Migranti, il securitarismo è come il socialismo reale: irriformabile. E per di più criminale
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Migranti, il securitarismo è come il socialismo reale: irriformabile. E per di più criminale

Il securitarismo, più o meno greve, parte da un principio fondativo: il migrante come minaccia e mai come risorsa. Il migrante come “invasore” e mai come un soggetto propulsivo per la crescita economica e culturale di una comunità nazionale

Migranti, il securitarismo è come il socialismo reale: irriformabile. E per di più criminale
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

3 Dicembre 2022 - 14.51


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Il securitarismo è come il socialismo reale: irriformabile. Hai voglia a temperarlo, più a parole che nei fatti peraltro. Il seciritarismo è il brodo di coltura nel quale cresce la destra. E lo fa anche per le incertezze, le ambiguità che hanno connotato l’azione del centrosinistra quando è stato al Governo. Il securitarismo, più o meno greve, parte da un principio fondativo: il migrante come minaccia e mai come risorsa. Il migrante come “invasore” e mai come un soggetto propulsivo per la crescita economica e culturale di una comunità nazionale. Il migrante come incarnazione dei nostri tempi del “diverso” del quale diffidare, perché portatore solo di negatività. Il securitarismo è una versione moderna di quel “Fascismo eterno” mirabilmente declinato da Umberto Eco.

Col securitarismo non si scende a patti

Di certo non lo fa Papa Francesco. Scrive Francesca Sabatinelli su Vatican News: “L’incapacità a trovare soluzione comuni alla mobilità umana continua comportare una perdita di vite umane inammissibile e quasi sempre evitabile, soprattutto nel Mediterraneo. È stato questo il richiamo di Francesco in un messaggio inviato ai partecipanti all’VIII Conferenza Rome MED Dialogues in corso a Roma fino al 3 dicembre, che vede riuniti rappresentanti politico-istituzionali, analisti, esponenti della società, dell’economia e dei media per discutere di alcuni dei temi fondamentali per il Mediterraneo e per migliorare la cooperazione intra-regionale. Il Papa indica quindi in una soluzione comprensiva vantaggiosa per tutti l’unica strada da percorrere poiché “la migrazione è essenziale per il benessere di quest’area e non può essere fermata”. Francesco ribadisce che “nessuno si salva da solo”, come dimostrato dalla pandemia, e che quindi “l’interconnessione delle problematiche richiede che vengano esaminate insieme, in una visione coordinata e la più ampia possibile”.

A rappresentare oggi la globalizzazione dei problemi è la guerra tra Russia e Ucraina con i suoi “incalcolabili danni di guerra”, dal punto di vista delle vittime, sia civili che militari, della crisi energetica, di quella finanziaria, umanitaria e alimentare, quest’ultima estesa anche ai paesi più poveri, come quelli nord africani, “che dipendono per l’80% dal grano proveniente dall’Ucraina o dalla Russia”. La globalità degli effetti della crisi fa capire, spiega Francesco, come la situazione vada affrontata in una ottica globale, non si può quindi risolvere una singola crisi a prescindere dalle altre, “né si può prendere in considerazione la vastità delle sofferenze umane senza tener conto della crisi sociale, in cui, per un profitto economico o politico, il valore della persona umana viene sminuito e i diritti umani vengono calpestati”. Affrontare i singoli temi in “modo settoriale”, è l’avvertimento “comporta il rischio di giungere a soluzioni parziali, difettose, che non solo non risolvono i problemi ma li cronicizzano”.

La vocazione del Mare nostrum, luogo di incontro

Il Mare nostrum, è la raccomandazione del Papa alla Conferenza, deve recuperare quella “vocazione di progresso, sviluppo e cultura” che recentemente sembra aver smarrito. La sua potenzialità mette in contatto tre continenti, spiega ancora, “collegamento che storicamente, anche tramite la migrazione, è stato grandemente fecondo”, oggi però, è il rammarico di Francesco, quello stesso Mare “stenta ad essere vissuto come luogo di incontro, di scambio, di condivisione e di collaborazione”, pur essendo quel crocevia di umanità portatore di tante opportunità. La raccomandazione è quindi quella di “riprendere la cultura dell’incontro” per ricostruire “un senso di fraternità, sviluppando, oltre a rapporti economici più giusti, anche relazioni più umane, comprese quelle con i migranti”.

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Così Bergoglio.

Da un saggio all’altro. Dal Vaticano al Quirinale.

Dall’Adnkronos: “La gestione dei flussi migratori è “questione decisiva e globale” che richiede un “impegno comune” dei Paesi dell’Unione europea, confrontandosi con quelli africani, a cominciare dalla Libia. Nuovo appello del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per un approccio alla questione migrazione che eviti radicali contrapposizioni, ma passi attraverso il confronto e il dialogo. L’occasione è l’apertura dell’ottava edizione dei ‘Dialoghi mediterranei’, organizzati a Roma dall’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale). “La crescita dei Paesi posti sulle rive del Mediterraneo -ricorda il Capo dello Stato- passa anche per una comune e lungimirante gestione dei flussi migratori che impoveriscono i Paesi di origine di energie utili allo sviluppo delle loro comunità. Si tratta di una questione decisiva e globale -come ben sa l’Organizzazione internazionale delle migrazioni- legata a dinamiche demografiche e d’interconnessione mondiale che appare vano pensare possa eclissarsi e che dobbiamo, invece, in una logica di comune interesse, impegnarci a gestire”. “Anche su questo terreno -è l’esortazione di Mattarella- diplomazia, istituzioni nazionali ed internazionali, a cominciare dall’Unione europea, sono chiamate a un impegno comune fra loro e con quei Paesi -penso alla difficile situazione che continua ad attraversare la Libia- più esposti a questo fenomeno. Anche in questo caso sono in gioco la vita, il destino e la dignità degli esseri umani. È questione cruciale per la stabilità e per la prosperità dell’Unione europea e per la stabilità e la prosperità del nostro vicinato meridionale”. 

Oltre l’emergenzialismo

Bisogna pensare a “soluzioni differenti” per la lotta alle migrazioni illegali nel Mediterraneo, perché “motovedette e guardie” non risolvono il problema alla radice. Così Najla el Mangoush, la ministra degli Affari esteri libica, al panel “Yemen, Siria, Libia, Afghanistan: le crisi irrisolte” nell’ambito dei Med Dialogues 2022 in corso a Roma. “Dico ai nostri amici in Italia e nell’Unione Europea che dobbiamo guardare a soluzioni differenti per le migrazioni: per me motovedette e guardie non sono soluzioni”, ha detto Mangoush, auspicando un’azione più ad ampio spettro, che prenda in considerazione le “cause profonde” della migrazione illegale. “La Libia non è l’obiettivo di questi migranti che passano per il nostro Paese cercando di raggiungere l’Europa in cerca di una vita migliore”, ha detto la ministra. L’esponente del governo di Tripoli ha poi indicato due “passi pratici” da dove iniziare: “Primo, dobbiamo lavorare con i Paesi africani e fornire fondi per lo sviluppo e creare opportunità di sviluppo. Secondo, servono risorse ed attrezzature per controllare e mettere in sicurezza i confini (meridionali)”, ha aggiunto.

Il ministro-prefetto insiste

Una stretta sugli sbarchi per affrontare la crisi sui migranti. Il decreto flussi, il nuovo piano del ministro Piantedosi, “non andrà in Cdm ma verrà poi recepito in un Dpcm”. Lo ha affermato il ministro dell’Interno a margine di un convegno a Roma.

 “Ci stiamo lavorando con i colleghi di governo, è un lavoro di coordinamento. L’importante è farlo bene e nei tempi giusti” ha sottolineato il ministro.  E riguardo all’ipotesi che il decreto possa essere pronto entro il 2022, ha aggiunto: “Stiamo lavorando per bruciare i tempi. Il Governo purtroppo è salito a bordo da pochissimo” precisa Piantedosi. 

E vai col securitarismo di governo.

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Ecco chi finanziamo.

Scrive Brando Ricci di Agenzia Dire: “Una nave della cosiddetta Guardia costiera libica, ma in realtà di una milizia, ha intercettato a 60 chilometri dalla costa e riportato a Tobruk 522 persone fra i quali 240 minori, soprattutto cittadini siriani ed egiziani, che erano a bordo di un vecchio peschereccio. I miliziani hanno condotto l’operazione dopo essere stati informati sul transito in mare della barca da fonti che non hanno voluto specificare”. Esponenti dell’organizzazione Refugees in Libya, costituita da migranti africani residenti o bloccati in Libia, su Twitter hanno aggiunto: “Con il rinnovo del sistema terrorista messo in piedi da Italia e Libia sempre più persone continuano a morire, mentre il Paese nordafricano diventa sempre più insostenibile”.

Altro che Guardia Costiera: sono miliziani armati. Il finanziamento alla Guardia costiera libica che, secondo le ricerche di diversi media e Ong libiche, italiane e internazionali è in realtà costituita da milizie armate che commettono abusi e di cui si ignora la composizione e le attività, è uno dei punti più discussi del Memorandum fra Italia e Libia del siglato nel 2017, dall’allora governo-Gentiloni, Marco Minniti, ministro dell’Interno. L’intesa è stata rinnovata una prima volta nel 2020 ed è in attesa di essere rinnovata una terza volta in automatico a febbraio dell’anno prossimo, dopo il tacito assenso del governo di Roma, che aveva tempo per revocarlo entro il 2 del mese di novembre.

Il battaglione Tarik Bin Ziad. “La nave è stata bloccata dal battaglione di Tarik Bin Ziad, una delle milizie più forti a Tobruk, che ci ha detto di essere intervenuta dopo aver ricevuto notizie su questa nave da una fonte che non è stata rivelata”, dice un portavoce di Refugees che si trova in Libia e che preferisce restare anonimo per ragioni di sicurezza. L’imbarcazione che si è occupata dell’operazione “portava la sigla Ingadz 7, ovvero la parola araba che sta per ‘salvataggio’, a ulteriore dimostrazione che si trattava di un mezzo della sedicente Guardia costiera”.

La denuncia di Amnesty International

“Da tempo la Libia non è un luogo sicuro per rifugiati e migranti. Attori statali e non statali li sottopongono a una serie di violazioni dei diritti umani e abusi, tra cui uccisioni illegali, torture e altri maltrattamenti, stupro e altre violenze sessuali, detenzione arbitraria a tempo indefinito in condizioni crudeli e inumane e lavoro forzato. Nonostante i continui e ben documentati raccapriccianti abusi perpetrati nell’impunità per oltre un decennio, stati e istituzioni europee continuano a fornire supporto materiale e perseguire politiche migratorie che permettono ai guardacoste libici di intercettare uomini, donne e bambini che cercano di scappare alla ricerca di salvezza attraversando il mar Mediterraneo, e ne consentono il ritorno forzato in Libia, dove vengono trasferiti per essere sottoposti a detenzione illegittima e affrontano ulteriori cicli di violazioni dei diritti umani.[…]. L’Unione europea e i suoi stati membri devono sospendere la cooperazione con la Libia in tema di controllo delle frontiere e delle migrazioni, fino alla creazione di meccanismi di due diligence, monitoraggio e accertamento delle responsabilità e fino a quando le autorità libiche non adotteranno misure concrete e comprovabili per proteggere i diritti di rifugiati e migranti, anche chiudendo i centri di detenzione e rilasciando tutte le persone detenute sulla base del proprio status di migranti”.

Intanto, si registra un nuovo naufragio di migranti di fronte a Lampedusa. Secondo un primo bilancio, quaranta persone sarebbero state tratte in salvo, mentre altre sono disperse. Secondo quanto riferito dai testimoni, l’imbarcazione si è ribaltata quando si è avvicinato il mezzo di soccorso e la gran parte dei migranti a bordo si è spostata su un lato.  I 40 migranti tratti in salvo hanno riferito di essere partiti da Sfax (Tunisia), il primo dicembre. La loro barca si è ribaltata e sono tutti finiti in acqua, a 40 miglia dalla costa di Lampedusa. I tre che mancherebbero all’appello potrebbero essere rimasti intrappolati nello scafo della barca ribaltata.

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La rotta tunisina

Arrivano nelle aree di Porto Empedocle, Sciacca, Licata, nell’Agrigentino, su barconi di legno di 10-12 metri, che spesso vengono anche abbandonati. In alcuni casi gli occupanti delle imbarcazioni riescono a scendere e far perdere le loro tracce, in altri gli uomini della Guardia di Finanza o della Capitaneria di porto li hanno individuati.  Più a ovest, verso Trapani o Mazzara, gli immigrati sbarcano, invece, da gommoni che portano dalle 20 alle 40 persone alla volta. In alcuni casi, assieme agli esseri umani, sono stati recuperati anche carichi di sigarette o stupefacenti. 

E’ la rotta tunisina, che attraversa il confine tra Tunisia e Libia. A confermarlo è Reem Bouarrouj, responsabile immigrazione di Ftdes, “Tra gli immigrati in Libia – dice – da tempo è iniziata  a circolare la voce. Sanno che la Guardia Costiera e le milizie impediscono le partenze dalla costa e così puntano alla Tunisia”. Nell’area di confine tra Libia e Tunisia vige, ormai da tempo, un patto d’azione tra trafficanti di esseri umani e miliziani dell’Isis che, in rotta da Siria e Iraq, hanno fatto di quest’area frontaliera la trincea avanzata dello Stato islamico nel Nord Africa.

Annota Paolo Howard ,in un documentato report su Affari Italiani: “Considerare la rotta tunisina quale mera alternativa a quella libica appare riduttivo. Sono i migranti tunisini a imbarcarsi dai porti di Sfax e Kerkenna, raramente gli stranieri…I protagonisti della rotta restano i giovani tunisini che, stretti nella morsa di una economia impoverita e di un clima politico asfissiante, fuggono a bordo dei social media prima ancora che delle imbarcazioni di fortuna”.

A Sud, le nostre frontiere esterne sono composte da Paesi che non sono solo più di transito, per migranti e rifugiati, ma di origine. E’ il caso, per l’appunto, della Tunisia. Sono i migranti tunisini a imbarcarsi dai porti di Sfax e Kerkenna, raramente gli stranieri Sebbene negli ultimi tempi il flusso di migranti sub sahariani lungo il confine tunisino-libico sia cresciuto (migranti che vengono in Tunisia per trovare lavoro e raccogliere i soldi per pagare i passeur), ad oggi i protagonisti della rotta restano i giovani tunisini che, stretti nella morsa di una economia impoverita e di un clima politico asfissiante, fuggono a bordo dei social media prima ancora che delle imbarcazioni di fortuna.

Nell’area di confine tra Libia e Tunisia vige, ormai da tempo, un patto d’azione tra trafficanti di esseri umani e miliziani dell’Isis che, in rotta da Siria e Iraq, hanno fatto di quest’area frontaliera la trincea avanzata dello Stato islamico nel Nord Africa. 

Un problema in più che il securitarismo destrorso pensa di poter affrontare e risolvere a colpi di decreti e con idee balzane, oltre tutto irrealizzabili, come il blocco navale. Attuarlo significherebbe dichiarare guerra alla Libia. Il fascismo lo fece. E i loro neofiti?

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