Brevi note su Giggino Di Maio, l'Angelo Merkel di Fuorigrotta
Top

Brevi note su Giggino Di Maio, l'Angelo Merkel di Fuorigrotta

Dopo essersi candidato alla guida della cabina di regia internazionale sulla Libia, l’ambizioso titolare della Farnesina alza l’asticella e dagli studi di Mezz'ora in più punta alla Ue

Di Maio e Angela Merkel
Di Maio e Angela Merkel
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Settembre 2021 - 17.35


ATF

Di certo non è l’ambizione a fargli difetto. Su questo piano Luigi Di Maio può essere definito il “Maradona degli ambiziosi”, per usare una metafora calcistica di un giocatore a lui caro, come lo stadio che lo vide giovane steward. 

Dopo essersi candidato alla guida della cabina di regia internazionale sulla Libia, l’ambizioso titolare della Farnesina alza l’asticella e dagli studi di Mezz’ora in più su Rai 3. 

“Angelo Merkel”

 “In questo momento abbiamo una fase di cambio della leadership europea. Angela Merkel protagonista indiscussa sta uscendo di scena per sua scelta” e “come Italia possiamo cogliere l’opportunità per colmare questo vuoto di leadership con questo governo” e stimolare “l’Ue a non stare più con il piede in due scarpe come politica estera e di difesa”.

Così Di Maio. Bene, bravo. Se non fosse che l’Italia nel quadro internazionale, ed europeo, conta sempre meno, nonostante l’autorevolezza del presidente del Consiglio Mario Draghi.

“L’abbiamo sempre sostenuta. Se vogliamo fare la difesa comune europea per fronteggiare o metterci in contrapposizione con gli americani, praticamente la facciamo nascere morta” dice Di Maio. “La difesa comune europea deve essere complementare a quella che è la nostra alleanza strategica, che è la nato  e che ci può consentire, nell’ambito delle relazioni con i nostri alleati per valori e strategia, che sono gli Stati Uniti, di poter contare tutti insieme di più nel mondo. Il tema è che oggi se l’Europa è più forte aggiunge – lo sarà anche tutta l’alleanza Nato e euroatlantica”, ma “se ci sono Paesi in Europa che pensano alla Difesa comune per sostituire o affrancarsi dalla Nato, sbagliano pienamente. Perché è la solita illusione di autosufficienza che in un mondo globalizzato e interconnesso è un’illusione sempre. Ricordiamoci dei Paesi che chiudevano le frontiere all’Italia perché era entrata prima nel virus, poi due settimane dopo c’erano tutti i capi di Stato a fare i discorsi alla nazione dicendo fate come l’Italia”.  

Ora, la conversione filoatlantica del Ministro pentastellato è degna del migliore, si fa per dire, Luttwak. Ma va bene così.

“Cosa si aspetta l’America dall’Italia? Gli Stati Uniti sanno che l’Italia è uno dei più grandi alleati europei e soprattutto con Biden, che dà maggiore spinta al multilateralismo, l’aspettativa è l’amicizia e l’alleato di sempre. Blinken mi ha chiamato per dire che riaprono i viaggi dall’Italia agli Usa, lavoriamo con amministrazione che ci considera alleati leali”, esulta il capo della diplomazia italiana. Anche qui, siamo al desiderata che si spaccia per realtà., “Dopo la pandemia è evidente che serva il multilateralismo. E’ un’illusione pensare di essere autosufficienti”. Chissà perché il capo della diplomazia italiana si è convinto che la nuova amministrazione Usa, abbia inserito la Libia tra i primi punti della sua agenda internazionale. Basta prendersi la briga di parlare con un buon analista di politica estera o con un corrispondente americano a Roma, per avere contezza che questa convinzione sa fondata sul nulla. Ben altre sono le priorità di Biden, e quasi tutte di politica interna (una campagna massiva di vaccinazione, la tensione razziale, rilanciare l’economia…) e che sul versante geopolitico, al centro di tutto resta il confronto-scontro con il Gigante cinese. 

In questo quadro, ciò che più interessa alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato è che Roma non abbia ancora “sbandate” filo-cinesi (vedi la nuova Via della Seta), che si accolli l’acquisto di tutti gli F-35 in programma, che aumenti il suo contributo finanziario alla Nato. Quella di Biden, è una versione edulcorata dell’America first del suo predecessore. Che poi, a ben vedere, è la linea di tutti i presidenti, democratici e repubblicani, succedutisi alla Casa Bianca: va bene il multilateralismo, vanno benne le alleanze strutturate, a patto che siano funzionali agli interessi americani. La prova provata di tutto viene dalla tempistica e dalla modalità del ritiro dall’Afghanistan. Biden l’ha deciso e solo dopo ha coinvolto gli alleati della Nato. Alla faccia della condivisione…

E ancora: soldati italiani in Libia? Siamo in un’altra fase. Oggi non servono soldati, ma le elezioni. Se il popolo le vuole, gliele dobbiamo dare. Qualcuno dice che è un’utopia, ma a livello di multilateralismo con le Nazioni Unite stiamo lavorando per arrivare alle elezioni” spiega Di Maio. Qualcuno dovrebbe dirgli che la Libia è in pieno caos armato e che le elezioni di dicembre restano appese a un filo.

Dalla Libia all’Afghanistan. “Non è possibile riconoscere questo governo dei talebani, dove ci sono 17 ministri nelle liste dei terroristi, ma è possibile continuare ad aiutare gli afgani”, ha sottolineato il ministro degli Esteri aggiungendo che come ministri degli Esteri del G20 si è deciso di lottare contro il terrorismo, lavorare per la tutela dei diritti umani e dare aiuto umanitario”.

Un collezionista di gaffe da riempire una enciclopedia. Uno smentitore seriale di se stesso, uno smemorato patentato, come dimostra la vicenda, riporta alla luce da Globalist, del riconoscimento “rimangiato” dello Stato palestinese. Ma il meglio di sé, Luigi Di Maio, imbarazzante ministro degli Esteri, lo ha offerto nelle sue uscite, dichiarazioni, missioni, in Africa. E’ la storia di “Giggino l’Africano”, forte con i deboli, debole (per non dire prono) con i forti. Sulla Libia, non è il caso di infierire. Il “Furbetto della Farnesina”, oltre a recitare compitini scritti da altri, ha provato a tenere il piede in due staffe, sostenendo, a parole, il Governo di Tripoli, guidato allora dal dimenticato Fayez al-Sarraj, salvo “flirtare” con il nemico dichiarato di Sarraj, il generale Khalifa Haftar. Risultato? Un fiasco totale. L’Italia è stata scaricata da tutti e due i contendenti, perché ritenuta inaffidabile, se non doppiogiochista. Sullo Yemen, “Giggino l’Africano” ha giurato solennemente che l’Italia avrebbe posto fine alla vendita di armi, bombe e altro, alla coalizione a guida saudita che, anche con le bombe made in Italy, continua a fare stragi di civili in quel martoriato Paese. Le armi a Riyadh continuano ad essere vendute. E lo stesso avviene con gli assassini di Giulio Regeni.

Genuflesso

D’altro canto,Di Maio per al-Sisi  i ha un debole. Tanto da affermare: “Al Sisi ha detto ‘Giulio Regeni è uno di noi’. Credo che visite come queste possano contribuire ad accelerare l’accertamento della verità”. Il Cairo, 29 agosto 2018. Di Maio era in missione ufficiale in qualità di ministro dello Sviluppo economico, Lavoro e politiche sociali, nonché vice presidente del Consiglio, nel Conte I. L’Egitto, ha sottolineato in quell’occasione Di Maio: “È un Paese che ci è sempre stato amico. Ho avuto la confermato che loro ci vedono come uno dei Paesi più amici”. Le relazioni tra i due Paesi, secondo il ministro, “possono essere un’occasione ulteriore per stabilizzare la situazione in Libia”. Profezia, quest’ultima, rivelatasi una fake. La Libia è in piena guerra totale, e al-Sisi, sostenitore di Haftar, non ci si fila proprio. 

Sedici luglio 2020. Altra “perla” di Di Maio. Così la racconta Globalist: “Ci vuole una bella faccia. Perché quello che sta accadendo è un vero e proprio tradimento delle aspettative di tutti quegli italiani (elettori M5s e della sinistra compresi) chiedono verità e giustizia per Regeni senza più farci prendere in giro dall’Egitto di al-Sisi. “L’Italia non ha mai incoraggiato con strumenti istituzionali la cooperazione commerciale tra le aziende italiane e l’Egitto. Le fregate Fremm sono oggetto di commissioni esistenti tra Fincantieri e Il Cairo”. Insomma, “non c’è una strategia del governo per portare le nostre aziende in quel Paese”.

Così dixit il titolare, ahinoi della Farnesina, , rispondendo in Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni sulla vicenda della recente vendita di armamenti italiani all’Egitto. Di Maio ha quindi osservato: “Dubito che la vendita di questi prodotti sia da intendere come un favore dell’Italia all’Egitto. Non credo che infici la ricerca della verità’ né possa essere intesa come una sorta di leva” per raggiungere quell’obiettivo. Utili in questa prospettiva, ha ribadito il ministro, l’azione “del governo, della magistratura, del corpo diplomatico e dell’intelligence italiana”.

Vale la pena restare, e riportare alla luce, quell’audizione. Perché lì c’è il compendio dell’essere ministro degli Esteri di “Giggino”: parole ridondanti contraddette dai fatti, giravolte dialettiche, impegni inevasi, lezioncine di geopolitica senza spessore. Ecco il campionario.

“Ogni critica” da parte della famiglia Regeni “è legittima e comprensibile e deve essere una spinta” per il governo: “Come uomo di Stato dico che noi stiamo facendo il massimo”. Avete letto bene: “Stiamo facendo il massimo” E se non vi basta, ecco il carico da 11: il ministro sottolinea il “fortissimo impegno degli esecutivi di cui ho fatto parte, con un’azione continua e insistente” sulla quale “non devono esserci cali di tensione”. “È giusto pretendere anche nella società civile la verità e questo è un altro strumento di pressione sulle autorità egiziane, italiane e europee, che devono a mio parere sentirsi coinvolte molto di più”, ha aggiunto di Maio. “Quando sono arrivato alla Farnesina – ha detto ancora – era un anno che le procure non avevano più contatti. Subito dopo l’incontro con la famiglia assicurai l’impegno a voler far riprendere i contatti tra le procure. Anche perché era fondamentale per permettere passi in avanti. Con enorme difficoltà e con la pandemia di mezzo abbiamo fatto riprendere i contatti tra le procure e crediamo che l’azione del corpo diplomatico stia producendo questo processo che non è nato dal nulla”. 

Ed ancora: “L’autorità politica e la diplomazia continuano ad impegnarsi per pervenire alla verità, verità che dobbiamo alla memoria di Giulio Regeni, alla famiglia e a tutta l’Italia. La vicenda Regeni è una ferita aperta per tutto il paese”.

Poi la lezioncina di diplomazia: “Riteniamo necessario coinvolgere costantemente al più alto livello le autorità del Cairo” sul caso e in tal senso “è fuorviante credere che avere un nostro ambasciatore al Cairo significhi non perseguire la verità e viceversa è fuorviante pensare che ritirarlo sia necessario per arrivare alla verità” “Tutto il governo – ha aggiunto – comprende il dolore della famiglia Regeni” ma la presenza dell’ambasciatore “rientra nella strategia” dell’esecutivo anche “per chi come Patrick Zaky è ancora lì”. “Uno degli strumenti di pressione” per far progredire il caso sulla morte di Giulio Regeni ” è continuare nell’azione che porta avanti il corpo diplomatico in Egitto, che è sempre in correlazione con intelligence e gli altri apparati dello Stato presenti”.

E qui chiudiamo. Ora, con tutto il rispetto, ministro Di Maio ma come gli è venuto in mente di proporsi come l’”Angelo Merkel” di Fuorigrotta?   

 

Native

Articoli correlati