Libano, è buio totale. E non è una metafora.
Il Paese dei cedri ripiomba nel buio e non vede via d’uscita da una crisi economica senza precedenti che ha gettato la metà della popolazione sotto la soglia di povertà e paralizzato il paese. A tre mesi dall’ultimo blackout generale le due principali centrali elettriche Zahrani e Deir Ammar, rispettivamente nel sud e nel nord del Libano, sono state nuovamente chiuse per mancanza di carburante. Le autorità libanesi non hanno infatti le risorse economiche per pagare, in dollari americani, le importazioni di carburante. Prima dell’ulteriore collasso delle due centrali, la gente era già rassegnata ad un massimo di due ore di elettricità al giorno. Un Paese senza elettricità significa anche ospedali paralizzati, strumentazioni ferme e un allarme sanitario che si aggiunge alla crisi finanziaria. Di fronte al razionamento statale, i generatori di corrente privati, già da tempo in uso nel Paese, che per lo più funzionano a diesel sono diventati sempre più costosi. Secondo la Banca mondiale, nel 2018, il razionamento quotidiano variava già da tre a undici ore, con importanti disparità tra una regione e l’altra. Il problema non colpisce solo i privati, ma anche, e molto duramente, le aziende, i ristoratori e gli ospedali. Un altro blackout aveva colpito il Paese a luglio causando anche la sospensione della campagna vaccinale.
Pezza da 100 milioni
La rete elettrica libanese oggi è tornata operativa dopo che l’esercito ha fornito carburante a due centrali, ponendo fine a quasi un giorno di blackout totale. Lo ha reso noto il ministro dell’Energia Walid Fayad, ringraziando i militari.
in una nota lo stesso Fayad ha annunciato un credito, da parte della banca centrale, di 100 milioni di dollari per far partire le gare di appalto per la produzione di elettricità.
Il governo libanese ha ottenuto la conferma da parte dei governi egiziano, giordano e siriano che otterrà nei prossimi mesi forniture di elettricità dalla Giordania, e di gas naturale, adatto ad alimentare le centrali elettriche libanesi, dall’Egitto. Parallelamente Beirut ha trovato l’accordo col governo siriano per consentire che il gas egiziano e l’elettricità giordana passino per la Siria prima di arrivare in Libano.
Il ministro dell’Energia libanese si era recato nei giorni scorsi recato al Cairo e poi ad Amman per completare gli accordi tecnici con i colleghi egiziani, giordani e siriani, come riferiscono oggi i media di Beirut. Le riunioni svoltesi nelle ultime 48 ore danno seguito a quelle di un mese fa tra rappresentanti dei quattro Paesi nel quadro di una iniziativa politica statunitense e che sarà finanziata dalla Banca Mondiale.
Stato fallito
Il governo ha decretato ufficialmente il default nel marzo del 2020. A tutto ciò si aggiungono gli effetti della devastante esplosione del porto di Beirut del 4 agosto del 2020, quando 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, stipate per anni nei container, sono saltate in aria. Oltre duecento persone sono rimaste uccise, un terzo degli abitanti è stato costretto ad abbandonare le proprie case e il porto è rimasto paralizzato.
Per capire la situazione nella quale si trovano i libanesi basta un dato: il potere di acquisto dei lavoratori pubblici, pagati in lire, è crollato. Uno stipendio che nel 2019 valeva circa mille dollari oggi
Lo scorso luglio il Lebanon Crisis Observatory della American University di Beirut ha calcolato che il costo del cibo per una famiglia di cinque persone per un mese ammonta a circa cinque volte il salario minimo. A settembre l’Economic and Social commission for Western Asia delle Nazioni Unite ha parlato per la prima volta di “povertà multidimensionale” – misurata attraverso il mancato accesso ad un certo numero di servizi fondamentali, a prescindere dal reddito effettivamente disponibile -, che in Libano riguarderebbe l’82% della popolazione, mentre il 34% ricade nell’insieme della “povertà estrema e multidimensionale”, percentuale che quasi ricalca quella della povertà relativa, quasi al 40%.
Ad alimentare le tensioni, neanche un mese fa, l’annuncio in tv del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che le consegne di carburante iraniano arriveranno “nei giorni a venire”. “La prima nave, dal momento in cui salperà fino a quando sarà nel Mediterraneo sarà considerata territorio libanese. Lo dico a israeliani e americani: sarà territorio libanese”, ha detto Nasrallah. Secondo il leader di Hezbollah “i milioni di litri di gasolio e diesel sequestrati dall’esercito israeliano confermano che la crisi è stata creata di proposito”.
Secondo molti analisti il Libano è un Paese già fallito. Per altri manca molto poco al crack. Certo è che il paese sta subendo una grave e prolungata depressione economica. Secondo l’ultimo rapporto della Banca Mondiale, Bank Lebanon Economic Monitor (Lem), pubblicato a giugno, la crisi economica e finanziaria del Paese dei cedri è tra le peggiori di sempre nella storia, addirittura da metà del 1800.
Per alcuni economisti quella libanese rientra nella top 10 dei default finanziari, per altri addirittura nella top 3. “Di fronte a sfide colossali, la persistente inazione politica e l’assenza di un governo pienamente funzionante, continuano ad aggravare condizioni socio-economiche già disastrose e una fragile pace sociale senza un chiaro punto di svolta all’orizzonte”, scrive l’istituto di Washington.
Il titolo del rapporto della Banca Mondiale non promette nulla di buono: “Lebanon Sinking: To the Top 3”. La pubblicazione presenta i recenti sviluppi economici ed esamina le prospettive del Paese con i rischi annessi. Per oltre un anno e mezzo, il Libano ha affrontato sfide differenti: la più grande crisi economica e finanziaria in tempo di pace, la pandemia da Covid-19 e l’esplosione del porto di Beirut, avvenuta il 4 agosto dell’anno scorso.
Come evidenziato dagli osservatori internazionali tutte le risposte politiche ed economiche della politica libanese a queste sfide sono state completamente inadeguate e fallimentari. Nel paese non si è mai arrivati a un consenso su iniziative politiche efficaci. L’unità d’intenti, invece, si è trovata nella difesa strenua di un sistema economico fallimentare che continua a favorire pochi a danno della maggioranza. A peggiorare la situazione, una prolungata guerra civile che ha aggravato condizioni socio-economiche sempre più disastrose che rischiano di provocare fallimenti nazionali sistemici con effetti regionali e potenzialmente globali.
Il simbolo di una simile condizione è Tripoli, seconda città del Paese, con un tasso di disoccupazione già superiore al 50% nel 2019. Tripoli è oggi nelle stesse condizioni di una città uscita dalla guerra, dove il tasso di povertà secondo le Nazioni Unite arriva al 60%. Proprio da Tripoli viene il nuovo primo ministro Najib Miqati, già capo del governo in altre due occasioni, ma soprattutto l’uomo più ricco del Paese, con un patrimonio netto di 2,8 miliardi di dollari.
I numeri impietosi della Banca Mondiale
I numeri della banca Mondiale non lasciano scampo e tratteggiano uno scenario con moltissime ombre. L’istituto stima che nel 2020 il Pil si sia contratto del 20,3%, dopo un calo del 6,7% nel 2019. Di fatto, il Pil libanese è crollato dai quasi 55 miliardi di dollari nel 2018 a circa 33 miliardi di dollari nel 2020, mentre il prodotto pro capite è sceso di circa il 40%. Una contrazione così forte, normalmente, è associata, spiega la Banca Mondiale, a conflitti o guerre. “Le condizioni monetarie e finanziarie rimangono altamente volatili; nel contesto di un sistema di tassi di cambio multipli”. Il cambio medio della Banca Mondiale si è deprezzato del 129% nel 2020. L’effetto sui prezzi si è tradotto in un’impennata dell’inflazione, con una media dell’84,3% nel 2020. Soggetto a un’incertezza eccezionalmente alta, si prevede che il Pil si contrarrà di un ulteriore 9,5% anche quest’anno.
“Il Libano affronta un pericoloso esaurimento delle risorse, compreso il capitale umano, e la manodopera altamente qualificata è sempre più propensa a cogliere opportunità all’estero, creando una perdita sociale ed economica permanente per il Paese”, ha detto Saroj Kumar Jha, direttore regionale del Mashreq della Banca Mondiale. “Solo un governo riformista, che intraprenda un percorso credibile di ripresa economica e finanziaria, e che lavori a stretto contatto con tutte le parti interessate, può invertire la rotta di un’ulteriore caduta e prevenire una maggiore frammentazione nazionale”.
Le condizioni del settore finanziario continuano a deteriorarsi.
L’onere dell’aggiustamento in corso nel settore finanziario è altamente regressivo, concentrato sui depositanti più piccoli, sulla maggior parte della forza lavoro e sulle pmi. Più della metà della popolazione è al di sotto della soglia di povertà nazionale, con la maggior parte della forza lavoro – pagata in lire – che soffre per il crollo del potere d’acquisto. Con il tasso di disoccupazione in aumento, una quota crescente di famiglie sta affrontando difficoltà di accesso ai servizi di base, compresa l’assistenza sanitaria in questo periodo più importante che mai.
Elettricità, acqua, istruzione: dove morde la crisi
L’istituto di Washington sottolinea anche l’impatto delle crisi su quattro servizi pubblici di base: elettricità, approvvigionamento idrico, servizi igienici e istruzione. La depressione ha ulteriormente minato i già deboli servizi pubblici attraverso due effetti: ha aumentato significativamente i tassi di povertà, con un numero maggiore di famiglie che non possono permettersi beni sostitutivi privati, diventando così più dipendenti dai servizi pubblici. Pone a forte rischio la sostenibilità finanziaria e l’operatività di base del settore, aumentandone i costi e riducendone le entrate.
La fornitura di servizi pubblici essenziali è fondamentale per il benessere dei cittadini. Il forte deterioramento dei servizi di base continuerà a creare implicazioni nel lungo termine: migrazione di massa, perdita di apprendimento, cattivi servizi sanitari, mancanza di reti di sicurezza adeguate. Il danno permanente al capitale umano, evidenzia la Banca Mondiale, sarebbe molto difficile da recuperare. E forse proprio questa dimensione della crisi libanese la rende unica rispetto ad altre.
Elezioni al buio
Le tanto attese elezioni legislative libanesi saranno anticipate di sei settimane rispetto alla data prevista e si svolgeranno il 27 marzo 2022 invece dell’8 maggio. Ad annunciarlo è stato il premier Miqati parlando in una intervista televisiva.
Miqati ha ammesso che la decisione ancora non è stata formalizzata ma ha affermato: “Si faranno il 27 marzo, è sicuro. Devo ancora parlare con il ministro degli Interni per verificare alcune cose”. Da giorni si è parlato insistentemente della proposta di diversi blocchi parlamentari di anticipare le elezioni. La ragione ufficiale dietro alla proposta c’è la constatazione che, col voto ai primi di maggio, la campagna elettorale coinciderebbe con il mese del digiuno islamico di Ramadan, quest’anno dal 2 aprile al 2 maggio.
Analisti locali sostengono invece che i principali partiti al potere, contestati da due anni dal movimento di protesta contro il sistema clientelare, hanno fretta di recarsi alle urne con l’attuale legge elettorale. Uno dei principali temi sensibili è il diritto di voto dei libanesi all’estero, moltissimi dei quali solidali con la mobilitazione popolare che dall’autunno del 2019 attraversa le strade e le piazze delle città del Libano al collasso economico. In base all’attuale legge elettorale del 2017, le prossime legislative prevedono l’elezione di sei deputati su 128 da parte dei cittadini all’estero. Ma su questo, ricordano gli esperti libanesi, la legge si basa su un provvedimento generico che deve essere accompagnato da una serie di chiarimenti da parte dei legislatori sulle modalità operative e logistiche riguardanti l’elezione di sei deputati eletti dalla diaspora.
Insomma, in politica come in economia: per il Libano è davvero “buio totale”.