A Gaza Israele usa la fame come punizione collettiva
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A Gaza Israele usa la fame come punizione collettiva

A 6 mesi dall’inizio del conflitto, in media ogni persona, tra le 300 mila in trappola a Gaza nord, sopravvive con 245 calorie al giorno. Meno del 12% del fabbisogno calorico necessario

A Gaza Israele usa la fame come punizione collettiva
Palestinesi affamati a Gaza
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Aprile 2024 - 19.16


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Gaza, il cibo (negato) come punizione collettiva. La fame come arma di annientamento. 

A 6 mesi dall’inizio del conflitto, in media ogni persona, tra le 300 mila in trappola a Gaza nord, sopravvive con 245 calorie al giorno. Meno del 12% del fabbisogno calorico necessario

 In tutta Gaza sta entrando meno della metà dei camion con agli aiuti alimentari necessari, mentre oltre 1 milione di persone tra cui tanti bambini stanno letteralmente morendo di fame, costretti a mangiare piante selvatiche 

 Dallo scorso gennaio 300 mila persone intrappolate nel nord di Gaza sono costrette a sopravvivere potendo consumare cibo per circa 245 calorie al giorno a testa, l’equivalente di 100 grammi di pane. Si tratta di meno del 12% del fabbisogno calorico necessario di 2.100 calorie a persona, calcolato sulla base di dati demografici che tengono conto delle variazioni per età e sesso.

È quanto denuncia oggi Oxfam, traendo i dati da un recente rapporto sulla classificazione integrata delle fasi della sicurezza alimentare (Ipc).

Punizione collettiva

 Nel quadro di una crisi umanitaria indicibile, il Governo israeliano pochi giorni fa ha inoltre annunciato che nessun camion di aiuti dell’Unrwa – la principale agenzia umanitaria nella Striscia – potrà più entrare nel nord di Gaza.

 “Analizzando i dati – spiega Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia – si scopre inoltre come dallo scorso ottobre il totale degli aiuti alimentari di cui è stato consentito l’ingresso in tutta Gaza è servito a garantire appena il 41% delle calorie necessarie ai 2,2 milioni di abitanti, che in questo momento rischiano di morire di fame. Sono almeno 20 anni però che le autorità israeliane hanno ben chiaro cosa è necessario fare per prevenire la malnutrizione nella Striscia, visto che sono loro a decidere la tipologia e la quantità di cibo che può entrare in base ad età e genere, oltre che la capacità presunta di produrre cibo. Ma al momento non ne sta più tenendo in conto”.

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 “Prima della guerra stavamo bene, ma in questo momento sia io che i miei figli siamo denutriti. – ha raccontato agli operatori di Oxfam, un madre intrappolata nel nord di Gaza – Siamo costretti a mangiare qualsiasi cosa troviamo, anche piante selvatiche a malapena commestibili”.

 Secondo le stime di Oxfam entrano attualmente a Gaza meno della metà dei camion con gli aiuti alimentari minimi: 105 contro i 221 necessari a non privare la popolazione del cibo necessario per sopravvivere.

 Il rapporto dell’Ipc ha rilevato inoltre come la carestia sia imminente nel nord di Gaza e come quasi l’intera popolazione soffra di malnutrizione acuta, con 1,1 milioni di persone allo stremo. Molti bambini stanno già morendo di fame e malattie, mentre le infrastrutture essenziali sanitarie e idriche sono in gran parte distrutte. Impossibile comprare frutta e verdura che scarseggiano e sono arrivate a prezzi proibitivi, come pure è impossibile curare i bambini malnutriti perché mancano mezzi e strutture.

“Israele ha deliberatamente deciso di affamare i civili. – aggiunge Pezzati – Immaginate cosa significhi sopravvivere con 245 calorie, mentre si è sfollati, senza accesso all’acqua pulita o a un bagno, o a cure mediche. Israele sta ignorando sia l’ordine della Corte Internazionale di Giustizia di prevenire il genocidio, sia le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Solo la scorsa settimana la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato nuove misure provvisorie, affermando che la carestia è ormai “in atto” a Gaza.  Tutti i Paesi devono interrompere immediatamente la fornitura di armi a Israele e fare tutto il possibile per garantire un cessate il fuoco immediato e permanente. Solo così potremo fermare la carneficina che dura da sei mesi.”

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 Oxfam chiede un cessate il fuoco permanente, la restituzione di tutti gli ostaggi e il rilascio dei prigionieri palestinesi detenuti illegalmente, l’immediata cessazione delle forniture di armi a Israele e il pieno accesso agli aiuti umanitari. La risposta globale per Gaza deve includere aiuti alimentari adeguati per tutta la popolazione, il pieno ripristino degli ospedali e dei servizi sanitari, delle infrastrutture igienico-sanitarie e il permesso di attraversare il confine per tutti i materiali di ricostruzione.

 La risposta di Oxfam a Gaza

Oxfam è intervenuta tempestivamente dopo l’inizio dell’offensiva nella Striscia, seguita agli attentati del 7 ottobre, per rispondere agli enormi e crescenti bisogni della popolazione. Un lavoro quotidiano che ha consentito di raggiungere oltre 250 mila persone, di cui 120 mila bambini, nelle zone più colpite.  Vitale è stata la distribuzione di acqua pulita e cibo, o di coperte e abiti caldi per affrontare l’inverno. Nei campi profughi sono stati installati servizi igienici, mentre a Rafah è stato possibile avviare 11 impianti di desalinizzazione a energia solare, di cui 5 già operanti, per garantire acqua pulita a 25 mila sfollati costretti a sopravvivere in condizioni sempre più critiche.

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 Fino al 9 aprile si può fare la differenza con un SMS al 45593.

Farlo è dimostrare di avere la Palestina nel cuore.

Strage di innocenti

Human Rights Watch (Hrw) afferma che almeno 106 civili, fra cui 54 bambini, sono morti in un attacco israeliano del 31 ottobre su un condominio di Gaza. Il gruppo per i diritti umani riferisce di non avere trovato alcuna prova che nel palazzo ci fosse un obiettivo militare, il che sembra rendere l’accaduto un crimine di guerra. Il raid è uno di quelli con più vittime dall’inizio della guerra quasi 6 mesi fa. Human Rights Watch afferma che 4 colpi distinti hanno fatto crollare l’Engineer’s Building nel centro di Gaza, che ospitava circa 350 persone, circa un terzo delle quali erano fuggite dalle loro case in altre zone della Striscia. Fra le vittime c’erano anche bambini che giocavano a calcio all’aperto e residenti che caricavano i telefoni in un negozio di alimentari al primo piano. Hrw afferma di aver intervistato 16 persone, tra cui i parenti delle persone uccise nell’attacco del 31 ottobre, e di aver analizzato immagini satellitari, 35 fotografie e 45 video delle conseguenze. Non si è potuta recare sul posto perché Israele limita fortemente l’accesso a Gaza.

Gaza: bombe, fame, carestia. L’inferno in terra. “Made in Israel”.

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