Siria, le statue di Assad ricominciano a cadere
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Siria, le statue di Assad ricominciano a cadere

Dopo aver salvato il suo regime, Assad non ha fatto nulla per riavviare un dialogo politico o anche solo per aprire la porta a una riconciliazione.

Siria, le statue di Assad ricominciano a cadere
gente protesta ad as-Suwayda, nella Siria controllata dal regime.
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Settembre 2023 - 14.42


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Siria, le statue di Assad ricominciano ad essere abbattute. 

Altro che pacificazione

 Sale a 71 uccisi, di cui 9 civili tra cui 5 minori, il bilancio degli scontri armati in corso da una settimana nell’est della Siria tra forze filo-statunitensi e miliziani locali della valle dell’Eufrate. 
Lo riferisce l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, secondo cui nelle ultime ore una calma tesa regna nel distretto di Dhiban, a sud-est di Dayr az-Zor. 


Questo è stato l’epicentro delle tensioni, scoppiate lo scorso 29 agosto tra combattenti arabi della coalizione guidata dall’ala locale del Partito dei lavoratori curdi (Pkk), alleato degli Stati Uniti, e loro rivali arabi delle zone delle campagne a est dell’Eufrate. 


Il governo americano ha inviato nelle ultime ore due suoi alti emissari nell’area per contribuire a riportare la calma. 


Media regionali e siriani danno conto della visita a Qamishli, capoluogo della regione nord-orientale controllata dalla coalizione a guida del Pkk, del sottosegretario aggiunto americano per gli affari del Vicino Oriente, Etan Goldrich, e del generale statunitense, Joel Vowell, comandante della coalizione globale contro l’Isis. I due rappresentanti americani hanno incontrato i vertici dell’ala siriana del Pkk che guida la coalizione curdo-araba impegnata dal 29 agosto nel contenere la rivolta armata di milizie arabe della sponda orientale dell’Eufrate.

Da due report di Agenzia Nova: “Le Forze armate di Damasco hanno bombardato, nella serata di ieri, i villaggi di Barshaya, di Al Kandarilia e di Abla, in prossimità delle città di Qabasin e di Al Bab, a est di Aleppo, dove si trovano le postazioni delle milizie filo-turche locali, mentre Ankara ha colpito diversi siti controllati dalle Forze democratiche siriane (Sdf), coalizione di milizie a maggioranza curda sostenuta dagli Stati Uniti, a nord di Aleppo. A riferirlo è l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), organizzazione non governativa con sede a Londra, ma con una fitta rete di contatti sul campo, secondo cui, durante l’operazione dei militari di Damasco un numero imprecisato di persone è rimasto ferito. La regione interessata fa parte dell’area nella quale le Forze armate turche, con il supporto delle milizie locali, hanno condotto l’operazione denominata Scudo dell’Eufrate (lanciata da Ankara nel 2016 con l’obiettivo di prevenire la formazione di un “corridoio terroristico”). All’interno di quest’area, Ankara ha preso di mira, in particolare, i villaggi di Harbel e Sheikh Issa, a nord di Aleppo. Intanto, nella campagna di Manbij, a est della città, le Forze armate siriane hanno inviato rinforzi presso il villaggio di Arab Hassan, bombardando le postazioni delle milizie affiliate alla Turchia, che hanno risposto con il lancio di mortai.

Secondo il quotidiano turco “Hurriyet”, questa mattina il ministero della Difesa della Turchia ha annunciato in un comunicato stampa di aver “neutralizzato” (termine utilizzato da Ankara per designare l’arresto o l’uccisione di individui classificati come “terroristi”) sei combattenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk turco), nel nord della Siria, nella regione interessata dall’operazione denominata Sorgente di pace o Primavera di pace, lanciata nel 2019. I sei individui erano sospettati di pianificare attacchi nella Siria settentrionale. Nel comunicato del ministero della Difesa turco, inoltre, si ribadisce la “determinazione (di Ankara, ndr) a portare avanti la lotta contro il terrorismo”. La scorsa settimana, il dicastero turco aveva annunciato di aver compiuto progressi nel contrasto ai “gruppi terroristici” nel nord della Siria, neutralizzando, dall’inizio del 2023, 1.146 combattenti del Pkk.

Ieri, cinque membri dell’Esercito nazionale siriano, coalizione di gruppi ribelli sostenuta dalla Turchia, erano morti e altri 15 erano rimasti feriti in un attacco a est di Aleppo, nel nord della Siria, da parte di membri del Consiglio militare di Manbij. 

Continuano le proteste nella città di Al Suwayda, capoluogo dell’omonimo governatorato a maggioranza drusa della Siria meridionale, dove ieri i manifestanti hanno abbattuto una statua dell’ex presidente, Hafiz al Assad, padre e predecessore dell’attuale presidente, Bashar. Lo ha riferito il quotidiano siriano di opposizione “Al Modon”, precisando che l’abbattimento della statua è avvenuto in concomitanza delle commemorazioni per la morte di Wahid al Balous (che lanciava appelli ai giovani locali a rifiutare di prestare servizio militare, criticando duramente il governo di Hafez al Assad), capo druso locale ucciso da un’autobomba il 4 settembre del 2015. Un gruppo di manifestanti, inoltre, ha strappato un manifesto che ritraeva il presidente siriano, Bashar al Assad, nei pressi dell’ufficio locale della previdenza sociale. Le proteste, in corso da 17 giorni, erano state indette dalla popolazione di Al Suwayda per chiedere al governo di Damasco di elaborare e mettere in atto un piano per arginare l’inflazione e migliorare le condizioni di vita nel Paese.

Successivamente, di fronte alla linea repressiva adottata dalle autorità, i manifestanti hanno iniziato a chiedere le dimissioni di Assad e una transizione politica in Siria.”

Il “macellaio” non dorme sonni tranquilli

Annota Pierre Haski, direttore di France Inter, in un’analisi pubblicata in Italia da Internazionale “Quando un paese sparisce dal radar dell’attualità non significa necessariamente che tutto vada bene. La Siria ha occupato le prima pagine dei giornali per anni a causa della sanguinosa repressione della rivolta del 2011 e poi della guerra con il gruppo Stato islamico. Oggi non se ne parla quasi più, anche se la situazione resta drammatica. 

Nelle ultime settimane, però, non sono mancate informazioni significative sulla situazione siriana. Nella città meridionale di Al Suwayda ci sono state diverse manifestazioni. Rivolte in un primo momento contro il rincaro del carburante, le proteste sono successivamente diventate più politiche e hanno coinvolto la città di Deraa (da dove era partita la rivolta del 2011) e altre località. Tra gli slogan c’erano quelli per chiedere la verità sulla sorte delle persone scomparse nell’ultimo decennio, un tema dolorosissimo per milioni di siriani. 

Alcuni video testimoniano la presenza di folle consistenti e ricordano le scene della prima fase delle proteste del 2011, in piena “primavera araba”. Considerando la ferocia della repressione che seguì quel momento, è impressionante che la popolazione sia tornata in piazza per difendere i propri diritti e opporsi a un regime che, oggi come ieri, non esiterà a stroncare brutalmente ogni dissenso. 

Nessuna normalizzazione
Che sia un caso o meno, il risveglio di un movimento di protesta coincide con il reintegro progressivo della Siria nel mondo arabo dopo un decennio vissuto ai margini. Damasco è stata infatti riammessa nella Lega araba  e ha ripreso i contatti con le monarchie del Golfo. 

Questo ritorno della Siria sulla scena internazionale fa parte di una ricomposizione politica regionale, ma non corrisponde a una normalizzazione della situazione all’interno del paese. La Siria è devastata dalle conseguenze di un decennio di repressione e guerra, con milioni di rifugiati che vivono ancora all’estero. Oggi le condizioni per il loro ritorno continuano a non sussistere, così come quelle della ricostruzione. 

Le ferite siriane non sono guarite, come dimostrano gli scontri violenti in corso a nord tra milizie curde e combattenti arabi sunniti, frutto di rivalità storiche che tornano a farsi sentire. Il risultato sono decine di morti degli ultimi giorni e l’intervento dell’aviazione russa, che in piena guerra in Ucraina continua a bombardare la Siria. 

Oggi in Siria non sono percepibili cambiamenti di rilievo. Il governo di Bashar al Assad, con l’appoggio decisivo della Russia e dell’Iran, è riuscito a recuperare la maggior parte del paese, anche se una sacca ribelle sopravvive nel nordovest e le milizie curde controllano il nordest. 

Dopo aver salvato il suo regime, Assad non ha fatto nulla per riavviare un dialogo politico o anche solo per aprire la porta a una riconciliazione. Nel contesto estremamente teso della guerra in Ucraina, qualsiasi passo avanti sembra impossibile. 

Resta il risveglio della popolazione, con lo straordinario coraggio di chi osa contestare il regime. Ma anche in quest’ottica le speranze sono minime. Come spiega l’intellettuale dissidente siriano Yassin al Haj Saleh  sul quotidiano di Beirut L’Orient-Le Jour, “la fragilità militare e ideologica del regime di Damasco è reale, ma Assad si tiene in piede grazie ai suoi alleati”. 

Ovviamente Al Haj Saleh si riferisce all’Iran e alla Russia, i due paesi che in questi ultimi anni sono stati per il regime siriano una sorta di assicurazione sulla vita”. 

La Siria è in ginocchio per la guerra e per la fame 

Scrive Asmae Dakan su Avvenire del 19 agosto: Per contrastare la propaganda messa in piedi dal regime, che invita influencer da tutto il mondo a visitare la terra dei gelsomini per rilanciare il turismo, anche l’attivista siro-caucasica Celine Kasem è volata in Siria per mostrare la situazione nelle zone colpite dalle conseguenze della guerra, giunta al dodicesimo anno. Città e villaggi rasi al suolo, bambini privati delle scuole, situazione medico-sanitaria al collasso, tendopoli per sfollati interni a vista d’occhio. Alcune zone della terra levantina, risparmiate dai bombardamenti, hanno ripreso formalmente a vivere, con ristoranti, palestre e negozi aperti, ma non è tutto come sembra e la crisi economica sta soffocando tutto il Paese. Oggi sulla Siria incombono, oltre alle violenze, anche altre minacce, come la povertà diffusa, che secondo l’Onu colpisce circa il 90 per cento della popolazione, e l’inflazione. Nei giorni scorsi a Sweida, città a maggioranza drusa, centinaia di persone hanno bruciato pneumatici, bloccato strade e scandito slogan anti-governativi proprio per protestare contro il peggioramento delle condizioni economiche e gli aumenti del prezzo della benzina. Gli esercenti locali hanno abbassato le saracinesche per protestare contro l’ennesima svalutazione della lira siriana. Una scena che ricorda «lo sciopero della dignità» andato in scena nel 2011 contro la repressione governativa dei manifestanti che chiedevano riforme e libertà. Le proteste avvengono in contemporanea anche nei centri urbani fuori dal controllo del governo centrale, nel nord-ovest e nel nord-est del Paese. E nell’ultimo mese ci sono state diverse proteste anche nelle zone costiere, roccaforte dei sostenitori di Assad. 

Gli scioperi si ripetono, anche nei trasporti e il tasso di cambio della lira, fissato dalla Banca centrale rispetto al dollaro Usa, è fittizio ed è sempre più lontano da quello più alto praticato dai commercianti. La paralisi del sistema produttivo nazionale, le sanzioni internazionali l’inflazione e il collasso finanziario del vicino Libano colpiscono la popolazione civile. Ancor più complicata la situazione a Ras al Ain, città frontaliera al confine con la Turchia, che sta vivendo una drammatica crisi sanitaria e un assedio prolungato. Situata nel nord della Siria, la città è controllata da anni dal cosiddetto Esercito nazionale siriano (che risponde agli ordini di Ankara), ed è circondata da un lato dalle forze lealiste, dall’altro dalle milizie curdo-siriane delle Forze democratiche siriane e infine dalle truppe turche, che controllano il valico, che resta chiuso.  I medici dell’ospedale locale denunciano una grave mancanza di farmaci e personale. La popolazione più bisognosa si sta rivolgendo così ai contrabbandieri, che spesso forniscono medicinali scaduti e a prezzi proibitivi”. 

Un’economia al collasso?

Da un documentato Rapporto dell’Ispi: “Se il malcontento per la difficile situazione economica nel paese serpeggia da mesi, a far traboccare il vaso è stata la decisione del governo di ridurre i sussidi per carburante e benzina. Allo stesso tempo, i salari e le pensioni del settore pubblico, sono stati raddoppiati per decreto ma la mossa non ha fatto altro che accelerare l’inflazione e indebolire la lira che ha toccato i minimi storici per tutta l’estate, deprezzandosi di tre volte rispetto alla fine dell’anno scorso e scambiata a quasi 15mila lire rispetto al dollaro, al mercato nero. Secondo l’Ocha già oggi il 90% dei siriani vive oggi in povertà. 

Dopo quasi 12 anni di guerra civile, e mentre il regime di Damasco si arricchisce con il Captagon –  divenuto ormai la principale merce di esportazione e fonte di valuta pregiata – l’economia siriana crolla sotto il peso del conflitto, dell’inflazione e della corruzione dilagante. Elementi che non favoriscono una ripresa delle attività commerciali in un paese in cui si stima che almeno 500.000 civili siano stati uccisi nel conflitto, mentre metà dei 23 milioni di abitanti è stata sfollata e gran parte delle infrastrutture sono distrutte o danneggiate dai bombardamenti dell’aviazione siriana. Anche la guerra in Ucraina sta avendo i suoi contraccolpi, con la riduzione delle esportazioni di grano e altri beni alimentari che spinge la corsa dei prezzi, e la sempre minore disponibilità da parte di Mosca – provata a sua volta dalla crisi economica e dalle perdite militari – di sostenere il regime di Damasco.

Il malcontento per la crisi economica non è limitato alle provincie del sud: centinaia di manifestanti si sono radunati anche ad Aleppo e Idlib, nel nord-ovest, e a Deir ez-Zor, Raqqa e Hassakeh nel nord-est. E anche nella capitale e nelle città costiere, un tempo considerate roccaforti del regime, come Latakia e Tartous, alcuni esprimono sommessamente le loro critiche al regime, con messaggi di sostegno alle proteste condivisi sui social media. Nelle scorse settimane, un gruppo che si fa chiamare ‘Movimento del 10 agosto’ ha rilasciato una dichiarazione in cui si chiede un miglioramento generale delle condizioni di vita in Siria. Secondo la Bbc molti di coloro che aderiscono al gruppo apparterrebbero alla setta alawita di Assad, che lo ha fermamente sostenuto durante la guerra. Al momento, tuttavia, non ci sono prove di un movimento organizzato e forte che possa arrivare a costituire una minaccia seria per il governo. Ma le manifestazioni nelle aree a maggioranza drusa, che hanno ottenuto il sostegno del clero locale e di altri gruppi della zona, come i beduini, rappresentano un colpo all’immagine del presidente Bashar al-Assad, che ha legato la sua legittimazione popolare alla difesa delle minoranze del paese”.

Rimarca Mattia Serra, Ispi Mena Centre:“Le proteste degli ultimi giorni sono l’ultima espressione delle contraddizioni legate al conflitto siriano. A dispetto dei successi diplomatici che Assad ha registrato da inizio anno – primo fra tutti il reintegro della Siria nella Lega Araba – il paese rimane profondamente instabile, anche nelle regioni controllate dal regime. Una spirale inflattiva e la continua svalutazione della lira hanno contribuito negli ultimi mesi a peggiorare le condizioni economiche e umanitarie nel paese, spingendo la popolazione a scendere nuovamente in piazza, ben consapevole dei rischi associati. Il fatto che il centro di queste proteste sia il governatorato di Suweida – a maggioranza drusa e per lo più rimasto ai margini nel 2011 – rende gli eventi degli ultimi giorni ancora più significativi.”  

Siria, la resistenza continua.

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