Kenneth Branagh racconta Belfast: "Qualcuno dei miei fantasmi"
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Kenneth Branagh racconta Belfast: "Qualcuno dei miei fantasmi"

Belfast, ambientato nl 1969, ha un cast molto importante con Jamie Dornan, Judi Dench, CIara Hinds e Catriona Balfe nei panni della madre dello stesso Branagh. 

Kenneth Branagh racconta Belfast: "Qualcuno dei miei fantasmi"
Belfast vincitore del Premio di Alice nella Città e candidato a sei premi Oscar.
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21 Febbraio 2022 - 23.11


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Si apre con lo sguardo impietrito di un bambino di 9 nove anni dinanzi alle violenze degli scontri tra Protestanti e Cattolici, l’intenso Belfast vincitore del Premio di Alice nella Città e candidato a sei premi Oscar. Diciannovesima regia cinematografica di Kenneth Branagh già al vertice del Box Office internazionale con la sua seconda interpretazione e regia di un film tratto dai gialli di Agatha Christie: Assassinio sul Nilo, Belfast, ambientato nl 1969, ha un cast molto importante con Jamie Dornan, Judi Dench, CIara Hinds e Catriona Balfe nei panni della madre dello stesso Branagh. 

Un film personale, intimo, che richiama l’infanzia del regista nella capitale dell’Irlanda del Nord: una storia molto forte legata alla sua città natale, avvertendo lo spettatore che quella violenza del passato è presente in questo oltre mezzo secolo che ci separa da quegli eventi. Un conflitto che, come ci dice la cronaca, si sta innescando di nuovo dopo la Brexit. “La questione irlandese è ancora molto viva: anche se per 25 anni abbiamo vissuto la pace, si è trattato, sempre, di una pace molto fragile.” Spiega Branagh che non ha dimenticato quanto è accaduto in questi anni e tutto il sangue che ha imbrattato la sua terra “Quando abbiamo fatto del film a Belfast a novembre del 2021, c’è stata una sommossa esattamente nello stesso posto dove la si vede accadere all’inizio del film. Un punto di cerniera tra le due parti della città: quella da dove vengo io e quella da dove viene Ciaran Hinds che nel film interpreta mio nonno. La questione irlandese, dunque, è sempre stata viva e quel terrore che ho provato da bambino ha avuto un impatto molto importante sulla mia psiche e mi ha reso una persona molto prudente perché mi rendevo conto che se è una cosa del genere poteva esplodere in maniera tanto rapida e totalizzante, bisognava stare attenti. Un sentimento che credo sia condiviso dalla maggior parte degli Irlandesi che vivono da sempre un’atmosfera di pesantezza. La Brexit, poi, ha riacceso gli animi così come tutto quello che è accaduto recentemente nel parlamento nordirlandese…insomma, questa storia è molto più contemporanea di quanto possa sembrare a prima vista.” 

Perché ha scelto di raccontare questa storia proprio in questo momento della sua carriera?

In realtà mi stavo baloccando da tmpo con l’idea di affrontare qualche vicenda irlandese: volevo raccontare le storie che mia nonna mi raccontava riguardo alla sua gioventù quando era una ragazza piacente e piena di flirt con diversi fidanzati. Racconti molto divertenti che potevano, a mio avviso, costituire la base di una commedia originale e molto divertente. Poi è arrivato il lockdown che mi ha messo davanti all’imprevedibilità delle nostre esistenze e alla volatilità della vita stessa. Mi sono sentito come quando avevo nove anni e il mio terreno di gioco è diventato all’improvviso un campo di battaglia. L’atmosfera del lockdown mi ha fatto capire qualcosa che mi era sfuggita per tutti questi anni, ovvero l’originalità e l’importanza della vita a Belfast. 

Lei ha lasciato l’Irlanda da ragazzino: cosa ha significato tornare nel suo quartiere e girare in parte là il film?

Beh, sicuramente è stata un’esperienza molto commovente che mi ha messo davanti a tante mie fragilità: mentre facevamo i sopralluoghi ho rifatto la strada che portava dalla mia scuola a casa mia e all’altezza del numero civico dove viveva la ragazzina di cui mi ero innamorato, non ho potuto fare a meno di fermarmi e di pensare che, forse, si sarebbe affacciata a guardare fuori dalla finestra. Così a 59 anni suonati mi sono messo ad aspettare per qualche minuto che venisse fuori il mio amore delle elementari. Purtroppo così come non l’ha fatto mezzo secolo fa, non l’ha fatto nemmeno oggi. 

In realtà, a parte alcune scene, il film è stato per la maggior part girato in un set ricostruito fuori Londra lungo un piccolo aeroporto, che durante il Covid era diventato poco usato e silenzioso. Questo mi ha permesso una maggiore libertà nella ricostruzione di luoghi che sono molto cambiati.

Al tempo stesso, però, Belfast è animato da un forte senso dell’ottimismo e di felicità…

Io sono un ottimista e un romantico: ma credo che sia una prerogativa degli Irlandesi quella di trovare ogni piccola opportunità di gioia anche nei momenti più difficili. Quindi – per me – il senso del film sta anche nel celebrare la vita, il suo divertimento e la sua bellezza dinanzi ad una situazione, obiettivamente, molto difficile.  Del resto si dice che il mio popolo sia “Quick to laugh, quick to fight, quick to cry” ovvero “veloce a ridere, a combattere e a piangere.” Tutte queste emozioni costituiscono una parte molto importante della mia eredità irlandese.

Come si è preparato alla lavorazione del film?

Non volevo fosse un documentario e non intendevo discuterne con nessuno, ma semmai lasciami guidare dal ricordo delle emozioni di un ragazzino di nove anni. Poi quando ho scritto la sceneggiatura l’ho mandata a mio fratello e mia sorella che mi hanno fatto un sacco di note rispetto tanti eventi che ricordavo male o di cui pensavo fossero successi a me e non a loro. Personalmente volevo restare nella mente di un ragazzino di 9 anni ispirandomi alla frase di Picasso, mi ci sono voluti due anni per imparare a dipingere e tutta la vita a farlo come un bambino.

Lei ha interpretato l’alter ego di Woody Allen in Celebrity: come ha scelto Jude Hill il bambino che l’ha portata sul grande schermo?

Beh, lui è molto più carino di quanto fossi io alla sua età: la cosa più importante per me era quella di fare un film e non un documentario quindi ho chiesto a tutti gli attori di portare qualcosa di loro stessi in dote al film. Tutti potevano chiedermi di me e dei miei genitori, ma non volevo che si sentissero obbligati. Jude è diventato sempre più bravo quanto più ha messo di sé stesso e del suo spirito. Alla fine la sua interpretazione è quella di un ragazzino di oggi che si è portato dietro qualcuno dei miei fantasmi.

Guardando indietro alla sua carriera cosa lega tutti i suoi film da registi che sono diversissimi tra loro: da Enrico V, il suo esordio nel 1989 a Cenerentola; da Thor ai due film di Poirot; da Hamlet a Un inverno freddo, freddo?

Il forte legame tra Enrico V e Belfast è dato dalla mia persona e dalla mia esperienza. Orson Welles diceva che per dirigere un film bisogna sapere tutto o niente. Ecco, io all’epoca mi trovavo nella condizione di non sapere nulla, mentre oggi dopo una lunga carriera conosco la macchina cinema molto bene. Quando, però, sono arrivato sul set di Belfast ho voluto guardarmi indietro proprio ad Enrico V e avere quel tipo di approccio: all’epoca quel film era nato dal mio istinto, dalla mia pancia e così è stato per questo. Non mi interessavano le convenzioni, né – tantomeno – per colpa del Covid avevo tempo sul riflettere dove mettere la macchina da presa inseguendo l’estetica…

Il legame tra tutti i miei film? Proverò a risponderle con una frase di T.S Eliot che è ho citato anche in Belfast: “Non smetterò la mia esplorazione e la fine della mia ricerca sarà tornare dove ho iniziato e riconoscere quel posto come se fosse la prima volta.” Da Enrico V a oggi il viaggio mi ha fatto capire qualcosa di più di me stesso. 

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