Siria: le guerre si moltiplicano
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Siria: le guerre si moltiplicano

L’'esercito statunitense ha ucciso con un raid aereo in Siria un leader dell'Isis, Khalid Aydd Ahmad al-Jabouri, "responsabile della pianificazione degli attacchi in Europa".

Siria: le guerre si moltiplicano
Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, con il presidente siriano Bashar Assad
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Aprile 2023 - 14.31


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Siria, le guerre si moltiplicano. C’è la guerra “ombra”, praticata ma non dichiarata, tra Israele e il regime di Bashar al-Asadm sostenuto dai pasdaran iraniani e dagli hezbollah libanesi. E poi c’è la guerra all’Isis.

Eliminazioni mirate

L’’esercito statunitense ha ucciso con un raid aereo in Siria un leader dell’Isis, Khalid Aydd Ahmad al-Jabouri, “responsabile della pianificazione degli attacchi in Europa”. Lo ha reso noto il Comando centrale Usa, secondo cui l’operazione non ha provocato vittime civili e “comprometterà temporaneamente la capacità dell’organizzazione di pianificare attacchi esterni”. Tuttavia il gruppo afferente ad al-Jabouri “rimane in grado di condurre operazioni” in Siria e mantiene l’obiettivo “di colpire oltre il Medio Oriente”. L’Isis, dunque, è ben lungi dall’essere definitivamente sconfitto. L’eliminazione del leader dello Stato Islamico è avvenuta in una città del nord della Siria e l’attacco che ne ha provocato la morte è stato portato con droni dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede nel Regno Unito, ha dichiarato ieri che una persona è stata uccisa in un attacco di velivoli senza pilota vicino al villaggio di Kefteen, controllato dai ribelli. La Protezione civile siriana organizzata dall’opposizione del regime di Assad, e nota anche con il nome di Caschi Bianchi, ha confermato di aver soccorso un uomo sul luogo del bombardamento, e che in seguito è deceduto a causa delle ferite riportate.

Al culmine del suo potere nel 2014 – annota Davide Falcioni su fanpage,it, – lo Stato Islamico controllava intere aree dell’Iraq e della Siria. In seguito l’Isis è stato duramente colpito sia dalla coalizione internazionale a guida USA sia dall’alleanza tra il governo siriano e la Russia di Putin. Si stima che ad oggi del gruppo facciano parte tra i cinquemila e i settemila miliziani sparsi tra la Siria e l’Iraq, circa la metà dei quali combattenti, secondo un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato a febbraio. Sempre secondo l’Onu la minaccia rappresentata dallo Stato Islamico e dai suoi affiliati alla pace e alla sicurezza internazionali è stata elevata nella seconda metà del 2022 ed è aumentata all’interno e intorno alle zone di conflitto in cui il gruppo è presente. Alla fine dell’anno scorso, l’Isis ha annunciato di aver nominato una figura precedentemente sconosciuta – Abu al-Hussein al-Husseini al-Quraishi – come suo leader.

Una trasformazione imposta

Un passo indietro nel tempo. Nel dar conto dell’eliminazione del successo di Abu Bakr al-Baghadi alla guida del Daesh, il 4 febbraio 2022 Francesco Bussoletti annota in un documentato report su Difesa&Sicurezza: “Abu Ibrahim Al Hashimi Al Quraishi, “Califfo” dello Stato Islamico, è morto. Ha perso la vita nel corso di un raid delle forze speciali statunitensi a Idlib. Non è chiaro se il comandante supremo dell’ex Isis, che aveva preso il posto di Abu Bakr Al Baghdadi (morto anche lui a Idlib) sia stato ucciso nel corso di un conflitto a fuoco o si sia fatto esplodere per non essere catturato. E’ certo, però, che nell’operazione sono morte 13 persone, di cui sei bambini e quattro donne e che si sia sentito un fortissimo scoppio. Si presume, perciò, che Quraishi (alias Amir Muhammad Sa’id Abdal-Rahman al-Mawla) abbia emulato le gesta del suo predecessore, anche per quanto riguarda il sacrificio della famiglia. Al Baghdadi, infatti, per non essere preso attivò una bomba, morendo insieme a tre dei suoi figli e a due mogli.

Per lo Stato Islamico la morte di Quraishi è un colpo molto duro, ma non insuperabile. Il “Califfo”, infatti negli ultimi anni aveva perso molto del suo grip sui jihadisti. Soprattutto, dopo le rivelazioni sul fatto che in passato vendette i suoi uomini agli Stati Uniti per fare “carriera” all’interno dell’ex Isis. Tra il 3 gennaio e il 2 luglio 2008, infatti, cooperò scientemente con il “nemico”. Al-Mawla, fornendo informazioni decisive che portarono alla cattura e alla morte di numerosi suoi compagni o superiori e svelò i nomi di infiltrati in organizzazioni come la Mezzaluna Crescente. Il caso più eclatante furono gli “intel” da cui scaturì l’operazione in cui morì Abu Qaswarah, il numero due dello Stato Islamico in Iraq (Isi), il cui ruolo fu assunto proprio da Al-Mawla.

L’ex Isis oggi è una galassia fluida, che ha spostato il suo interesse dal Medio Oriente all’Asia e soprattutto all’Africa. I gruppi locali combattono sotto un’unica bandiera, ma sono autonomi e indipendenti.

Oggi, inoltre, lo Stato Islamico è diventata una galassia fluida come al Qaeda, composta da formazioni che combattono sotto un’unica bandiera, ma che mantengono una forte indipendenza e autonomia. Per di più, il centro dell’interesse dell’ex Isis dal Medio Oriente si è spostato verso l’Asia e soprattutto in Africa. Un territorio lontano, in cui operano gruppi che Al Quraishi conosceva poco. Di conseguenza, il leader aveva un controllo generale molto limitato se non nullo e doveva necessariamente delegarlo ai vertici locali, limitandosi a fornire solo una sorta di indirizzo. Non a caso, negli anni del suo “Califfato”, Al-Mawla ha diffuso pochissimi messaggi ai suoi seguaci e ha mantenuto un profilo basso, evitando di apparire in pubblico.

La morte di Quraishi ora impone allo Stato Islamico una profonda revisione interna. Innanzitutto, l’ex Isis dovrà nominare un nuovo “Califfo” e riorganizzarsi in base alla visione di costui. Non si esclude, peraltro, che il leader possa essere per la prima volta qualcuno che abbia legami sia con il Medio Oriente sia con l’Africa. Ciò per sfruttare appieno la forte spinta espansiva in corso dei gruppi regionali pro-IS (Iscap, Iswap e Isgs) nel Continente. Questo processo, peraltro, non sarà immediato e nel frattempo, la formazione sarà più debole e permeabile agli attacchi. Di contro, però, aumenteranno anche i pericoli di attacchi terroristici in Occidente a scopo di vendetta, anche mediante lupi solitari. In questo contesto, logicamente, i paesi più a rischio sono i membri di Inherent Resolve”.

Partita aperta su scala globale

Ne dà conto nel suo Blog sul Fatto quotidiano.it Amer Al Saballeh, docente e direttore di Trageduepuntozero: “Rispondendo alle domande durante l’audizione annuale del Comitato di intelligence del Senato degli Stati Uniti sulle principali minacce alla nazione questa settimana, il direttore della Defense Intelligence Agency (Dia), il tenente generale Scott Berrier, ha suonato l’allarme sul possibile ritorno di gruppi terroristici e in particolare di al Qaeda e Isis. Nella sua dichiarazione di un mese dopo la conquista di Kabul da parte dei talebani, aveva rimarcato che una rinata al Qaeda con l’aspirazione di attaccare gli Stati Uniti potrebbe diventare una realtà entro tre anni.

Il tenente generale ha dichiarato: “E direi, sulla base di ciò che sappiamo in questo momento dalla minaccia di al Qaeda, stanno cercando di sopravvivere, fondamentalmente senza un vero piano per attaccare l’Occidente almeno in qualsiasi momento presto. E direi che l’Isis-K rappresenta una minaccia un po’ più grande, ma sono sotto attacco da parte del regime talebano in questo momento. Ed è una questione di tempo prima che possano avere la capacità e l’intenzione di attaccare effettivamente l’Occidente a questo punto”.

Il crescente numero di attacchi che l’Is sta conducendo in Afghanistan e Pakistan potrebbe essere un’indicazione che non stanno soffrendo per gli attacchi dei talebani, ma in realtà potrebbe suggerire un reale desiderio di diminuirne l’autorità. Questi sviluppi in corso sono legati agli obiettivi primari dell’Is a Kabul, che prendono di mira il personale e i siti talebani, comprese le istituzioni religiose e educative. Suggeriscono anche che il gruppo intende ridurre l’autorità dei talebani con ogni mezzo, arrivando al punto di colpire i cittadini stranieri in siti civici, hotel e aziende.

Ci si aspettava che il ritiro degli Stati Unitidall’Afghanistan, lasciando i talebani al potere, sarebbe stato visto da molti gruppi come un modello da imitare, inviando il messaggio che se sei forte sul terreno sarai riconosciuto come l’unica autorità. Sono stati numerosi gli impatti nella scena terroristica globale quando la conquista dell’Afghanistan da parte dei talebani ha spianato la stradaai gruppi terroristici per coordinarsi e attaccare altrove. I crescenti e più frequenti attacchi di Daesh in Siria e Iraq e il coinvolgimento nel traffico di droga suggeriscono che hanno intenzione di riemergere e sfruttare la situazione regionale e l’instabilità interna.

Questo potrebbe vederli passare da operazioni su piccola scala a tattiche più ampie, tra cui cellule dormienti, lupi solitari a operazioni più sofisticate in modo che il gruppo possa inviare un messaggio del loro arrivo al mondo. Vi è una chiara necessità di una maggiore cooperazione in materia di sicurezza e di una collaborazione avanzata tra la regione e a livello globale per affrontare questo rischio.

La valutazione della Dia degli Stati Uniti dovrebbe motivare i paesi ad attivare una coalizione internazionale per anticipare questi rischi crescenti e includere le reti criminali nel mandato di questa coalizione antiterrorismo. È fondamentale concentrarsi su ciò che sta accadendo attualmente in Afghanistan in quanto potrebbe offrire spunti per anticipare le minacce dall’Isis in Africa, al Qaeda nello Yemen e di Daesh in Siriae Iraq”.

La chiamano “guerra ombra”

 Quella tra Israele e Siria: perché mai dichiarata, ma anche perché i dettagli sono sempre assai scarni e condizionati dalla propaganda delle due parti. Una guerra che tuttavia prosegue da anni e che nelle ultime settimane si è intensificata, con frequenti attacchi aerei israeliani su territorio siriano. 

Tel Aviv solitamente non conferma le singole operazioni, ma sostiene di colpire basi e infrastrutture legate alle milizie filo-iraniane, come Hezbollah, che sostengono il regime del presidente siriano Assad.

L’ultimo episodio, stanotte: un raid aereo e missilistico israeliano ha colpito le periferie meridionali di Damasco. Le autorità locali segnalano la morte di due civili e danni materiali, nonostante che stando alla tv siriana le difese antiaeree abbiano abbattuto alcuni dei missili prima che raggiungessero gli obiettivi. E’ il quinto episodio del genere in pochi giorni, con quattro attacchi su Damasco e uno sulla provincia centrale di Homs dove hanno perso la vita due consiglieri militari iraniani. Ma i raid israeliani sulla Siria si contano a centinaia negli ultimi anni, inclusi alcuni sugli aeroporti di Damasco e di Aleppo e sui porti.Nelle stesse ore dell’ultimo bombardamento, Israele ha comunicato di avere abbattuto un “velivolo” che era entrato nel suo spazio aereo dalla frontiera siriana: si tratterebbe di un drone di fabbricazione iraniana .

Rientro in Lega

In vista del prossimo vertice della Lega araba a Riad, previsto il 19 maggio, sono in corso consultazioni per il reintegro della Siria all’interno del consesso dei 22 Stati arabi, dopo l’estromissione avvenuta nel 2011. Lo hanno riferito fonti della Lega araba ad “Agenzia Nova”.

“Non c’è ancora una decisione sul reintegro della Siria, ma sono già in corso consultazioni al riguardo”, hanno spiegato le fonti, secondo cui “se le consultazioni in corso avranno risultati positivi, i ministri degli Esteri arabi annunceranno nella riunione che precede il vertice dei capi di Stato arabi l’attivazione dell’adesione di Damasco”. Durante una riunione d’emergenza avvenuta a novembre 2011 al Cairo – dopo lo scoppio della guerra civile -, i ministri degli Esteri arabi avevano deciso di sospendere l’adesione della Siria alla Lega araba finché Damasco non avrebbe attuato le disposizioni dell’iniziativa araba. In quell’occasione, i titolari della diplomazia dei Paesi arabi avevano annunciato sanzioni economiche e politiche contro Damasco e avevano esortato l’esercito siriano a non usare la violenza contro i manifestanti anti-regime. Secondo le fonti, “la decisione di riportare la Siria al vertice arabo è nelle mani dell’Arabia Saudita, che si opponeva all’adesione di Damasco alla Lega araba a causa dei suoi rapporti con l’Iran. Ora la situazione è cambiata dopo la riconciliazione tra Riad e Teheran”.

Lo scorso 10 marzo, infatti, dopo anni di gelo, l’Arabia Saudita e l’Iran hanno riavviato le relazioni diplomatiche. Secondo le fonti, “c’è un’obiezione del Qatar al ritorno della Siria, ma se l’Arabia Saudita accetterà questo passo, Doha non si opporrà”. La stampa internazionale ha rivelato che il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, potrebbe recarsi nelle prossime settimane a Damasco per invitare formalmente il presidente della Siria, Bashar al Assad, al vertice del 19 maggio.

Guerra e diplomazia. Il Medio Oriente cambia volto. Ma noi non ce ne accorgiamo. 

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