Libia: l'operazione "Grande pesca" e una guerra civile che dura da undici anni
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Libia: l'operazione "Grande pesca" e una guerra civile che dura da undici anni

Sabato ci sono stati violenti scontri a Tripoli, in Libia, tra gruppi che sostengono i due diversi primi ministri che da febbraio governano formalmente il paese

Libia: l'operazione "Grande pesca" e una guerra civile che dura da undici anni
Scontri tra fazioni a Tripoli
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

28 Agosto 2022 - 16.08


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Alla faccia della stabilità. Del Paese democratizzato. In Libia impera il caos armato. 

Guerra civile

Sabato ci sono stati violenti scontri a Tripoli, in Libia, tra gruppi che sostengono i due diversi primi ministri che da febbraio governano formalmente il paese. Da una parte c’erano i sostenitori di Fathi Bashagha, primo ministro designato dal parlamento di Tobruk, città nell’est del paese, dall’altra quelli di Abdul Hamid Dbeibah, che è a capo di un governo ad interim che opera da Tripoli, la capitale libica e principale città nell’ovest del paese.  La situazione politica è critica da diversi mesi, ma negli ultimi giorni le tensioni tra le due diverse fazioni si erano intensificate, fino a sfociare nei violenti scontri di sabato. Secondo quando dichiarato da Dbeibah, le violenze a Tripoli sarebbero state innescate da un gruppo di miliziani vicini a Bashagha.

Che l’ambizioso Bashagha stesse progettando di entrare con le armi a Tripoli, nella speranza di trovare una leggera resistenza tra le milizie fedeli a Dbeibeh, era chiaro a tutti. E l’offensiva non si è fatta attendere. Si torna infatti a sparare per le vie della capitale libica, dove gruppi di milizie legate ai due fronti si sono affrontate per le strade provocando anche vittime civili, almeno tredici secondo quanto riferito dal ministero della Sanità, ai quali si aggiungono anche 95 feriti. E i media locali riferiscono che Bashagha sta viaggiando verso la città con l’intento di prendere il potere. Secondo Libya Observer, sono sette le zone della città dove si sta combattendo al momento, tra cui “Bab Ben Ghashir, Jamhouria Street, Zawiya Street, Nasir Street”.

È stato proprio l’ex ministro dell’Interno del Governo di Accordo Nazionale ad ammettere che gli scontri a Tripoli avvengono nell’ambito di un tentativo delle sue forze di eliminare le milizie che appoggiano Dbeibeh, in una “professionale” operazione “militare” denominata “la Grande Pesca”. “È iniziata nelle prime ore di oggi nella città di Tripoli una limitata operazione militare per porre fine al gruppo” che “sostiene il governo uscente, strenuamente attaccato al potere“, si legge in una dichiarazione pubblicata in carta intestata del suo esecutivo e rilanciata su Twitter dal sito Libya Observer. “Questa operazione che abbiamo denominato ‘La Grande Pesca’ sarà limitata, minuziosa e completata in breve tempo secondo regole militari professionali. Il governo libico, annunciando a tutti i figli del suo popolo la buona notizia della fine dell’era del gruppo della corruzione, valorizza gli sforzi dei figli dell’esercito nazionale e dei capi militari che conducono lotte cariche d’onore”. Arriva anche la risposta di Dbeibeh che “accusa il primo ministro parallelo Fathi Bashagha di aver innescato le violenze a Tripoli dopo aver rifiutato i colloqui di pace per tenere elezioni entro la fine dell’anno”. Parole alle quale ribatte l’ufficio stampa di Bashagha che “smentisce le dichiarazioni rilasciate dal governo uscente di unità nazionale in merito al rifiuto da parte del governo libico di qualsiasi trattativa”: “Bashagha, per sei mesi, dopo aver ricevuto la fiducia al proprio governo, ha accolto con favore tutte le iniziative locali e internazionali per risolvere pacificamente la crisi del trasferimento dei poteri, senza ricevere però alcuna risposta da parte del governo uscente”, si legge.

Sugli scontri sono intervenute anche le Nazioni Unite, dicendosi profondamente preoccupate per le violenze e i bombardamenti indiscriminati nei quartieri popolati da civili a Tripoli che, secondo quanto riferito, “hanno causato vittime e danni alle strutture, inclusi gli ospedali. L’Onu chiede l’immediata cessazione delle ostilità e ricorda a tutte le parti i loro obblighi ai sensi dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario di proteggere i civili. È inoltre imperativo – ricorda l’Unsmil, la missione Onu nel Paese – che tutte le parti si astengano dall’utilizzare qualsiasi forma di incitamento all’odio e alla violenza“.

I combattimenti sono i più gravi verificatisi in Libia dal giugno 2020, quando il generale Haftar tentò di avanzare sulla capitale e fu respinto grazie all’intervento della Turchia.

Gli scontri hanno causato ingenti danni, riferisce France Presse, che parla di decine di auto e edifici bruciati o crivellati di proiettili. Le strade di Tripoli sono rimaste quasi deserte per tutto il giorno, mentre colonne di fumo grigiastro si alzavano nel cielo. Dbeibah ha accusato Bashagha di voler “dare seguito alle minacce” di impossessarsi della città. Bashagha, a sua volta, ha accusato Dbeibah di “aggrapparsi al potere” pur essendo un primo ministro “illegittimo”. Dbeibah si era insediato con la mediazione dell’Onu nel marzo 2021 come premier di transizione ma la mancata convocazione delle elezioni, previste per lo scorso 24 dicembre, lo hanno spinto a restare al suo posto.

L’ambasciata americana a Tripoli si è detta “molto preoccupata”, mentre la missione Onu in Libia ha chiesto “l’immediata cessazione delle ostilità” lamentando “scontri in quartieri popolati da civili”. Negli ultimi mesi sono aumentate le tensioni tra gruppi armati fedeli all’uno o all’altro dei leader. Il 22 luglio, i combattimenti hanno provocato la morte di 16 persone, compresi civili, e circa 50 feriti.

Scontro Usa-Russia

Un braccio di ferro armato che dall’Ucraina si estende alla Libia (e come documentato da Globalist alla Siria).

Quanto alla “partita libica” di grande interesse è il report del 25 agosto di Gianandrea Gaiani su AnalisiDifesa. Annota tra l’altro Gaiani: “Il 22 agosto un Uav statunitense MQ9 Reaper, forse decollato da una base italiana (Sigonella o Pantelleria) è stato abbattuto sopra l’aeroporto militare di Benina (Bengasi) da un missile lanciato da un sistema di difesa aerea russo Pantsir S-1 appartenente all’Esercito Nazionale Libico (Lna) del generale Khalifa Haftar.

Si tratta di sistemi antiaerei forniti già negli anni scorsi all’Lna dagli Emirati Arabi Uniti e gestiti con ogni probabilità da personale russo presente in Libia Orientale (Cirenaica) inquadrato nel Gruppo Wagner che da anni sostiene e affianca le forze di Haftar Molti media in Occidente e in Italia hanno sottolineato il ruolo dei contractors russi nell’abbattimento del Reaper statunitense, quasi come se operassero al di fuori del comando dell’Lna. In realtà la difesa aerea di Haftar ha già colpito in passato velivoli stranieri che sorvolavano senza autorizzazione lo spazio aereo libico.

Il Gruppo Wagner è presente da anni al fianco dell’Lna e gli stessi Pantsir S-1 impiegati nella fallita offensiva contro Tripoli scatenata dal generale Haftar nel 2019 furono responsabili dell’abbattimento di molti droni turchi Bayraktar TB2 utilizzati dalle forze del governo di Tripoli (Gna) sostenute apertamente da Ankara e anche di due Reaper, uno statunitense e uno italiano, colpiti a poche ore di distanza uno dall’altro nel novembre 2019 sopra Tarhuna, città a sud di Tripoli all’epoca epicentro degli scontri.

Le forze del Gruppo Wagner in Libia sono stimate in circa 2mila uomini affiancati da miliziani siriani che presidiano le basi militari di Giufra, al-Khadim, Benina, Gardabya (Sirte), Brak al-Shati (nel sud ovest) e proteggono terminal e campi petroliferi. Secondo fonti riferite dall’emittente satellitare della Tripolitania “February Channel”, il Reaper statunitense abbattuto nei pressi cella base aerea di Benina, ben all’interno della Cirenaica, sarebbe stato impegnato in una missione di ricognizione in vista della visita a Bengasi dell’ambasciatore degli Stati Uniti, Richard Norland, che avrebbe dovuto incontrare anche il generale Haftar. Visita poi annullata in seguito all’abbattimento del velivolo.

Il portavoce dell’Lna, generale Ahmed al-Mismari, ha però precisato che il velivolo senza pilota abbattuto a sud-ovest di Benina, era armato di due missili e si era avvicinato non solo alla base aerea di Benina ma anche ad al-Raima dove ha sede il quartier generale di Haftar.

Il velivolo non era autorizzato a entrare nello spazio aereo libico, “pertanto è stato definito ostile e abbattuto. Il drone intendeva compiere un’azione ostile contro un obiettivo militare a Bengasi e distruggerlo” ha aggiunto al-Misnari.

Resta quindi tutta da chiarire la reale natura della missione del Reaper che, in un momento come questo, non si può escludere comprendesse la ricognizione o l’attacco a postazioni del Gruppo Wagner in Libia o nascondesse la volontà di creare tensioni con i russi e i loro alleati dell’Lna. Un aspetto non irrilevante non solo per lo sconfinamento illegale di un velivolo armato americano sulla Libia (non certo una novità se si considerano i raid contro esponenti terroristici o supposti tali effettuati da anni da aerei e droni statunitensi in Sahel, Nord Africa, Medio Oriente e Asia Centrale) ma soprattutto per il rischio di allargare i “campi di battaglia” del confronto tra Usa e Russia con in più il potenziale coinvolgimento di basi italiane (di cui la politica a Roma non sembra occuparsi!) utilizzate dai Reaper statunitensi che peraltro sono basati anche ad Agadez (Niger) e in altri aeroporti africani utilizzati dalle forze dello US Africa Command.

Inoltre, l’abbattimento dell’Uav statunitense è avvenuto in un ennesimo momento critico della recente storia libica con il possibile ingresso a Tripoli del premier nominato dal parlamento di Tobruk, Fathi Bashaga, che intende spodestare il premier ad interim Abdel Hamid Dbeibah il quale avrebbe dovuto concludere il suo mandato il 24 dicembre scorso con le elezioni che non si sono mai tenute”.

Fin qui Gaiani.

Il passato che non passa

Francesca Mannocchi la Libia la conosce in ogni sua piega. Scrive Mannocchi su La Stampa: “Un gruppo di manifestanti ha assaltato e dato fuoco alla sede distaccata del ministero delle Finanze di Sebah, a Misurata i cittadini hanno assaltato la sede del consiglio Municipale, a Tripoli i gruppi armati fedeli al governo hanno sciolto le manifestazioni colpendo la gente con colpi di arma da fuoco, a Sirte invece la gente è scesa in piazza con le bandiere verdi, quelle gheddafiane. A qualche centinaio di chilometri, a Bengasi, nell’est del Paese, sono state date alle fiamme le immagini di suo figlio Saif al Islam Gheddafi. Da ultimo venerdì gruppi di manifestanti hanno preso d’assalto e incendiato la sede del parlamento della Cirenaica a Tobruk. È la cronaca delle ultime settimane libiche, eventi che sembrano da un lato riportare indietro il Paese di dieci anni, dall’altro riportarlo – per l’ennesima volta dal 2014 – sull’orlo di un conflitto armato. 

La storia del Paese insegna che le evoluzioni e i passi falsi della vita politica si legano al petrolio e che il petrolio si lega alle attività delle milizie armate. Gli eventi di questa estate libica seguono, purtroppo, lo stesso copione. La contrapposizione, oggi, è tra Fathi Bashaga, il primo ministro nominato dal parlamento all’inizio di quest’anno, e il primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, nominato lo scorso anno attraverso un processo sostenuto dalle Nazioni Unite. Dbeibah, secondo il processo di pace inaugurato nel 2020, avrebbe dovuto svolgere il suo ruolo ad interim fino alle elezioni di dicembre che, però, non si sono mai tenute, e oggi, a processo di pace fallito, si rifiuta di cedere il potere. Così il Parlamento con sede nell’est ha affermato che il governo di unità provvisoria di Abdul Hamid Dbeibah fosse scaduto e ha nominato Fathi Bashagha per sostituirlo.  Il conflitto tra i due governi ha dato vita a intensi combattimenti tra le influenti milizie della parte occidentale del Paese, da una parte la Brigata Nawasi, fedele a Bashaga, dall’altra la Stability Support Force, che invece sostiene Abdul Hamid Dbeibah. […]. Ad assistere, una volta ancora, le Nazioni Unite che, dopo il fallimento del processo di pace di Ginevra del 2020, dopo il mancato accordo dell’inizio di giugno durante i colloqui tenuti al Cairo, giovedì scorso hanno affermato che le negoziazioni tra le fazioni rivali non riescono a sanare le differenze e le distanti visioni sul futuro del Paese. 

Così, una volta ancora, la Libia resta spaccata a metà e ha due parlamenti. Un pezzo del Paese è sotto il controllo di Fathi Bashaga, sostenuto dal Parlamento con sede in Cirenaica, a Sirte, nell’est della Libia, un altro pezzo sotto il controllo di Dbeibah con sede a Tripoli. 

In mezzo i cittadini e la ricchezza libica – il petrolio – minacciata dalle milizie che hanno bloccato pozzi e raffinerie. 

Negli ultimi mesi le condizioni di vita dei libici sono peggiorate molto, così come è aumentata la frustrazione di un Paese che vive sul gas e sul petrolio e fa i conti con una cronica mancanza di carburante.  Dallo scorso aprile alcuni dei principali terminal petroliferi sono stati bloccati, e la National Oil Corporation ha contabilizzato perdite per oltre 3,5 miliardi di dollari. Il blocco aveva lo scopo di tagliare le principali entrate statali al primo ministro Dbeibah, che però si è di nuovo rifiutato di dimettersi…”.

Così stanno le cose.

Per riassumere: in Libia sono ancora presenti, stima in difetto, almeno 180 tra milizie e tribù in armi. Sul campo vi sono ancora diverse migliaia di mercenari di tutte le risme, per non parlare dei gruppi criminali che traffico in esseri umani e che controllano, in combutta con le autorità locali, intere aree, soprattutto costiere, del Paese.  

Chi scrive aveva intervistato il più grande storico del colonialismo italiano in Nord Africa (scomparso l’anno scorso), pochi mesi dopo l’inizio della guerra: Angelo Del Boca.  “E’ una storia – affermò in quell’occasione Del Boca, autore di una delle più documentate biografie su rais libico (Gheddafi. Una sfida dal deserto (Laterza)  – che si può guardare da molti lati, e comunque la si analizzi resta sempre una brutta storia. Perché è vero che c’è stata una risoluzione, la 1973, del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che autorizzava l’attacco alla Libia di Gheddafi, ma poi questa facoltà è stata sicuramente snaturata, nel senso che ciò che si sta cercando di fare in tutti i modi è assassinare Gheddafi. Ormai nessuno tace su questa ipotesi. Gli stessi rappresentanti della Nato ammettono che se il Colonnello viene colpito e fatto fuori è ancora meglio…E’ quindi una guerra ‘strana’”. Strana, spiegò Del Boca, “perché in realtà la Francia ha un suo obiettivo, l’Italia un altro e gli Stati Uniti un altro ancora. Ma in definitiva nessuno sa come uscirne. E’ una guerra nata sotto una cattiva informazione e continua ad essere corredata da storie inverosimili, da veri falsi”. 

Gli avvenimenti di questi undici anni gli hanno dato ragione.  E c’è chi pensa di risolvere il tutto con un blocco navale. Il guaio è che potrebbe essere la futura premier del belpaese.

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