da Angelo Guglielmi e Sandro Curzi, le cui vestigia creative sono state uno dei pochi baluardi della programmazione.

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Se il cambio di narrazione assomigliasse a quello sperimentato giorni fa al museo Maxxi di Roma dalla conclamata direzione conservatrice del neopresidente Giuli con Sgarbi e Morgan, allora ci sarebbe poco da sperare. 

Ci si aspetta una reazione forte da parte delle anime progressiste, politiche e sindacali, più di quanto sia avvenuto nelle ore passate, malgrado le prese di posizione coraggiose, a partire dalle dichiarazioni della federazione della stampa, del sindacato interno e del consigliere di amministrazione rappresentante dei lavoratori Riccardo Laganà.

A proposito del consiglio, va ricordato che la sua maggioranza (con i voti contrari del citato Laganà e l’astensione della esponente del partito democratico Francesca Bria) ha varato il testo del contratto di servizio 2023-2028, che ora viaggerà per l’approvazione definitiva nelle stanze del ministero delle Imprese e del Made in Italy, nonché nell’aula della commissione parlamentare di vigilanza. 

Stupisce il favore attribuito all’articolato dalla presidente Marinella Soldi, che non pare proprio attenta a perseguire il ruolo di garanzia per cui fu eletta. Infatti, si era espressa con forti preoccupazioni su di un dispositivo assai lacunoso, inzeppato di spunti di cattiva ideologia sulla natalità e la famiglia, oltre ad aprire il vulnus sul giornalismo di inchiesta relegato alle varie ed eventuali. Pure il consigliere espresso dal Mov5Stelle Alessandro di Majo aveva manifestato un dissenso, a quanto pare poi rientrato.

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Il contratto di servizio è un affare complesso, che dovrebbe sfuggire alle sciabolate buone per le campagne elettorali. Andrà esaminato bene, appena il testo sarà disponibile. Tuttavia, è utile ricordare che il documento (ora all’ottava puntata, dopo il primo siglato nel 1994) costituisce l’attuazione operativa della Convenzione che regola i rapporti tra lo Stato e la Rai. Sulla base degli assunti contenuti si inverano senso e missione del servizio pubblico, essenziali per giustificare la legittimità del canone di abbonamento. Non sarà sfuggito che proprio su tale imposta da mesi è in corso un balletto, essendo passata (fin qui) l’ipotesi di svincolarne la riscossione sulla bolletta elettrica.

Non solo. Quale futuro prossimo venturo si disegna, per un apparato sballottato ai margini dell’infosfera, e di cui sfuggono le coordinate per rifondarsi come Digital Media Company di servizio pubblico, secondo le parole spese (invano?) dall’attuale amministratore delegato Roberto Sergio audito dalla sede parlamentare? Non basta la parola.

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Il prossimo 7 luglio a Napoli verranno presentati i nuovi palinsesti: se ne leggono di cotte e di crude. Pier Silvio Berlusconi pare aver colto la falla che si è aperta nella vecchia blasonata ammiraglia del sistema e -forse- intende scompaginare l’antica dialettica del duopolio. La campagna acquisti è in corso.

Una bizzarria: l’indagine Qualitel appena varata dalla apposita direzione con il consorzio specializzato in materia ha attribuito un 8 a quasi tutte le realtà produttive. Già, il merito.

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