Netanyahu, il "cronometrista" di guerra che detta i tempi al mondo
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Netanyahu, il "cronometrista" di guerra che detta i tempi al mondo

Alla ricerca di uno “stato di deterrenza”. È l’ultima trovata lessicale del premier per giustificare agli occhi della comunità internazionale la guerra di Gaza. Israele sta valutando le condizioni per un cessate il fuoco.

Benjamin Netanyahu
Benjamin Netanyahu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

19 Maggio 2021 - 17.19


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Alla ricerca di uno “stato di deterrenza”. È l’ultima trovata lessicale di Benjamin Netanyahu per giustificare agli occhi della comunità internazionale la guerra di Gaza.   Israele sta valutando le eventuali condizioni per un cessate il fuoco. Lo riferiscono fonti militari citate dalla France Presse. “ 

Secondo fonti interne citate da Haaretz, i vertici militari “sono disponibili a una tregua da domani” e riterrebbero già sufficienti in risultati raggiunti, per gli enormi danni inflitti alle infrastrutture militari di Hamas e il numero di comandanti uccisi. A questo punto ottenere nuovi significativi obiettivi è più difficile “a meno che Hamas non compia l’errore di esporre i principali leader o altri asset fondamentali”.

L’organizzazione però, nonostante le batoste sul terreno, ritiene di aver vinto in questo momento. Ha battezzato l’operazione “Spada di Gerusalemme” e conquistato il centro della scena politica in Cisgiordania e in alcuni sobborghi arabo-israeliani. Ha raccolto una forte solidarietà araba e musulmana e inflitto un colpo psicologico alla popolazione israeliana, appena uscita dalle restrizioni per il Covid e costretta a vivere chiusa in rifugi e stante blindate da dieci giorni.

Non siamo con il cronometro in mano ma vogliamo piuttosto raggiungere gli obiettivi dell’operazione”. Lo ha detto, citato dai media, il premier israeliano Benjamin Netanyahu nella riunione con gli ambasciatori stranieri. “Precedenti operazioni – ha aggiunto – sono durate un periodo prolungato. Per questo non è ancora possibile stabilire la durata di questa operazione”. “Stiamo studiando la questione del momento opportuno per un cessate il fuoco”, ma “ci prepariamo a diversi giorni” di operazioni supplementari, ha spiegato ancora, aggiungendo che Israele sta verificando se ha “raggiunto gli obiettivi”. “Criticare Israele per le sue attività è assurdo. E’ un danno alle altre democrazie che combattano in circostanze analoghe”, proclama Netanyahu agli ambasciatori esteri. “E’ il record dell’ipocrisia e dell’idiozia. Tutto ciò – ha concluso  Netanyahu – non fa che incoraggiare i terroristi”.

L’Egitto ha proposto, “attraverso canali privati” un cessate il fuoco tra Israele e Hamas a partire da alle 6 di mattina (ora locale) di giovedì prossimo. Lo riporta la tv israeliana Canale 12 che cita fonti palestinesi secondo cui Hamas ha accettato mentre Israele non ha risposto. Tuttavia, un membro della leadership di Hamas, Izzat al-Rishq, ha smentito le indiscrezioni dei media israeliani su un imminente cessate il fuoco mediato dall’Egitto. “Non è vero ciò che alcuni media nemici hanno riferito, ovvero – ha detto in un comunicato ripreso da Times of Israel – che Hamas abbia concordato ad un cessate il fuoco per giovedì. Nessun accordo o uno specifico calendario per questo è stato raggiunto”. Al-Rishq ha tuttavia aggiunto che gli sforzi per coordinare una tregua, guidati dall’Onu, dall’Egitto, dal Qatar e da altri paesi sono in corso. “Pur sottolineando che gli sforzi e i contatti dei mediatori sono seri e continui, le richieste della nostra gente – ha concluso – sono chiare e ben note”.

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Diplomazia in movimento

La Francia ha presentato all’Onu una risoluzione che punta ad un cessate il fuoco tra Israele e Hamas, in coordinamento con Egitto e Giordania. Lo rende noto l’Eliseo. La proposta arriva al Consiglio di sicurezza dove gli Usa hanno bloccato per otto giorni una dichiarazione sul conflitto israelo-palestinese. L’ambasciatore cinese all’Onu, Zhang Jun, ha detto di aver saputo della proposta e che “la Cina la sostiene senz’altro” gli sforzi per mettere fine alla crisi. Il presidente francese, Emmanuel Macron, “ha partecipato a una riunione trilaterale con il presidente egiziano Al Sisi e il re di Giordania” in cui è stato deciso di “lanciare un’iniziativa umanitaria per la popolazione civile di Gaza in collegamento con le Nazioni Unite”. Lo hanno reso noto fonti dell’Eliseo. Le fonti francesi hanno sottolineato che Egitto e Giordania “sono attualmente in pace con Israele e sono protagonisti influenti nei luoghi santi per la Giordania e su Gaza per gli egiziani”. I tre governi si sono “messi d’accordo su tre semplici elementi: cessazione dei lanci di razzi, cessate il fuoco e risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu” sulla questione.

Washington ritiene che una dichiarazione pubblica del Consiglio di Sicurezza Onu non aiuterebbe a calmare le tensioni tra israeliani e palestinesi. Lo ha ribadito nel corso della riunione a porte chiuse dei Quindici l’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, secondo quanto è stato riferito da fonti diplomatiche. “Non siamo stati in silenzio”, “il nostro obiettivo è stato e continuerà ad essere quello di un intenso impegno diplomatico per porre fine a questa violenza”, ha detto l’ambasciatrice. “Il presidente Joe Biden ha espresso il sostegno per un cessate il fuoco”.

Di Maio alla Camera

E a parlare è anche il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio. L’Italia sottolinea la necessità di “rilanciare il processo di pace in Medio Oriente”, riportando “la questione israelo-palestinese nell’alveo di un processo politico, afferma il ministro degli Esteri alla Camera. “Siamo convinti – ha aggiunto – che la sola via per una stabilizzazione duratura sia una soluzione a due Stati, negoziata tra le parti, in linea con i parametri del diritto internazionale e delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. 
 Solo così israeliani e palestinesi potranno sperare di vivere in pace e in sicurezza, gli uni al fianco degli altri, con Gerusalemme capitale di entrambi i popoli. Dobbiamo quindi sforzarci di riportare il processo di pace al centro dell’agenda internazionale per realizzare due diritti: quello di Israele a esistere e vivere in pace e sicurezza, quello del popolo palestinese ad avere una propria patria”, ha aggiunto Di Maio.” Dobbiamo tener anche conto di linee di tendenza che stanno cambiando, incidendo sullo scenario regionale. La normalizzazione delle relazioni tra Israele e alcuni Paesi Arabi (Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco) è una di queste. Abbiamo accolto gli Accordi di Abramo con grande favore, nella convinzione che, avvicinando Israele al mondo arabo, queste intese potranno contribuire alla pace e alla stabilità in Medio Oriente. Ma questo percorso di normalizzazione non può in alcun modo sostituirsi al processo di pace. Siamo certi che il sostegno degli Stati Uniti a una soluzione a due Stati potrà concorrere all’avanzamento di questa visione auspicabilmente sinergica tra i due processi”, ha affermato ancora il ministro degli Esteri. “Quest’ultima ondata di forte violenza rende purtroppo ancora più difficile la prospettiva di ripresa di un dialogo, anche minimo, tra le parti. Una condizione di stallo che ho riscontrato già critica durante la mia ultima visita in Israele e Palestina nell’ottobre del 2020. Una volta messe a tacere le armi, sappiamo che la china da risalire sarà molto ripida, ma proprio per questo occorrerà fare ogni possibile sforzo per rilanciare l’attività diplomatica, unica possibile via di uscita da una situazione fortemente deteriorata. La prospettiva di un processo politico non va quindi accantonata, ma anzi rilanciata”, ha concluso.

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Parole assennate, se non fosse che Israele e chi la governa vadano in direzione opposta a quella indicata dal titolare della Farnesina. E non è cosa di poco conto. 

Per domani è stata convocata l’Assemblea generale dell’Onu, mentre il Consiglio di sicurezza è tornato a riunirsi d’urgenza a porte chiuse per la quarta volta, dopo che gli Usa finora hanno bloccato dichiarazioni che secondo Washington potrebbero ostacolare o nuocere alla sua “diplomazia intensa ma discreta”. Un’attività dietro le quinte che però fa salire la pressione sull’amministrazione Biden sia da parte della comunità internazionale che dal partito democratico, dove aumentano le voci per una presa di posizione più forte e netta per fermare Israele. Per questo nella sua quarta telefonata a Netanyahu, Biden ha espresso per la prima volta il suo sostegno ad un cessate il fuoco. Ma senza fissare scadenze e ribadendo il suo “fermo sostegno al diritto di Israele di difendersi contro gli indiscriminati attacchi di razzi” di Hamas, pur “incoraggiandola a fare ogni sforzo per garantire la protezione di civili innocenti”. Nel  nuovo colloquio telefonico, fanno filtrare fonti della Casa Bianca, Biden ha ribadito con insistenza  al  premier israeliano di attendersi una “significativa de-escalation oggi verso un cessate il fuoco”.  

 In quella che è la prima crisi mediorientale della sua presidenza, Biden vuole evitare il rischio politico che i suoi appelli siano ignorati e di restare impantanato in uno scacchiere che era l’ultima delle sue priorità.

Dalla diplomazia che annaspa alla violenza che non si placa.

 Non si fermano lanci di razzi da Gaza e raid israeliani Le forze di difesa israeliane hanno confermato di avere sganciato 122 bombe in 25 minuti con 52 aerei su circa 40 obiettivi sotterranei che fanno parte della cosiddetta “metropolitana” di Hamas a Gaza, la rete di tunnel che scorre sotto una buona parte del territorio dell’enclave palestinese. Tra gli obiettivi presi di mira nella notte anche dei depositi d’armi e un centro di comando del movimento islamista palestinese, ha spiegato il portavoce Hidai Zilberman. Secondo l’ufficiale dello Stato ebraico, almeno 10 membri di Hamas e della Jihad islamica sono stati uccisi. Gli attacchi – ha aggiunto – si sono concentrati a Khan Younis e Rafah nella Striscia meridionale, da dove è stata lanciata la maggior parte dei razzi contro le città israeliane. Le forze di difesa israeliane hanno riferito oggi che circa 50 razzi sono stati lanciati da esponenti dei movimenti islamisti palestinesi a Gaza verso Israele nelle ultime 12 ore. Circa 10 razzi non hanno superato il confine e sono caduti all’interno della Striscia, ha aggiunto l’esercito, citato dal Times of Israel. 

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 Nel pomeriggio anche un convoglio di aiuti umanitari giordani destinato all’ospedale giordano di Gaza non ha potuto entrare nella Striscia perché il valico di Kerem Shalom da cui doveva transitare è stato oggetto di un attacco di mortai palestinesi. Per la stessa ragione anche autocisterne israeliane che si accingevano a trasferire combustibile a Gaza, con l’assistenza dell’agenzia delle Nazioni Unite Unrwa, sono state costrette ad allontanarsi. Ieri un attacco analogo era stato sferrato da miliziani palestinesi anche contro il valico di Erez, mentre stavano per transitare altri aiuti umanitari.

 E tornano a suonare anche le sirene di allarme antimissili nel nord di Israele, nella zona compresa tra Haifa e il Libano, dove opera la milizia sciita Hezbollah, con alcuni testimoni che parlano di esplosioni in cielo dovute ai razzi intercettati dal sistema di difesa Iron Dome. ‘esercito israeliano ha risposto ai razzi nel nord del Paese colpendo “un certo numero di obiettivi in territorio libanese”. Lo ha detto il portavoce confermando che i razzi tirati sono stati 4: uno è stato intercettato e gli altri sono caduti senza provocare danni. 

Le vittime del conflitto 

Almeno 219 palestinesi sono stati uccisi in quasi 10 giorni di raid aerei israeliani sulla Striscia di Gaza. E’ questo il nuovo bilancio fornito dal ministero della Sanità dell’enclave palestinese, amministrata da Hamas. Secondo la stessa fonte, citata dai media locali, tra le vittime figurano 63 bambini, 36 donne e 16 persone anziane. Il numero dei feriti è salito invece ad almeno 1.530. Nel conflitto hanno perso la vita anche 12 israeliani.  

Ma per il “cronometrista” di guerra non bastano ancora.

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