Bandiera nera presto su Kabul: così l'Occidente ha tradito le donne afghane
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Bandiera nera presto su Kabul: così l'Occidente ha tradito le donne afghane

Ormai è solo questione di giorni. Novanta, secondo il presidente fuggiasco Joe Biden, e l’intelligence Usa.  Previsione ottimistica, perché l’avanzata dei talebani verso la capitale Kabul è rapida e inarrestabile. 

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Agosto 2021 - 16.29


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Ormai è solo questione di giorni. Novanta, secondo il presidente fuggiasco Joe Biden, e l’intelligence Usa.  Previsione ottimistica, perché l’avanzata dei talebani verso la capitale Kabul è rapida e inarrestabile. 

Verso Kabul

I talebani hanno conquistato Ghazni, 150 chilometri a sud-ovest di Kabul, il decimo capoluogo di provincia preso dai miliziani in una settimana.  “Posso confermare che Ghazni è caduta nelle mani dei talebani questa mattina. Hanno preso il controllo di aree chiave della città: l’ufficio del governatore, il quartier generale della polizia e la prigione”, ha riferito Nasir Ahmad Faqiri, capo del Consiglio provinciale di Ghazni, aggiungendo che i combattimenti sono ancora in corso in alcune parti della città.  Ghazni è il capoluogo di provincia più vicino a Kabul conquistato dai talebani da quando hanno lanciato la loro offensiva a maggio, in concomitanza con l’inizio del ritiro delle forze straniere, che dovrebbe concludersi entro la fine di agosto.  Secondo quanto scrive il Washington Post, che cita funzionari americani al corrente della situazione, l’amministrazione Biden si prepara alla caduta di Kabul nelle mani dei talebani entro un periodo ben più breve rispetto ai 6-12 mesi previsti in precedenza alla luce del ritiro delle truppe statunitensi dal Paese. Secondo un funzionario che ha voluto mantenere l’anonimato i militari stimano adesso che la capitale afghana cadrà entro 90 giorni, mente altri ritengono che la disfatta avverrà entro un mese.   Da venerdì – scrive AgiAfp – i talebani hanno preso Zaranj (sud-ovest), Sheberghan (nord), la roccaforte del famigerato signore della guerra Abdul Rashid Dostom, e soprattutto Kunduz, la principale città del nord-est, così come altre tre capitali del nord, Taloqan, Sar-e-Pul e Aibak. “I talebani sono ora in città, hanno alzato la loro bandiera nella piazza centrale e nell’ufficio del governatore”, ha detto all’AFP Mamoor Ahmadzai, un membro del parlamento della provincia di Baghlan, di cui Pul-e Khumri è la capitale, a 200 km da Kabul. Centinaia di soldati afghani che si erano ritirati vicino all’aeroporto di Kunduz, dopo la caduta della città nel nordest dell’Afghanistan lo scorso weekend, si sono arresi oggi ai talebani, ha detto all‘Afp il consigliere provinciale, Amruddin Wali. “Stamattina centinaia di soldati, poliziotti e membri delle forze di resistenza si sono arresi ai talebani con tutto il loro equipaggiamento militare”,ha spiegato. Gli insorti hanno anche preso Farah, capitale della provincia omonima, martedì dopo brevi combattimenti. “Hanno preso l’ufficio del governatore e la sede della polizia. Le forze di sicurezza si sono ritirate in una base dell’esercito”, ha spiegato all’Afp il consigliere provinciale Shahla Abubar.Zabihullah Mujahid, un portavoce degli insorti, ha confermato la cattura delle due città su Twitter. 

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Fuga disperata

La violenza ha costretto decine di migliaia di civili a fuggire dalle loro case in tutto il paese, con i talebani accusati di numerose atrocità nelle aree che hanno conquistato. “Quando ci sono due ragazze in una famiglia, ne prendono una per sposarsi, quando ci sono due ragazzi, ne prendono uno per combattere”, ha detto all’Afp Marwan, una giovane vedova fuggita da Taloqan, in un parco di rifugiati a Kabul. Abdulmanan, uno sfollato di Kunduz, ha detto di aver visto i talebani decapitare uno dei suoi figli, senza sapere “se il suo corpo è stato mangiato dai cani o sepolto”. Circa 359.000 persone sono state sfollate in Afghanistan dai combattimenti dall’inizio dell’anno, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim). Almeno 183 civili sono stati uccisi e 1.181 feriti, compresi i bambini, in un mese nelle città di Lashkar Gah, Kandahar, Herat (ovest) e Kunduz, ha detto martedì l’Onu, aggiungendo che queste erano solo le vittime che potevano essere documentate. I talebani hanno lanciato questa offensiva a maggio, all’inizio del ritiro definitivo delle forze americane e straniere, ma la loro avanzata ha accelerato negli ultimi giorni con la cattura di diversi centri urbani. 

Oggi gli afghani costituiscono il più grande gruppo di rifugiati in Asia e il secondo più grande al mondo. In circa 1,4 milioni vivono attualmente in Pakistan e 3 milioni sono in Iran. Ma gli afghani sono il secondo gruppo anche in Turchia e in Europa cui in 570mila hanno chiesto asilo, 44mila solo lo scorso anno. Secondo fonti di Bruxelles, in Afghanistan mezzo milione di persone è pronto a fuggire verso i Paesi confinanti: Pakistan, Iran ed in parte anche Tagikistan. L’Unhcr stima che dall’inizio dell’anno quasi 400mila afghani siano sfollati internamente, circa 244mila solo a partire da maggio. Teheran, almeno per il momento, ha deciso di lasciare le frontiere aperte, mentre Islamabad ha blindato i suoi confini. E gli osservatori internazionali temono che sia solo all’inizio. Sei mesi fa, secondo i dati delle Nazioni Unite, erano 18,4 milioni le persone che necessitavano di aiuti umanitari, pari al 45% della popolazione. Una situazione già disperata, che minaccia di precipitare, mentre il ritorno dei talebani, estromessi dal potere vent’anni fa, rischia di cancellare con un colpo di spugna tutti i progressi nel campo dei diritti umani. Solo nelle ultime 72 ore, fanno sapere dall’Unicef, sono stati uccisi 27 bambini e ne sono stati feriti 136, mentre cresce la preoccupazione per i minori reclutati dai gruppi armati, e per le donne frustate e abusate in pubblico.

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La partenza (leggi fuga) delle forze internazionali deve essere completata entro il 31 agosto, 20 anni dopo il loro intervento in seguito agli attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti. “Non ho rimpianti per la mia decisione di lasciare l’Afghanistan”, ha detto martedì il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Gli afgani “devono avere la volontà di combattere” e “devono combattere per se stessi, per la loro nazione”. Washington è sempre più frustrata dalla debolezza dell’esercito di Kabul, che gli americani hanno addestrato, finanziato ed equipaggiato per anni. Il portavoce diplomatico statunitense Ned Price ha detto che le forze governative erano “largamente superiori in numero” ai talebani e avevano “il potenziale per infliggere perdite maggiori”. “Questa idea che l’avanzata dei talebani non può essere fermata” non è la realtà sul terreno, ha dichiarato.

Ma all’interno dell’amministrazione Usa serpeggiano i malumori, soprattutto ai vertici del Pentagono e delle forze armate, per quella che è stata vista come un’imprudenza da parte della Casa Bianca che potrebbe portare a conseguenze difficilmente prevedibili, trasformandosi di fatto in un boomerang senza precedenti.

Intanto il Dipartimento di Stato si prepara al peggio e, secondo quanto trapela, starebbe già aggiornando i suoi piani di evacuazione dell’ambasciata di Kabul dove presto potrebbe rimanere solamente il personale essenziale tra diplomatici e staff. Oltre agli uomini addetti alla difesa della sede diplomatica, gli unici militari americani destinati a restare sul suolo afghano dopo il completo ritiro di fine mese.

 Polemica sui rifugiati afghani in Ue 

Monta nel frattempo la polemica sui rifugiati afghani in Europa, con Bruxelles che teme una nuova ondata come nel 2015 e le varie capitali divise sul destino di migliaia di persone che fuggono dalla guerra e dalla vendetta dei talebani. Nelle ultime ore anche l’Olanda ha deciso di sospendere i rimpatri dei migranti introducendo una moratoria di sei mesi. Una retromarcia, visto che solo ieri i Paesi Bassi, con Germania, Austria, Danimarca, Belgio e Grecia avevano scritto una lettera alla Commissione europea, per chiedere di proseguire con i rimpatri.

Mossa disperata

Alla ricerca di una strategia difensiva, il governo afgano ha sostituito il capo dell’Esercito per la terza volta in poco più di un anno. Il generale Wali Mohammad Ahmadzai, nominato appena nel giugno scorso, è stato sostituito ieri dal generale Hibatullah Alizai. Ma secondo gli osservatori, la mossa del presidente Ashraf Ghani arriva tardi e sembra tradire la disperazione del governo.

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j’accuse possente

Marta Serafini è una delle giornaliste/i più serie, documentate, in circolazione quanto a conoscenza della politica estera, dei dossier più caldi e delle aree più esplosive del pianeta: il Grande Medio Oriente, in primis. Per avere contezza del tradimento perpetrato dall’Occidente nei confronti delle tante/i afghani che hanno combattuto contro la dittatura della sharia, è d’obbligo leggere la bellissima intervista che Serafini ha fatto sul Corriere della Sera a Fawzia Koofi, 46 anni, considerata il volto della difesa dei diritti delle donne. Koofi è appena tornata da Doha dove fa parte, insieme ad altre tre colleghe, della delegazione del governo che tratta con i talebani.

Sulla volontà e la possibilità che i talebani si spingano fino a Kabul, la sua risposta non si presta ad equivoci. “Possono farlo e fin qui hanno dimostrato di non voler rispettare gli accordi presi, soprattutto dopo il cambio di presidenza Usa. Ma è evidente come non possano mantenere il potere senza incontrare opposizione. Ed è altrettanto evidente come non possano portare certo stabilità politica. 

 Sul timore di una guerra civile: “Sì, i civili sono stretti in una morsa. Sanno che se tornano i talebani saranno sottoposti a torture, crimini di guerra, stupri e migrazioni forzate. Ma sanno anche che se non si raggiunge un accordo politico, data la fragilità delle nostre istituzioni, l’alternativa è la guerra civile e la distruzione di quel poco che abbiamo». 

Quanto ai diritti delle donne: “Ricevo telefonate anche di notte da parte di donne terrorizzate che mi chiedono cosa devono fare, se scappare o restare. Sappiamo come in molti distretti abbiano già costretto le donne a sposarsi con i miliziani. Dunque deve essere la comunità internazionale ad alzarsi in piedi e proteggere quei diritti, per gli afghani e non solo”. 

Il tradimento dell’Occidente: “Sì, perché i militari sono venuti qui non invitati dal popolo afghano ma per gli obiettivi dei loro governi. Nonostante ciò molte afghane (e con loro molti uomini) hanno deciso di sfruttare l’occasione per rafforzare i loro diritti. Ecco perché ora non è giusto abbandonarle”. 

Lorenzo Cremonesi (Corriere della Sera) è l’inviato di guerra che meglio conosce la realtà afghana. Conosciuta sul campo. 

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