Sudan: la mattanza di bambini
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Sudan: la mattanza di bambini

Sudan, la mattanza di bambini. A darne conto, in una nota ufficiale, è l’Unicef, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia.

Sudan: la mattanza di bambini
Rifugiati sudanesi nel Ciad
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Maggio 2023 - 16.01


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Sudan, la mattanza di bambini. A darne conto, in una nota ufficiale, è l’Unicef, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia.

Allarme Unicef

“La situazione in Sudan sta precipitando verso la catastrofe e i bambini sono sempre più coinvolti nel fuoco incrociato. Anche se non siamo in grado di confermare le stime a causa dell’intensità della violenza, l’Unicef ha ricevuto segnalazioni che 190 bambini sono stati uccisi e altri 1.700 feriti in Sudan da quando il conflitto è scoppiato quasi tre settimane fa. Per il bene dei bambini del Sudan, la violenza deve cessare.

Come in ogni conflitto, i bambini sono i più vulnerabili e bisogna compiere ogni sforzo per tenerli lontani dal pericolo. L’Unicef invita le parti in conflitto a rispettare gli obblighi legali previsti dal diritto internazionale umanitario e a garantire che i bambini non siano coinvolti nel conflitto. Ciò include la cessazione di tutti gli attacchi ai centri sanitari, alle scuole, ai sistemi idrici e igienici e ad altre infrastrutture su cui i bambini fanno affidamento.

I bambini vivono in mezzo a terribili violenze da quasi tre settimane e innumerevoli famiglie si stanno spostando per mettersi al sicuro in Sudan e oltre i suoi confini. Anche gli operatori umanitari sono stati attaccati, mentre le strutture, i veicoli e le forniture umanitarie – comprese quelle dell’Unicef – sono state saccheggiate o distrutte.

Questi attacchi stanno compromettendo la nostra capacità di raggiungere i bambini in tutto il Paese con servizi sanitari, nutrizionali, idrici e igienici salvavita. È fondamentale che le parti in conflitto rispettino il diritto internazionale, garantendo che gli attori umanitari possano operare in sicurezza sul campo per sostenere i civili in difficoltà. Chiediamo l’importazione illimitata, senza ostacoli e senza interruzioni di forniture umanitarie e commerciali essenziali, tra cui cibo e carburante, via mare, aerea e strada – indipendentemente da chi controlla queste aree.

L’Unicef chiede inoltre una soluzione politica a lungo termine alla crisi, in modo che i bambini del Sudan possano crescere in un ambiente di pace e guardare avanti per un futuro con più speranza.”

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha lanciato un appello a rinnovare gli sforzi per trovare una soluzione pacifica alla crisi in Sudan, un Paese che “non può permettersi una lotta di potere tra due persone”.

L’appello di Guterres

“Un Paese come il Sudan, che ha sofferto così tanto, che si trova in una situazione economica e umanitaria così disperata, non può permettersi una lotta di potere tra due persone”, ha detto in una conferenza stampa nella capitale keniota Nairobi.

Testimonianza dal campo di battaglia

Da Africa ExPress

Khartoum 4 maggio 2023

“Anche questa mattina le micidiali macchine da guerra continuano la loro corsa senza sosta in Sudan. Come al solito il nuovo cessate il fuoco di 7 giorni, accettato da entrambe le parti in causa, non è stato rispettato.

Il conflitto tra i due generali – Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, capo di Stato e comandante delle forze sudanesi, e Mohamed Hamdan Daagalo, noto come Hemeti, vicepresidente del Sudan e capo delle Rapid Suport Forces (Rsf) – iniziato lo scorso 15 aprile, è scomparso dalle prime pagine dei giornali, eppure la gente continua a morire, a fuggire da questa assurda guerra per il potere.

Ciascuna delle due parti sta lottando per il controllo del territorio della capitale in vista di eventuali negoziati, anche se i leader di entrambe le fazioni hanno mostrato poca disponibilità pubblica a tenere colloqui dopo più di due settimane di combattimenti. Testimoni oculari hanno confermato che da ieri notte sono in atto raid aerei e combattimenti sia nella capitale che Omdurman, la città gemella sull’altra sponda del Nilo e Khartoum Nord, altrimenti chiamata Bahri .

Ma il conflitto si è già esteso anche in Darfur, dove sono già morte quasi 200 persone. La situazione umanitaria è molto complessa e decine di migliaia di residenti stanno cercando protezione nel vicino Ciad.

In Darfur, dove i paramilitari sono nati, sono cresciuti e si sono sviluppati e si chiamavano janjaweed prima di essere integrati nella Rsf per ripulirne l’immagine, hanno ricominciato ad attaccare i villaggi delle etnie africane, bruciando le capanne ammazzando gli uomini e distruggendo ogni cosa.

L’inviato di Al-Burhan, Dafallah Alhaj, ha dichiarato al Cairo all’emittente Al Jazeera che l’accordo riguarda solo il cessate il fuoco e non la mediazione per la risoluzione del conflitto. “Per noi, la risoluzione finale sarà decisa sul campo. La nostra delegazione non si impegnerà in colloqui diretti e non aprirà nemmeno un canale di comunicazione con i ribelli”, ha precisato Alhaj.

Dunque finora non è chiaro se le mediazioni, annunciate all’Associated Press qualche giorno fa da Volker Perthes, rappresentante speciale del segretario generale dell’ONU per il Sudan, possano aver luogo. L’Arabia Saudita si era proposta ad ospitare il tavolo delle trattative a Riad.

Un’altra mediazione è stata promossa dal presidente Salva Kiir del Sud Sudan, e ieri, il ministero degli Esteri del governo di Juba ha fatto sapere che è riuscito a convincere entrambe le parti a concordare una tregua di una settimana e a nominare degli inviati per i colloqui di pace. Ma finora sul campo nulla di fatto.

Intanto la gente continua a morire. Il ministero della Sanità di Khartoum dichiarato ieri che finora sono morte 550 persone, i feriti sono 4.926. Gli ospedali sono al collasso, oltre a essere a corto di medicinali e materiale sanitario. Inoltre, gran parte del personale non riesce a coprire i turni, in quanto è troppo pericoloso mettersi in viaggio quando ci sono combattimenti in corso.

Ieri è arrivato nel Paese Martin Griffiths, sottosegretario generale per gli Affari umanitari dell’Onu, per tentate di ottenere dalle parti assicurazioni sulla consegna degli aiuti, dopo che sei camion di forniture umanitarie, diretti verso il Darfur, sono stati saccheggiati. Inoltre i continui bombardamenti su Khartoum mettono in pericolo lo staff delle agenzie.

“Abbiamo comunque bisogno di accordi e disposizioni per consentire lo spostamento del personale e delle forniture”, ha precisato Griffiths. L’alto funzionario spera di avere incontri faccia a faccia con le parti in guerra entro due-tre giorni.

Martedì, Griffiths ha fatta tappa a Nairobi, dove, durante una conferenza stampa, ha chiesto, senza giri di parole, alla comunità internazionale di condannare questa assurda guerra:”Al-Burhan e Hemetti devono capire che la situazione in Sudan è inaccettabile”, ha spiegato.

“L’intera regione potrebbe essere colpita”, ha affermato martedì il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi in un’intervista a un giornale giapponese. Infatti, i Paesi limitrofi continuano a accogliere persone in fuga. E l’Onu teme che i combattimenti tra l’esercito e l’Rsf, scoppiati il 15 aprile, possano provocare una catastrofe umanitaria, non solo in Sudan, ma anche nei Paesi vicini”.

L’università dietro le sbarre

La racconta su Italia Oggi Filippo Merli: “Prigionieri, bloccati, senza via d’uscita. Oltre 2.500 studenti originari della Nigeria sono intrappolati nella zona di guerra del Sudan.

La questione è logistica e burocratica: secondo la Sudan old students association of Nigeria (Sosan), gli universitari trattenuti nella Sudan international university of Africa, principalmente donne, sono ancora in attesa degli autobus per l’evacuazione. E l’ambasciata nigeriana, al momento, non può fare nulla per riportarli a casa.

Il presidente di Sosan, Aliyu Abdulkadir, è allarmato dal fatto che le chiamate di soccorso ricevute dai contatti in Sudan indicano che le vite degli studenti sono in pericolo. E dalla moschea Aliyu Ibn Abu Talib, dove ha partecipato a una preghiera per la protezione dei nigeriani in Sudan, ha espresso preoccupazione per le condizioni degli studenti, rimasti senza beni di prima necessità e a corto di denaro.

«Le informazioni che ci arrivano non sono affatto confortanti», ha spiegato Abdulkadir. «Anche se per ora non ci sono casi di morte, gli scontri a fuoco hanno già raggiunto i dintorni dell’università». Il quadro è stato confermato dall’ambasciatore nigeriano nella Repubblica del Sudan, Safiu Olaniyan, in un aggiornamento sulla situazione nel paese dilaniato dalla guerra.

Il diplomatico ha assicurato ai genitori degli studenti che i funzionari dell’ambasciata sono sul posto a Khartum, la capitale del Sudan, per garantire l’evacuazione, respingendo al contempo le accuse di ritardo per il noleggio degli autobus che dovrebbero rimpatriare gli universitari nigeriani.

«L’ambasciata non è responsabile dei contratti degli autobus», ha precisato Olaniyan.

«Non abbiamo ricevuto soldi da nessuno per il noleggio», ha dichiarato, «Coloro che stanno organizzando il trasporto sono il ministero degli affari umanitari in Nigeria, quindi il nostro compito è ottenere le istruzioni necessarie affinché il viaggio venga organizzato, e diamo semplicemente istruzioni agli studenti di incontrarsi in un determinato posto. Voglio assicurarvi che siamo preoccupati quanto voi e che non ce ne andremo finché i ragazzi non saranno messi in salvo e trasferiti in Nigeria».

I pullman, però, non si vedono. E gli universitari sono ancora lì. Oltre a loro, altri 5 mila studenti nigeriani che sono stati trasportati dal Sudan all’Egitto devono ancora lasciare il confine egiziano perché non sono stati autorizzati a entrare in Nigeria, mentre alcuni sono stati lasciati nella boscaglia dagli autisti degli autobus dietro pagamento.

I funzionari nigeriani, in questo caso, devono contattare le autorità egiziane del Cairo per il rilascio di un’autorizzazione che consenta loro di tornare a casa. «Al momento i documenti non sono ancora stati emessi, ma speriamo di sistemare tutto in breve tempo», ha dichiarato l’ambasciatore Olaniyan, che avrà pure ottime doti diplomatiche, ma che non è certo un maestro di rassicurazione.

Fatto sta che 2.500 studenti nigeriani sono ancora bloccati in Sudan e altri 5 mila non possono lasciare l’Egitto.

Una situazione al limite del grottesco, se non fosse che alla Sudan international university of Africa si avvicina il rumore delle bombe”.

L’Europa imbelle

“Quella sudanese è una crisi che dovrebbe interessare l’Europa – annota Alberto De Filippis su Euronews: “Gli scontri fra fazioni hanno provocato centinaia di migliaia di profughi. Molti di loro verranno respinti nei paesi limitrofi e, malgrado la distanza, cercheranno di raggiungere il vecchio continente. Ne sono convinte le ong che si occupano di migrazioni.

Dice Paul Dillon, portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni: “Stiamo assistendo a sfollamenti interni in 14 stati su 18, circa il 72%, circa 240.000 di questi sfollati interni sono stati segnalati solo nel Darfur occidentale e meridionale”. 

Le città sono ormai terra di nessuno. Gli stranieri sono fuggiti e hanno cercato di salvaguardare i loro bieni affidandoli spesso a persone di fiducia. Un tentativo che in questo caso si è mostrato inutile.

Secondo l’Onu ci vorrebbe almeno un miliardo e lezzo di euro per rispondere all’emergenza. Per il momento però, nulla si muove. Solo gli scontri non fanno che aumentare”.

La sintesi finale è affidata è uno che di guerra se ne intende: il generale Giuseppe Cucchi. Generale della riserva dell’Esercito, già direttore del Centro militare di studi strategici, consigliere militare del presidente del Consiglio, rappresentante militare permanente dell’Italia presso Nato, Ue e Ue, consigliere scientifico di Limes. Che sulla rivista diretta da Lucio Caracciolo rimarca: lo scontro in atto nel paese africano è un tassello della tumultuosa transizione verso un nuovo ordine mondiale. Osservano interessate le potenze regionali e mondiali, comprese Cina, Russia e Stati Uniti. L’Onu e Unione Europea, che dovrebbero essere protagoniste, sono totalmente assenti.

Più chiaro di così…

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