I profughi siriani non votano per Assad
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I profughi siriani non votano per Assad

Damasco aveva pensato di usarle per riverniciare la sua immagine nel mondo, presentando Assad come un leader popolare anche tra i gli innumerevoli siriani che vivono all’estero

Bashar al-Assad
Bashar al-Assad
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

22 Maggio 2021 - 14.54


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Non soltanto le bugie hanno le gambe corte. Qualche volta anche le infamie. E così le elezioni presidenziali siriane cominciano con uno straordinario effetto boomerang. Il regime di Damasco aveva pensato di usarle per riverniciare la sua immagine nel mondo, presentando Assad come un leader popolare anche tra i gli innumerevoli siriani che vivono all’estero, fuggiti in questi anni dal loro Paese in fiamme. Così in questi giorni soprattutto nel limitrofo Libano, politicamente alleato di Damasco, è stato prodotto uno sforzo gigantesco. Obiettivo: portare i profughi siriani all’ambasciata siriana a Beirut per votare. Sarebbe stata per loro la conferma che i siriani amano Bashar al Assad. Il meccanismo è cristallino. In Siria si vota mercoledì, i siriani all’estero potevano votare fino a ieri. Giusto in tempo per mandare le loro schede a Damasco, controllarle e metterle nelle urne. 
Il dispiegamento di mezzi è stato impressionante.

Il governo libanese e Hezbollah hanno messo a disposizione tutto, anche i mezzi di trasporto gratuiti. Siccome la vita dei profughi è tremenda e molti di loro sono tagliati fuori dalle notizie, le cellule di Hezbollah hanno battuto i campi profughi del Paese palmo a palmo, assicurando che il viaggio  sarebbe stato  a carico del partito. Il risultato è chiaro: hanno votato 33mila profughi siriani, pari al 2,2% di loro. 
Siccome i metodi di Hezbollah sono noti si può dire senza il timore di esagerare che neanche le intimidazioni sono valse a costringere i siriani a votare per Assad. E perché? Perché sanno benissimo che è stato il suo esercito a espellerli dal Paese pena la persecuzione etnica o religiosa e che l’operazione era tesa a dire “vedete, non è vero, rispettano il legittimo governo siriano ”. Se questo messaggio fosse passato di qui a breve loro sarebbero stati espulsi dal Libano alla volta della Siria, dove sarebbero andati incontro a certa persecuzione, etnica o religiosa. In Libano invece conducono una vita a dir poco grama, nella disperazione che ormai condividono con quassi tutti i libanesi ridotti alla fame dal fallimento del Libano. Ma vivono! Possono sperare di dare un domani, una via di fuga ai loro figli. 
Questo intento di far calpestare la dignità dell’uomo dall’uomo stesso, con le sue stesse mani, non è riuscito. Sorprende però che proprio nelle stesse ore un appello a recarsi alle urne, mercoledì, sia stato rivolto ai siriani dai vescovi e dai patriarchi cattolici siriani, riuniti ad Aleppo. Possono i siriani sperare che questo voto rappresenti davvero il loro addoloratissimo parere?Possono sperare che tra gli infiniti e sconosciuti candidati che fanno da corona al candidato ricandidato Bashar al-Assad qualcuno possa prendere più del suo voto? Che senso ha questo voto, destinato a riprodurre quel 98% di sì del precedente, se non legittimare la riconferma di un presidente di una terra ridotta a “terra desolata”? 
Nei giorni scorsi la Siria ha perso, primo caso della storia in 24 anni di vita dell’Organizzazione dell’ONU contro le armi chimiche, il suo diritto di voto nell’organismo perché gli ispettori hanno trovato e documentato che il regime siriano ha usato in due casi le sue armi chimiche, che si era impegnato a distruggere, contro il suo stesso popolo, contro civili inermi. Gli ispettori temono addirittura che dal 2013, quando si impegnò a distruggere i suoi depositi di armi chimiche, il regime abbia sviluppato un nuovo agente chimico, che non figura nell’elenco di quelli che al tempo furono dichiarati. Ma si vota.

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