Iran, non è più protesta ma rivoluzione: e il regime mobilita i boia di stato
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Iran, non è più protesta ma rivoluzione: e il regime mobilita i boia di stato

La convinzione che quella in atto da tre mesi in Iran non sia più una protesta ma una rivoluzione e che proprio per questo, non potrà essere risolta o placata dal regime teocratico con l’abolizione, ammesso che sarà fatto, della polizia morale.

Iran, non è più protesta ma rivoluzione: e il regime mobilita i boia di stato
Repressione in Iran
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Dicembre 2022 - 18.45


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Cos’hanno in comune un grande regista iraniano e il più autorevole analista di geopolitica israeliano? Presto detto. La convinzione che quella in atto da tre mesi in Iran non sia più una protesta ma una rivoluzione e che proprio per questo, non potrà essere risolta o placata dal regime teocratico con l’abolizione, ammesso che sarà fatto, della polizia morale.

“Smantellare la polizia morale non soddisferà i manifestanti iraniani”.

E’ il titolo dell’analisi di Zvi Bar’el per Haaretz.

Annota Bar’el: “L’annuncio dello scioglimento della polizia morale iraniana, fatto domenica dal procuratore generale del Paese, Mohammad Jafar Montazeri, richiede ancora una conferma ufficiale. Come ha ammesso lo stesso Montazeri, l’agenzia non è subordinata al Ministero della Giustizia, quindi deve prima stabilire se ha l’autorità per abolirla. Tuttavia, sia il parlamento iraniano che i chierici hanno discusso nelle ultime settimane sul funzionamento della polizia morale e sulla necessità di attuare riforme che riducano il conflitto del regime con i propri cittadini, in particolare con le donne, per l’uso dell’hijab.


Ahmad Rastineh, presidente della commissione culturale del parlamento, responsabile della promulgazione delle leggi morali del Paese, domenica ha accusato le istituzioni governative responsabili di “spiegare la questione dell’hijab” di debolezza e persino di fallimento. “Dobbiamo intraprendere la strada della persuasione contro coloro che rimuovono l’hijab”, ha dichiarato nelle osservazioni riportate, tra gli altri, dal sito web iraniano KhaberOnline. “Prepareremo presto un piano completo di persuasione e spiegazione per i cittadini che potrebbero non capire che questo tipo di protesta è sbagliata. Ci sono persone che non vogliono essere persuase, ma quando questa è la legge del sistema islamico, devono obbedire alla legge”.
Ha inoltre affermato che l’Iran ha decine di istituzioni e organizzazioni responsabili dell’attuazione della legge che impone alle donne di indossare l’hijab, tra cui scuole, università e altre istituzioni pubbliche, ma che hanno fallito nel loro compito esplicativo. La sua commissione preparerà quindi un rapporto dettagliato sulla loro condotta, ha aggiunto.

Montazeri, nel frattempo, ha trascurato di dire come la legge sull’hijab, “che rappresenta la linea che separa l’Occidente dalla cultura islamica”, sarà applicata d’ora in poi – in particolare, se i poteri della polizia morale saranno trasferiti ad altre agenzie di controllo, come la polizia. Non ha inoltre specificato quando, se mai, la polizia morale sarà effettivamente smantellata.


Ma i manifestanti iraniani hanno dichiarato domenica sui social media che non intendono interrompere le loro proteste nonostante l’annuncio di Montazeri, perché lo considerano privo di significato finché rimarrà in vigore la legge che impone alle donne di indossare l’hijab. “Il regime ha abbastanza modi per far rispettare questa legge discriminatoria, che mina la libertà delle donne e i diritti umani in generale, anche senza la polizia morale”, ha spiegato una donna iraniana su Twitter. “L’annuncio del procuratore generale potrebbe rivelarsi un tentativo di dividere le nostre forze e smantellare le proteste”.


I manifestanti hanno annunciato che intendono organizzare manifestazioni di massa per i prossimi tre giorni e, se necessario, anche dopo. Tuttavia, per quanto è possibile giudicare dai social media, che sono strettamente sorvegliati, parlano di principi generali come la libertà, il rispetto delle donne e dei diritti umani. Non hanno formulato alcuna richiesta specifica che possa servire come base per negoziare con il governo. “Molti parlano di rivoluzione e di rovesciare il regime”, ha scritto un commentatore online. “Ma molti altri non sono interessati a questo. Vogliono preservare il sistema, a condizione che sia più giusto, più umano, più attento”. Ma a parte il divario tra i manifestanti disposti ad accontentarsi delle riforme e quelli che cercano un cambio di regime, anche coloro che si accontenterebbero delle riforme non sono riusciti a mettersi d’accordo su quale tipo di riforme li soddisferebbe.


Un altro problema è che i manifestanti non hanno una leadership riconosciuta che coordini le loro attività e che possa rappresentarli nei colloqui con il governo. Ma naturalmente è difficile organizzare una leadership quando chiunque diventi importante nelle proteste viene immediatamente preso di mira dal governo e imprigionato o ucciso. Al momento, le proteste sono spontanee, con un numero sempre maggiore di persone che si uniscono per vari motivi. La crisi economica, la povertà, la disoccupazione e il costo della vita si mescolano alle richieste di maggiori diritti umani e di abrogazione della legge sull’hijab. Questo rende difficile costruire un’agenda realistica piuttosto che un’agenda fatta solo di slogan.


A questo punto, il governo potrebbe ancora neutralizzare un elemento della protesta: la legge sull’hijab, che si è dimostrata una forza potente per mobilitare i manifestanti e alimentare le proteste. L’annuncio di Montazeri di smantellare la polizia morale indica che il regime sta andando in questa direzione. Questa decisione non richiederebbe negoziati con i manifestanti e lascerebbe al governo almeno una parvenza di controllo sulla crisi.

Alla luce di ciò, è istruttivo l’approccio indulgente di Rastineh nei confronti dei manifestanti, che potrebbero non “comprendere l’essenza dell’hijab”; la sua intenzione dichiarata di intraprendere la via della persuasione; e il fatto che abbia biasimato alcune istituzioni statali. Rastineh riflette lo stato d’animo dei conservatori in parlamento, che riconoscono la profondità della crisi di fiducia tra il regime e i suoi cittadini. Il suo piano di preparare una riforma globale, se verrà attuato, significa affidare al governo del presidente Ebrahim Raisi, piuttosto che al sistema o alla guida suprema Ali Khamenei, la responsabilità di fornire soluzioni per scoraggiare la minaccia alla stabilità del regime.


Il discorso del regime sulle “riforme” si riferisce anche al fallimento dei servizi di sicurezza nel reprimere le proteste, nonostante l’uccisione di oltre 300 manifestanti e il ferimento e l’arresto di migliaia di persone. Questo non rappresenta solo delusione e frustrazione per un regime che per decenni è riuscito a reprimere l’opposizione, a disperdere le manifestazioni e a comprarsi periodi di tranquillità. Il timore più grande è che le persone al potere perdano fiducia nella loro capacità di mantenere l’obbedienza del pubblico. E da lì – conclude Bar’el – , il cammino verso la frantumazione della gerarchia dell’autorità suprema è breve”.
La lotta continua

Negozi e mercati in varie città dell’Iran sono rimasti oggi chiusi, aderendo ad uno sciopero di tre giorni indetto da attivisti nell’ambito delle proteste anti governative in corso da settembre. L’iniziativa è stata attuata nella capitale Teheran ma anche a Sanandaj, Isfahan, Bushehr, Shiraz, Kerman, Ardebil, Mahabad, Orumiyeh, Kermanshah e altre città.  Gli scioperi hanno coinvolto anche autotrasportatori e alcuni lavoratori degli impianti petrolchimici di Mahshahr e delle acciaierie di Isfahan. Dimostrazioni e boicottaggio delle lezioni si sono visti anche in vari atenei iraniani, a due giorni dal 7 dicembre, quando in Iran si festeggia ‘il giorno dello studente’ e il presidente Ebrahim Raisi ha in programma di tenere un discorso in una delle università del Paese. 
Le proteste si susseguono nel Paese da quasi tre mesi dopo la morte, il 16 settembre a Teheran, di Mahsa Amini, 22enne di origine curda che ha perso la vita dopo essere stata messa in custodia dalla polizia morale perché non portava il velo in modo corretto.

Pugno di ferro dei pasdaran

Il corpo paramilitare dei “basij, la polizia e le forze di sicurezza non esiteranno a fronteggiare duramente i rivoltosi, i criminali armati e i terroristi che sono stati assoldati dai nemici” Lo si legge in una dichiarazione delle Guardie della rivoluzione iraniana mentre è in corso in molte città del Paese il primo dei tre giorni di sciopero indetto da attivisti nell’ambito delle proteste anti governative in corso da quasi tre mesi nel Paese. “Dopo la sconfitta della nuova sedizione, creata dai nemici, il sistema sacro della Repubblica islamica continuerà con forza a realizzare la sua causa e sconfiggerà il fronte unito dei nemici”, si legge nella dichiarazione.  Secondo i dati dell’agenzia degli attivisti dei diritti umani iraniani Hrana, da quando le dimostrazioni sono iniziate, negli scontri hanno perso la vita almeno 471 persone, tra cui 64 minori e 61 membri delle forze di sicurezza, mentre gli arrestati sono oltre 18mila. rivoltosi, condannati a morte per “Muharebeh” o “Fesad fel arz” (“Guerra contro Dio e Corruzione sulla Terra”, due capi d’accusa della legge islamica iraniana) saranno impiccati presto». Lo ha detto il capo della magistratura iraniana, Gholamhossein Ejei, secondo quanto riporta l’Irna, riferendosi a un gruppo di persone arrestate durante proteste dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne che ha perso la vita dopo essere stata arrestata perché non portava il velo in modo corretto. 

Vista da  Abassi

“In Iran non è più protesta ma rivoluzione”. Così la vede Ali Abassi, il grande regista iraniano, in gara per l’Oscar con il suo film Holy Spider. Scrive l’Ansa: “Quello che sta succedendo in Iran “è la conseguenza di ciò che è accaduto nel Paese negli ultimi 50 anni. Secondo me non si tratta più un movimento di protesta, ma di una rivoluzione, e penso che cambierà il volto di quella regione per sempre. Non avrei mai pensato di vedere un giorno donne che marciano sulle strade iraniane, con dietro di loro anche gli uomini, consapevoli che se le cose cambieranno sarà un beneficio per tutti.”. Lo spiega, negli incontri in streaming di Deadline Contenders dedicati ai titoli in lizza come miglior film internazionale, il regista iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi. Il cineasta, dopo essere stato in gara per la Svezia alla statuetta nel 2019 per Border, torna in corsa per la Danimarca con Holy Spider, nato dalla vera storia del serial killer iraniano Saeed Hanaei, operaio e padre di famiglia, che tra il 2000 e il 2001 ha ucciso nella città sacra di Mashhad 16 prostitute, convinto così di compiere il lavoro di Dio. Il film (che arriverà in Italia a febbraio con Academy Two) ha debuttato a Cannes, dove ha vinto il premio per la migliore attrice protagonista, Zar Amir-Ebrahimi, interprete iraniana rifugiata in Francia dal 2008, dove nel 2017 ha ottenuto la cittadinanza. “Noi chiaramente conoscevamo bene il contesto, sapevamo della profonda misoginia nel regime e nella società iraniana, ma quando Holy Spider è uscito alcuni non hanno considerato quell’aspetto – spiega Abbasi -. Vedendo però quello che sta succedendo, ora molti comprendono di più ciò che il film racconta”. Zar Amir-Ebrahimi, interprete nella storia di Rahimi, una giornalista che si mette a rischio nell’indagare sul serial killer, si è chiesta “quali fossero le motivazioni del personaggio. Oggi, alla luce dei fatti a cui assistiamo, considero il film e il mio personaggio in maniera diversa.  Vedendo le donne iraniane protestare in strada e rischiare la propria vita per cambiare la società mi sono resa conto che, allo stesso modo, Rahimi rischia per ottenere la libertà”. Oggi in Iran, “è realmente in atto una rivoluzione perché donne e uomini stanno chiedendo insieme il rispetto dei loro diritti civili”. 

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