Migranti, oltre 55mila morti in nove anni: un crimine contro l'umanità che resta impunito
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Migranti, oltre 55mila morti in nove anni: un crimine contro l'umanità che resta impunito

I numeri danno conto delle dimensioni di una tragedia, e quelle dimensioni richiamano responsabilità mai praticata, chiamano in causa la disumanità di governi e istituzioni sovranazionali. 

Migranti, oltre 55mila morti in nove anni: un crimine contro l'umanità che resta impunito
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Aprile 2023 - 15.08


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E’ vero. I dati non raccontano tutto. Sono freddi, algidi. Quante volte si è detto e scritto, giustamente, che dietro a ogni numero c’è un volto, una storia, un essere umano. Questo vale soprattutto quando i dati si riferiscono alle vittime di una guerra, di una apocalisse umanitaria, di un terremoto, di un disastro ambientale. E delle innumerevoli stragi in mare. E’ vero. Ognuno di loro meritava di essere ricordato per la sua unicità. Tutto vero. Ma è altrettanto vero che i numeri danno conto delle dimensioni di una tragedia, e quelle dimensioni richiamano responsabilità mai praticata, chiamano in causa la disumanità di governi e istituzioni sovranazionali. 

Le dimensioni di una apocalisse

Per questo va dato merito a Openpolis per il lavoro svolto. Accurato, puntuale, autorevole. 

Che offre questo spaccato che dovrebbe far riflettere chiunque abbia ancora un po’ di umanità. Riflettere, indignare, e provare a fare qualcosa, ognuno per quel che può, perché questa immane mattanza di innocenti possa aver termine.

“In poco più di 9 anni sono morte o risultate disperse oltre 55mila persone mentre migravano alla ricerca di una vita migliore. Più di 6mila ogni anno, mille solo nei primi mesi del 2023.

È un dato impressionante dietro il quale si celano corpi e storie di decine di migliaia di persone che hanno trovato la morte in mare o sulla terraferma, lungo le numerose rotte migratorie del mondo.

La metà dei morti nel Mediterraneo

Delle oltre 55mila persone morte dal 2014 a oggi, più di 26mila hanno perso la vita o sono risultate disperse sulle tre principali direttrici della rotta del mar Mediterraneo (occidentale, centrale e orientale). È il 47,3% del totale.

26.257 persone sono morte o risultano disperse dal 1 gennaio 2014 al 31 marzo 2023 nel mar Mediterraneo.

Secondo il progetto Missing Migrants dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), un’agenzia delle Nazioni unite, la rotta del Mediterraneo è di gran lunga la più pericolosa del mondo. I tecnici dell’agenzia Onu, infatti, monitorano costantemente le 15 principali rotte migratorie che si articolano nel mondo. Parliamo sia di quelle intra-continentali sulla terraferma, come accade dal sud al nord Africa, che quelle che portano, per esempio, migliaia di migranti dai paesi dell’Asia centrale all’Europa attraverso la rotta balcanica, o l’attraversamento di continenti via mare, tramite il mar dei Caraibi o appunto il Mediterraneo. Occorre sottolineare che i dati forniti da Missing migrants rappresentano stime al ribasso, perché le rotte migratorie sono irregolari – quindi non è sempre possibile un adeguato tracciamento – e perciò in molti casi morti e dispersi non vengono registrati. Come abbiamo accennato, dei mille migranti morti o dispersi nei primi tre mesi di quest’anno, la metà (499) sono stati registrati nel mar Mediterraneo. Tra questi anche le 99 persone naufragate a pochi metri dalla spiaggia di Cutro, in Calabria, il 26 febbraio scorso. Ma le cifre delle morti in mare non sono purtroppo un’eccezione di questi mesi.

 I quasi 500 morti dei primi tre mesi del 2023 rappresentano, infatti, un numero simile a quello del primo trimestre dello scorso anno, quasi dimezzato rispetto alle cifre registrate dall’Oim nei primi mesi del 2016 e del 2017 (quando morirono o risultarono dispersi rispettivamente 749 e 803 migranti) ma superiore a quelle dello stesso periodo del biennio 2019-2021.

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L’inverno con il numero minore di persone che hanno perso la vita in mare è stato infatti il 2020, complice probabilmente anche la minore mobilità per via della pandemia.

Se consideriamo l’anno appena terminato notiamo che anche in questo caso è il Mediterraneo che vede più persone morte o disperse, tra tutte le rotte monitorate dall’Oim.

Nel 2022, infatti, il 35% dei morti o dispersi sono stati registrati nel mare che divide l’Africa dall’Europa: 2.406 su 6.868.

Dei 6.878 migranti risultati morti o dispersi l’anno scorso, sono 4.292 le persone per cui è stato certificato il decesso. Le 2.586 rimanenti, invece, risultano disperse ma, scrive l’Oim, si presume che siano morte.

Quella del Mediterraneo è l’unica rotta dove il numero dei dispersi supera quello dei morti.

In tutte le aree considerate sono più le persone per cui è stato appurato il decesso, tranne che per il mar Mediterraneo. In questa rotta, infatti, nel 2022 sono morte 838 persone, ma ne risultano scomparse 1.568. A conferma di come sia difficile anche solo capire quante persone abbiano perso la vita nel tentativo di raggiungere le coste dei paesi europei, e di come sia complicato recuperare i corpi in acqua.

Le altre rotte più pericolose nel 2022 risultano essere l’Asia occidentale (887 morti o dispersi), nord Africa (719) e Asia meridionale (702).

È invece meno mortale, ma non per questo meno dolorosa per la vita di centinaia di migliaia di persone, la rotta balcanica, che insieme alle altre vie di accesso in Europa (come per esempio la frontiera polacco-bielorussa) ha visto nel 2022 140 morti e 18 dispersi. 

Come arginare le stragi di migranti

Il fenomeno migratorio esiste da quando esiste l’umanità. Per questo appaiono come atti di velleità (quando non di pura propaganda) i tentativi da parte della maggior parte dei governi occidentali di voler fermare gli esodi, peraltro attraverso politiche repressive e in alcuni casi violente.

Non servono i muri eretti al confine tra Stati Uniti e Messico, né le centinaia di chilometri di barriere costruite recentemente tra Polonia e Bielorussia, sul confine lituano-bielorusso o gli oltre 500 km di muro su quello serbo-ungherese.

Inoltre, in questi anni la tutela dei diritti dei migranti è peggiorata, grazie ad accordi che vedono protagonista anche il nostro paese (come il memorandum Italia-Libia)

Si tratta di accordi che mirano esplicitamente a trattenere centinaia di migliaia di persone ai confini dell’Europa, delegando la privazione dei diritti e l’esercizio della violenza a governi autoritari o semi-autoritari, come quelli in Libia e Turchia. Quando non muoiono, insomma, molti migranti sono costretti alla reclusione arbitraria, alle violenze e ai soprusi. Condizioni che peraltro spingono le persone a fuggire e successivamente a trovare, talvolta, una tragica morte.

L’unico modo per governare i flussi migratori, garantendo al tempo stesso la sicurezza e il rispetto dei diritti fondamentali delle persone migranti, è porre in essere politiche pubbliche coraggiose ed efficaci, basate su corridori umanitari, flussi regolamentati e accordi tra paesi di partenza e di approdo”.

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Lo “smontatore” delle fake governative

Di grande interesse è l’intervista di Simone Alleva a Matteo Villa, ricercatore senior e co-leader del DataLab dell’ISPI che, numeri alla mano, smentisce la propaganda di governo su immigrazione e sbarchi.

Il governo cita con insistenza un paragrafo del rapporto annuale dei servizi segreti italiani dove si legge «l’aumento del soccorso in mare effettuato dalle navi ong». Ma lei insiste dicendo l’accusa dei servizi segreti alle Ong di fare da “pull factor” non è suffragata da alcun dato. Può spiegarci perché ?
«Forse la cosa più interessante è che siamo stati vittime di un’illusione collettiva: in nessun punto della relazione dei servizi segreti si sostiene che le Ong sarebbero un “pull factor”. Le poche frasi contenute nella relazione sono state strumentalizzate da alcuni giornali di destra. E d’altronde i servizi non potrebbero permettersi di fare un’affermazione del genere: tutti i dati giornalieri che ho raccolto dal primo gennaio 2018 dimostrano che, quando le Ong arrivano in area SAR libica, non aumentano le partenze».

Il ministro Piantedosi insiste non “devono partire”. Può essere una soluzione?
«Può essere una soluzione per portare a zero il numero delle morti in mare, ma a quel punto porteremmo quasi a zero anche il numero delle persone protette in Italia. E ne condanneremmo molte altre a una vita infernale, per esempio nei centri di detenzione libici. Non ci sono significativi canali legali per entrare in Italia che siano rivolti alle persone che intraprendono rotte irregolari. Anche perché, vista la pericolosità di molte di queste rotte, se ci fossero è evidente che queste persone tenterebbero quella strada, e non questa».

A proposito di soluzioni possibili: i corridoi umanitari sono un’alternativa ai viaggi in mare?
«Per chi, una volta arrivato in Italia, avrebbe grandi probabilità di qualificarsi come rifugiato, i corridoi umanitari sono un’alternativa validissima. Siriani, afghani, iraniani, iracheni, eritrei: tutte queste nazionalità hanno tassi di protezione in Italia vicini o superiori al 90 per cento. Il problema è che i corridoi vengono spesso utilizzati più per pulirsi la coscienza che come valida alternativa. Tra il 2015 e oggi, con i corridoi sono entrate poco più di 5.000 persone. Nello stesso lasso di tempo sono sbarcate 700.000 persone, di cui circa la metà (350.000) ha ottenuto una protezione in Italia. Di cosa stiamo parlando?».

Tiriamo le somme: con il governo Meloni sono aumentati gli sbarchi o diminuiti?
«Dal 22 ottobre 2022 a fine febbraio 2023 gli sbarchi in Italia sono stati quasi 43.000, mentre nello stesso periodo dell’anno scorso ci eravamo fermati sotto quota 22.000. Praticamente un raddoppio, e oltretutto un trend che ancora non “vede” il raggiungimento di un naturale plateau, figurarsi una diminuzione. Tutto questo accade pur di fronte a un crollo dell’attività delle Ong, passata dal 20 al 7,5 per cento di salvataggi rispetto al totale degli sbarchi in Italia. A dimostrazione che non è l’attività delle navi Ong in mare a influire sul numero dei migranti che partono».

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La Libia dei dannati e le responsabilità italiane

Ne scrive, con la consueta puntigliosità analitica e nettezza di esposizione Francesca Mannocchi su La Stampa. 

Annota tra l’altro Mannocchi: “Il sei febbraio scorso – pochi giorni dopo il sesto rinnovo del Memorandum d’Intesa italo libico – il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha consegnato alla Libia il primo dei cinque mezzi finanziati dell’Unione Europea: una motovedetta capace di ospitare 200 migranti, che l’Italia consegnerà alla guardia costiera libica come previsto dal Support to Integrated border and migration managment in Libya, cioè il programma finanziato dalla Commissione Europea attraverso il Fondo per l’Africa che dal 2017 avrebbe l’obiettivo di rafforzare le autorità libiche. 

Durante la cerimonia nel cantiere navale Vittoria a Adria, in provincia di Rovigo il Ministro Tajani ha speso parole incoraggianti: «Le autorità libiche hanno compiuto sforzi significativi nelle operazioni di salvataggio in mare e nel contenimento delle partenze irregolari, ma i flussi sono ancora molto alti», ha detto alla presenza della ministra degli Esteri di Tripoli, Najla Mangoush e del commissario Ue per l’Allargamento e la politica di vicinato, Oliver Varhelyi. 

Nessuno ha fatto menzione degli abusi subiti dalle persone migranti e anzi Várhelyi ha ribadito che non solo gli aiuti ridurranno le morti in mare ma che renderanno l’Europa più sicura. Un mese e mezzo dopo, alla fine di marzo, da un altro mezzo italiano donato alla Libia, il pattugliatore 656, la Guardia Costiera di Tripoli ha aperto il fuoco per allontanare la nave umanitaria Ocean Viking che si apprestava a soccorrere un barchino in difficoltà con ottanta persone a bordo. L’Ocean Viking non è riuscita ad avvinarsi e i migranti sono stati riportati a terra, in Libia, Paese che – val la pena ribadirlo ogni volta – le agenzie delle Nazioni Unite, le organizzazioni umanitarie definiscono da anni un «porto non sicuro». 

Per concludere così: “L’anno scorso, il commissario europeo per gli affari interni Ylva Johansson ha dichiarato al parlamento europeo che «l’Ue ha dedicato circa 700 milioni di euro (760 milioni di dollari) alla Libia nel periodo 2014-2020, inclusi 59 milioni di euro (64 milioni di dollari)» per la guardia costiera. Formare e fornire mezzi è già finanziare quelle istituzioni e rappresenta quindi la responsabilità morale di una politica che l’Europa non mette in discussione nemmeno di fronte alle evidenze degli abusi”.

Così stanno le cose, che Globalist ha denunciato in centinaia di articoli. Invocando una “Norimberga del Mediterraneo”. Che dia giustizia e onore alle decine di migliaia di esseri umani morti nel Mediterraneo. E inchiodi alle loro responsabilità quanti potevano fare qualcosa per salvarli e non l’hanno fatto. Le loro colpe non sono meno gravi, i loro crimini non meno sentenziabili di quelli commessi dai trafficanti di esseri umani.

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