Libia, i torturatori del mare stipendiati dall'Italia
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Libia, i torturatori del mare stipendiati dall'Italia

Inseguiti da un gommone e da una motovedetta della guardia costiera libica, picchiati con un bastone e costretti a tornare nell'inferno della Libia. Sono i soccorsi operati dalla marina di Tripoli

La guardia costiera libica
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Maggio 2021 - 13.16


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Inseguiti da un gommone e da una motovedetta della guardia costiera libica, picchiati con un bastone e costretti a tornare nell’inferno della Libia. E’ solo uno dei cosiddetti soccorsi operati dalla guardia costiera di Tripoli, questa volta documentato dall’equipaggio della Sea Watch 4 che ha pubblicato il video su Twitter.

E’ un weekend di traversate nel Mar Mediterraneo nonostante il maltempo. La Ong tedesca questa notte ha effettuato un quarto salvataggio in 48 ore, soccorrendo un’imbarcazione con 94 persone e adesso ha a bordo 308 migranti e ha chiesto un porto sicuro.

La Ong tedesca, commentando il video del gommone che è stato riportato indietro dai libici sotto i loro occhi, scrive: “Ecco come si svolge un’intercettazione della cosiddetta guardia costiera libica: persone in pericolo picchiate e costrette con la forza a tornare nell’inferno da cui fuggivano. Oggi l’equipaggio di Sea Watch 4 ne è stato testimone e ha documentato i fatti con queste immagini”.

“Circa 340 rifugiati e migranti sono stati rimpatriati a Tripoli dalla Guardia costiera libica”.  Lo scrive su Twitter l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) in Libia in riferimento alla giornata di ieri, precisando che “Unhcr e Irc hanno fornito assistenza medica e umanitaria urgente a tutti i sopravvissuti prima che venissero portati in detenzione”. Oltre 5.500 persone sono state rimpatriate in Libia dal gennaio 2021 ricorda l’Unhcr, mentre Safa Msehli. portavoce di Un Migration. sempre su Twitter scrive che “oggi circa 450 migranti sono stati intercettati e rimpatriati in Libia”. 
“Disperati, scalzi, stanchi e maltrattati, sono stati condotti in detenzione arbitraria dove affrontano maggiori rischi”. 

Sul caso denunciato da Sea Watch è intervenuta anche l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), spiegando che “circa 340 rifugiati e migranti sono stati rimpatriati a Tripoli dalla Guardia costiera libica”. Oltre 5.500 persone sono state rimpatriate in Libia dal gennaio 2021, ricorda l’Unhcr. 

Allarme permanente

Persi i contatti con il barcone con 95 persone a bordo che si trova in acque internazionali con il motore in avaria. “Il nostro ultimo contatto con la barca è stato alle 10.12 –  scrive su twitter Alarm Phone – Dicevano di non avere più batteria e  che un aereo li stava sorvegliando dall’alto. Il loro telefono non è più raggiungibile. La Guardia costiera ci ha detto di chiamare i libici ma oggi nessuno parla inglese. Soccorso ora!”. In un altro tweet Alarm Phone scrive le parole dei migranti: “Il mare è tanto, le onde altissime, la barca è piccola. Moriamo tutti, tra poco, se non mandate aiuto. Per favore, mandate qualcuno, c’è tanta acqua nella barca”. Queste le parole delle persone in pericolo in acque internazionali. Intanto, viene segnalato il “sesto salvataggio della Sea Watch 4 in 72 ore. Abbiamo soccorso 51 persone su una barca di legno con doppio ponte. Dopo i due rescue delle ultime ore, a bordo della Sea-Watch 4 ci sono 455 persone che hanno bisogno e diritto di sbarcare il prima possibile in un porto sicuro”. Lo scrive la Sea Watch su Twitter come riporta Adnkronos. Sea Watch: 455 a bordo, serve porto sicuro Altro salvataggio da parte della nave Sea Watch 4 che è intervenuta per recuperare 51 persone su una barca di legno a due piani. L’imbarcazione della ong tedesca si trova a 46 miglia nautiche a Sud-Ovest di Lampedusa e attualmente, dopo gli altri 5 interventi effettuati nelle scorse ore, sono 455 le persone salvate a bordo della Sea Watch 4, cui “deve essere assegnato immediatamente un porto sicuro!”, afferma la Ong sul proprio profilo.

Milioni a chi fa il lavoro sporco

Come riconosciuto dalle istituzioni internazionali ed europee, comprese le Nazioni Unite e la Commissione europea, la Libia non può in alcun modo essere considerata un luogo sicuro dove far sbarcare le persone soccorse in mare: sia perché è un Paese instabile, dove non possono essere garantiti i diritti fondamentali, sia perché migranti e rifugiati sono sistematicamente esposti al rischio di sfruttamento, violenza e tortura e altre gravi e ben documentate violazioni dei diritti umani. Eppure, continua ad aumentare il contributo italiano ed europeo alla Guardia costiera libica, che negli ultimi 4 anni ha intercettato e riportato forzatamente nel Paese almeno 50 mila persone, 12 mila solo nel 2020. 

Tutti i governi italiani che si sono succeduti hanno ostacolato l’attività delle navi umanitarie, senza fornire alternative alla loro presenza in mare. Persino le recenti modifiche della normativa in materia di immigrazione non hanno di fatto eliminato il principio di criminalizzazione dei soccorsi in mare, che era stato introdotto dal secondo Decreto Sicurezza. 

Nel corso del 2020, l’Italia ha bloccato inoltre sei navi umanitarie con fermi amministrativi basati su accuse pretestuose, lasciando il Mediterraneo privo di assetti di ricerca e soccorso e ignorando, allo stesso tempo, le segnalazioni di imbarcazioni in pericolo. Contribuendo così alle 780 morti e al respingimento di circa 12.000 persone, documentate durante il corso dell’anno dall’OIm

Scrive Duccio Facchini su altraeconomia :”L’Italia continua senza sosta ad assistere ed equipaggiare la cosiddetta Guardia costiera libica per intercettare le persone nel Mediterraneo e respingerle sulle coste nordafricane. Tra la fine del 2020 e i primi tre mesi del 2021, i soli appalti in capo al Centro navale della Guardia di Finanza sono stati oltre 50 per un valore complessivo di circa sette milioni di euro (da aggiudicare o in via di imminente aggiudicazione).

Uno di questi risale al febbraio 2021 e riguarda la manutenzione straordinaria da parte del nostro Paese di due motovedette cedute a Tripoli “nell’ambito del protocollo di cooperazione Italia-Libia”. Nell’atto autorizzativo del Centro navale datato 8 febbraio e che richiama l’accordo del febbraio 2017 si legge che i lavori di “somma urgenza” -pari a 138.800 euro- dovranno essere svolti in Sicilia in un “ricovero discreto” per “mezzi navali di grandi dimensioni” al fine di “nasconderli alla vista di persone estranee”.

Non solo: l’unico operatore invitato alla procedura negoziata -il cantiere navale “Marina di Riposto Porto dell’Etna”, in provincia di Catania, già impegnato in altre forniture- è stato selezionato anche sulla base dell’”efficacia e discrezione dimostrate in occasione di precedenti analoghe lavorazioni, per evitare di divulgare all’esterno attività di elevata ‘sensibilità istituzionale’”.

La denuncia dell’Unicef

Il Mediterraneo centrale continua a essere una delle rotte migratorie più pericolose e letali del mondo. Dall’inizio dell’anno, almeno 350 persone, tra cui bambini e donne, sono annegate o scomparse nel Mediterraneo centrale mentre cercavano di raggiungere l’Europa, tra cui 130 solo la settimana scorsa. Questa settimana, 125 bambini, di cui 114 non accompagnati, sono stati salvati in mare, al largo della Libia.

A darne conto è una nota dell’Unicef, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia. La maggior parte di coloro che sono stati salvati vengono mandati in centri di detenzione sovraffollati in Libia, in condizioni estremamente difficili e con limitato o nessun accesso all’acqua e ai servizi sanitari. Quasi 1.100 bambini si trovano in questi centri. 

In Libia ci sono 51.828 bambini migranti e sono stimati 14.572 bambini rifugiati; la maggior parte non è in grado di accedere ai servizi ed è vulnerabile allo sfruttamento e agli abusi all’interno del paese.  Quelli in detenzione non hanno accesso all’acqua potabile, all’elettricità, all’istruzione, all’assistenza sanitaria e a servizi igienici adeguati. La violenza e lo sfruttamento sono dilaganti.

 Nonostante questi pericoli, aggravati dalla pandemia da Covid-19, i bambini rifugiati e migranti continuano a rischiare le loro vite in cerca di sicurezza e di una vita migliore. I tentativi di attraversare questa rotta marittima probabilmente aumenteranno nei prossimi mesi estivi.

Ombre inquietanti 

Le inchieste pubblicate da organi di stampa autorevoli, come la rivista Internazionale e il quotidiano Il Domani,  gettano davvero più che un’ombra oscura su tutto ciò che riguarda il rapporto tra il governo italiano e le milizie libiche che controllano i traffici di petrolio ed esseri umani nel Mediterraneo”. A dirlo all’Adnkronos è Luca Casarini, capo missione di Mediterranea Saving Humans, aggiungendo: “I giornalisti Zach Campbell e Lorenzo D’Agostino hanno investigato e dimostrato per il sito statunitense ‘The Intercept’ come l’accanimento giudiziario e poliziesco contro le ong del soccorso in mare sia stato pianificato negli uffici della superprocura antimafia, la Dna, che ha anche coordinato l’attività in questo senso di cinque Procure siciliane”.

“Questa azione coordinata, che aveva come obiettivo ‘togliere di mezzo le Ong’ – prosegue Casarini – ha visto la partecipazione di esponenti, tuttora in servizio, dei servizi segreti, che avevano il compito di ‘costruire le prove’. Inoltre, si descrive, sempre attraverso fonti documentali e circostanziate, che l’Italia ha sempre saputo di collaborare con criminali libici accusati di efferati delitti, per creare un sistema atto a fermare in ogni modo, anche con la morte, persone migranti e profughi in fuga da orrore e violenze. La cosiddetta ‘guardia costiera libica’ e la ‘zona Sar libica’, secondo questa inchiesta, sono pure invenzioni per coprire le gravissime violazioni dei diritti umani”.

Per il capomissione di Mediterranea Saving Humans anche il reportage di Sara Creta su Il Domani “documenta con video, registrazioni radio, testimonianze precise, come le catture di migranti in mare che fuggono dai campi di concentramento libici, siano coordinate da aerei europei di Frontex e da Roma”. Da qui l’interrogativo di Casarini. “Di fronte a tutto questo ci sarà in Italia un procuratore, un magistrato, che senta il bisogno di fare piena luce su cos’è stato e cosa è il patto Italia-Libia? Ci sarà pure un magistrato che davanti ad accuse e prove del genere voglia ridare un minimo di giustizia anche a uno solo di quei morti che giacciono in fondo al mare o che è stato ammazzato da quelli che per il governo italiano sono stretti collaboratori in Libia?”.

“Il Parlamento vorrà istituire una commissione di inchiesta, come già richiesto da alcuni parlamentari, sul patto Italia-Libia – conclude Casarini -? Qui siamo difronte a una situazione paragonabile alle stragi o ai rapporti tra Stato e mafia. Una delle pagine più nere, criminali e vergognose della storia della Repubblica”.

Come dargli torto…

L’appello al Parlamento

In una nota congiunta, Asgi, Emergency, Medici Senza Frontiere, Mediterranea, Oxfam e Sea-Watch hanno chiesto  al Parlamento di istituire una Commissione di inchiesta, che indaghi sul reale impatto dei soldi spesi in Libia e sui naufragi nel Mediterraneo e di presentare un testo che impegni il Governo a:

1) – interrompere l’accordo Italia-Libia, subordinando qualsiasi futuro accordo bilaterale alla transizione politica della crisi libica, nonché alle necessarie riforme del sistema giuridico che eliminino la detenzione arbitraria e prevedano adeguate misure di assistenza e protezione per migranti e rifugiati;

2) – dare l’indirizzo a non rinnovare le missioni militari in Libia, chiedendo la chiusura dei centri di detenzione nel Paese nord-africano;

3) – promuovere, in sede europea, l’approvazione di un piano di evacuazione dalla Libia delle persone più vulnerabili e a rischio di subire violenze, maltrattamenti e gravi abusi;

4) – dare mandato per l’istituzione di una missione navale europea con chiaro compito di ricerca e salvataggio delle persone in mare;

5) – promuovere, in sede europea, l’approvazione di un meccanismo automatico per lo sbarco immediato e la successiva redistribuzione delle persone in arrivo sulle coste meridionali europee, sulla base del principio di condivisione delle responsabilità tra stati membri su asilo e immigrazione;

6) – promuovere la revoca dell’area di ricerca e soccorso libica, poiché solo finalizzata all’intercettazione e al respingimento illegale delle persone in Libia;

7) – riconoscere il ruolo delle organizzazioni umanitarie nella salvaguardia della vita umana in mare, mettendo fine alla loro criminalizzazione e liberando le loro navi ancora sotto fermo.

Sette richieste che se raccolte darebbero lustro all’Italia e cancellerebbero, almeno in parte, la vergogna dei finanziamenti ai torturatori libici. 

 

 

 

 

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