Libia, riflettori spenti su una catastrofe "silenziata"
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Libia, riflettori spenti su una catastrofe "silenziata"

La catastrofe afghana ha spento i riflettori mediatici sulla tragedia libica. Una tragedia umanitaria che continua.

Lager in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

18 Settembre 2021 - 18.53


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La catastrofe afghana ha spento i riflettori mediatici sulla tragedia libica. Una tragedia umanitaria che continua.

A darne conto su Avvenire è Nello Scavo, uno dei pochi che la realtà libica conosce nel profondo.

Tragedia continua

“Il nuovo rapporto Onu sulla Libia  – annota Scavo -è un continuo atto d’accusa. Con il segretario generale Antonio Guterres che denuncia «le continue restrizioni all’accesso umanitario e al monitoraggio da parte delle agenzie umanitarie nella Libia occidentale».
Nessuna pietà neanche per i bambini. «Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia ha riferito che i bambini – scrive Guterres nel suo ultimo dossier (Unsmil) – hanno continuato a essere detenuti arbitrariamente nei centri di detenzione a Tripoli e dintorni, senza accesso alla protezione di base e ai servizi sanitari e senza ricorso all’assistenza legale o al giusto processo, e spesso sono stati detenuti con gli adulti».Quasi non c’è più alcuna distinzione tra uomini in uniforme e trafficanti. «Le donne migranti e rifugiate hanno continuato ad affrontare un rischio elevato di stupro, molestie sessuali e traffico da parte di gruppi armati, contrabbandieri e trafficanti transnazionali, nonché funzionari della Direzione per la lotta all’immigrazione illegale sotto il ministero dell’Interno».

I continui divieti alle agenzie Onu, a cui è impedito di ispezionare i campi di prigionia, sono motivati dalla volontà di nascondere i fatti. «A giugno, l’Unsmil ha documentato ripetuti episodi di violenza sessuale perpetrati – si legge ancora – contro cinque ragazze somale di età compresa tra i 16 e i 18 anni». Abusi avvenuti in strutture ufficiali da parte di agenti e militari libici.

Alla data del 14 agosto, la guardia costiera libica aveva intercettato e riportato nel Paese 22.045 migranti e rifugiati, con 380 morti confermati e 629 persone considerate disperse. «Ma l’aumento del numero di migranti e rifugiati rimpatriati ha portato a un maggior numero di persone detenute arbitrariamente nei centri di detenzione ufficiali della Direzione per la lotta all’immigrazione clandestina, senza un controllo giudiziario e sottoposte a trattamenti e condizioni disumane», insiste Guterres. Ad attenderli non c’è alcun tentativo di impedire i crimini, ma «tortura, violenza estrema, abusi sessuali e accesso limitato a cibo, acqua, servizi igienici e cure mediche, in alcuni casi con conseguente morte o lesioni». All’inizio di agosto i prigionieri erano 5.826 migranti, contro i 1.076 dichiarati a gennaio.

Per le milizie l’approvvigionamento di esseri umani è essenziale per far pesare la propria presenza sia ai tavoli interni che nei negoziati con l’Ue a colpi di barconi. Ancora una volta è il clan di Zawyah a fare scuola, dove gli uomini del comandante Bija e dei fratelli Kachlav non perdono occasione per rilanciare la sfida.

E mentre per le strade si torna a combattere, tra faide e regolamenti di conti come quelli avvenuti ancora una volta ieri proprio a Zawyah, viene fomentato l’odio. ‘Durante il periodo di riferimento, Unsmil ha documentato – riferisce ancora Guterres nel dossier inviato al Consiglio di sicurezza – un aumento delle dichiarazioni pubbliche contro i migranti e contro i rifugiati oltre a incidenti xenofobi contro gli stranieri’. È bastato che un certo numeri di lavoratori subasahariani protestasse contro l’impunità garantita agli xenofobi, perché scoppiassero dei disordini. Centinaia di uomini, donne e bambini sono stati arrestati e portati in una struttura di detenzione a Zawiyah gestita dalla Direzione per la lotta all’immigrazione illegale. Si tratta proprio del campo di prigionia statale gestito dal clan di Bija. Notizie compatibili con l’aumento delle partenze da quelle coste”.

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Così Scavo.

La denuncia di Amnesty

Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, descrive con dovizia di dettagli le orribili condizioni nei centri di detenzione in Libia: “Nell’ultimo periodo abbiamo parlato con oltre 50 migranti, alcuni dei quali anche 14enni, che sono stati riportati in Libia dalla guardia costiera libica e sono stati sottoposti a detenzione arbitraria in condizioni orribili. Migranti e rifugiati ci hanno raccontato di essere regolarmente picchiati, privati del cibo, sottoposti ai lavori forzati e ci hanno spiegato che a loro viene richiesto un riscatto in cambio della libertà. Le donne vengono stuprate dalle guardie oppure costrette ad atti sessuali in cambio di cibo e acqua. Le guardie impediscono loro di usare i bagni per diverse ore e questo succede anche alle donne incinte. Quelle che provano a resistere vengono picchiate“.

E poi il possente j’accuse rivolto all’Europa e in essa all’Italia.

“Queste situazioni si verificano in centri di detenzione che lo Stato ha riservato a soggetti vulnerabili e questa condotta ha, di fatto, legittimato quelli che prima erano casi di sparizione forzate, sostenuti dal governo libico. Tutto questo  – rimarca Eltahawy  sta avvenendo col sostegno degli Stati membri della Ue e in particolare dell’Italia, che continua vergognosamente ad aiutare la guardia costiera libica a riportare la gente sulle sue coste. Amnesty International ha raccolto tantissime testimonianze di migranti e di rifugiati che sono stati intercettati dalla guardia costiera libica e costretti a tornare in Libia. Molti ci hanno raccontato il comportamento violento, pericoloso e incauto della Guardia costiera libica che spesso in alto mare ha messo in pericolo la vita dei migranti invece che fornirgli assistenza e salvarli“. E ancora: “Questo comportamento ha causato l’annegamento di diverse persone, nonostante i migranti avessero già avvistato gli aerei della Ue o altre navi che sono venuti meno all’obbligo di assistenza. Come risultato di questa mancanza di soccorso, i migranti sono stati riportati in Libia dove sono stati incarcerati in condizioni orribili, vedendosi negati tanti altri diritti umani e subendo torture, lavori forzati, stupri e altre violenze. Tutto questo – ribadisce la responsabile di AI  – accade ormai da oltre 10 anni, grazie anche al supporto della Ue e dei suoi Stati membri. Amnesty International chiede con forza alla Ue di sospendere immediatamente la cooperazione col governo libico per quanto riguarda l’immigrazione e il controllo delle frontiere. Solo in questo modo la vita umana avrà più valore rispetto alla politica”.

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Dieci anni dopo

Di grande interesse è il bilancio tracciato da Neil Munshi, in un documentato report sul Financial Times, tradotto e pubblicato in Italia da Internazionale. 

“A dieci anni di distanza, gli effetti collaterali della caduta di Gheddafi – un dittatore che per 42 anni guidò un regime corrotto, che violava sistematicamente i diritti umani – si fanno ancora sentire ben oltre i confini della Libia: nelle morti dei migranti a bordo di piccole imbarcazioni nel Mediterraneo; nei campi di schiavitù e nei centri di prostituzione sulla terraferma; nell’instabilità diffusa nel Sahel dove sono morte migliaia di persone e altre milioni sono state costrette ad abbandonare le proprie case, e dove la Francia è rimasta impantanata in quella che alcuni considerano la sua guerra “’peermanente’ – scrive Munshi – 

‘La Libia è diventata un ventre molle, un punto vulnerabile per tutti i paesi confinanti”, afferma Mathias Hounkpe, capo dell’ufficio Mali della Open society initiative for West Africa. “Mali, Niger, Ciad: tutti questi paesi stanno avendo problemi perché la Libia non è stabile… La scomparsa di Gheddafi ha avuto conseguenze devastanti in Libia. Il paese è stato travolto da violenze e caos fin dalle elezioni contestate del 2014, dopo le quali fazioni rivali hanno diviso il paese in feudi, mentre gruppi armati, bande criminali e trafficanti di esseri umani hanno approfittato in tutti i modi della debolezza dello stato. Nel marzo di quest’anno ha prestato giuramento un governo unitario, il frutto di un processo sostenuto dalle Nazioni Unite per porre fine a una guerra civile che aveva attirato sulla Libia militari delle potenze regionali e [mercenari](http://In Africa i mercenari sono sempre più richiesti) provenienti da paesi come Ciad, Russia, Siria e Sudan. La nuova amministrazione dovrebbe guidare il paese fino a dicembre, quando sono previste le elezioni…”.

Elezioni tutt’altro che in discesa.

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A darne conto su InsideOver è Alessandro Scipioni. A poco più di tre mesi dalle elezioni parlamentari e presidenziali in Libia del 24 dicembre 2021, “la situazione nel Paese nordafricano sta assistendo a dei nuovi e rapidi sviluppi dagli esiti ancora imprevedibili. A Tripoli sono ripresi gli scontri armati tra milizie rivali, finora senza vittime, mentre il rilascio di ex esponenti del passato regime, tra cui spicca il nome di Saadi Gheddafi. terzogenito del defunto rais ucciso quasi 10 anni fa, potrebbe aprire la strada alla discesa in campo di Saif al Islam Gheddafi alle presidenziali.

La guerra interna tra il ministro del Petrolio, Mohamed Aoun, e il presidente della National Oil Corporation, Mustafa Sanallah, ha visto il secondo uscire vincitore, ma i blocchi dei terminal petroliferi dell’est rischiano di prosciugare l’unica fonte di reddito di un Paese che vanta le maggiori riserve di petrolio dell’Africa e che fino a dieci anni fa era primo alleato dell’Italia nel Mediterraneo. Intanto, il presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, ha consegnato all’Onu una legge elettorale presidenziale sostanzialmente inaccettabile a Tripoli, firmata solo da lui stesso, con il risultato di aver alimentato le tensioni tra est e ovest. Il tutto sotto al naso dell’impotente inviato Onu, Jan Kubis, ormai in balia delle machiavelliche macchinazioni dei politici libici.”.

E in questo scenario tutt’altro che pacificato, a dettar legge è la “diplomazia delle armi”. 

Il Fronte per l’alternanza e la concordia del Ciad (Fact), il gruppo ribelle che nell’aprile scorso ha rivendicato l’uccisione del presidente ciadiano Idriss Deby Itno, ha accusato la brigata Tariq Bin Ziyad (legata al generale Khalifa Haftar) di aver attaccato una delle sue postazioni al confine libico con il sostegno delle milizie mercenarie sudanesi e con la supervisione delle forze speciali dell’esercito francese basate in Libia. Secondo fonti di Agenzia Nova, Haftar e i francesi con l’ausilio di mercenari sudanesi hanno inoltre cercato di catturare – senza riuscirvi – il leader del Fact, Mahamat Mahdi Ali, uccidendo con un drone francese diversi ufficiali e comandanti dei ribelli ciadiani. Ali sarebbe invece rimasto illeso. “Informiamo la comunità internazionale, l’Unione europea, l’Unione africana, il Comunità degli Stati dell’Africa centrale (Ceeac), l’opinione nazionale francese e ciadiana nonché i media francesi che tra le file degli aggressori ci sono cinque ufficiali francesi addetti al lancio di mortai. L’obiettivo di questo attacco affidato alle forze speciali francesi era catturare e/o uccidere il presidente del comitato esecutivo Fact (Mahamat Mahdi Ali)”, afferma il Fact in un comunicato.

Il caos armato coinvolge l’intera area del Sahel. La pacificazione resta un miraggio. 

 

 

 

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