Migranti, la storia di F. e quel mezzo miliardo alla Guardia costiera libica
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Migranti, la storia di F. e quel mezzo miliardo alla Guardia costiera libica

La storia di F. e quel mezzo miliardo elargito a quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica. Le due facce della stessa vergogna.

Migranti, la storia di F. e quel mezzo miliardo alla Guardia costiera libica
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Gennaio 2022 - 18.12


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La storia di F. e quel mezzo miliardo elargito a quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica. Le due facce della stessa vergogna.

La storia di F.

A raccontarla, con grande accuratezza e sensibilità, è Rossana Lo Castro per Adnkronos.

Eccone alcuni passi: “Dice che lui è fortunato perché in Libia “ci è rimasto solo tre mesi”. Adesso sul molo Favaloro, appena sbarcato dalla motovedetta della Capitaneria di porto insieme ad altre 65 persone, intercettate a poche miglia dalle coste dell’isola su un barcone malmesso, F., poco più che ventenne, tira un sospiro di sollievo. E’ vivo. Nonostante tutto. Sopravvissuto alla Libia e alla traversata del Mediterraneo. “Nessuno tra chi organizza il viaggio ti racconta veramente come è la situazione laggiù. Non sapevo com’era la Libia”, dice agli operatori di Mediterranean Hope, il programma della Federazione delle chiese evangeliche in Italia dedicato ai migranti e ai rifugiati, che dall’ottobre del 2013, subito dopo il naufragio che costò la vita a 368 persone, opera sulla più grande delle Pelagie. In un perfetto inglese e francese racconta quello che si è lasciato alle spalle.

“In Libia la situazione, specialmente per gli africani provenienti da paesi subsahariani, è disperata”, dice a Giovanni D’Ambrosio, operatore di Mediterranean Hope. Costretti a nascondersi quando camminano per strada perché rischiano di essere rapiti e rinchiusi in centri di detenzione illegali. Lui in Libia è arrivato dal Camerun. “Mi hanno rapito solo una volta”, dice mentre prova a riscaldarsi con un po’ di the caldo. Oggi a Lampedusa c’è il sole, ma in mare prima di essere soccorso dalla Guardia costiera ha trascorso due notti. “Sono fortunato – dice – perché in Libia sono stato solo tre mesi, conosco persone che sono rimaste anche cinque anni, bloccate dentro e fuori le prigioni”.

Per loro quello di raggiungere l’Europa è rimasto solo un sogno. Non per lui. Che su quella carretta del mare è riuscito a salire. “Ciò che temevamo di più mentre eravamo in mare, oltre alla morte, era essere catturati dalla Guardia costiera libica”. Lo chiamano ‘Kalabush’: essere presi, picchiati, derubati di tutte le proprie cose e messi in prigione. “Per uscire devi pagare”. La libertà ha un costo, minore per gli uomini e maggiore per le donne […]”Il viaggio è stato lungo e difficile”, dice, raccontando anche lui del Kalabush, dei rapimenti per strada, dei riscatti da pagare, della paura di essere riportati in Libia nei centri di detenzione dalla Guardia costiera. “Se ti dicessi anche solo una minima parte di quello che ho visto e vissuto, scoppieresti in lacrime”, dice all’operatore di Mediterranean Hope. Abitava ad Abu Salim a Tripoli e molte volte è stato rapito e finito in prigione. “Lì vivi nel terrore di essere catturato”. Il viaggio in mare è l’unica alternativa. “Questo è il mio primo viaggio, ma qui con noi ci sono persone che hanno provato anche 4 o 5 volte”, dice indicando i suoi compagni di viaggio. Il tempo dei racconti è finito. Ad attenderlo c’è il pulmino che lo condurrà all’hotspot. “Non ci si abitua mai” dice all’Adnkronos Giovanni, che a Lampedusa è arrivato nel 2020. Sul molo Favaloro a ogni approdo insieme agli altri prova a portare un po’ di calore. E un sorriso. Anche oggi era lì.

“Erano stanchi, debilitati. Ci hanno detto di aver trascorso due notti in mare – spiega -. Ogni sbarco è diverso, ma le testimonianze che spesso ci capita di raccogliere sono accomunate tutte da una cosa. Chi arriva descrive la Libia come l’inferno in terra e di quell’inferno portano i segni sul corpo”. Ecco perché l’appello alle Istituzioni ancora una volta è lo stesso. “Corridoi umanitari e vie di accesso legali e sicure perché il Mediterraneo non continui ad essere un cimitero, per non dover assistere più a nuove tragedie”. Perché su quel molo non arrivino più vivi e morti”. 

Un rapporto che inchioda

A darne conto su Avvenire è Nello Scavo, che la Libia con tutto il malaffare al seguito, conosce come pochi altri. “Quasi mezzo miliardo di soli fondi europei destinati alla Libia, per leggere poi un rapporto riservato dei vertici militari Ue che, senza girarci intorno, scrivono: «La Guardia costiera libica ha mostrato di seguire le linee operative per cui è stata addestrata, ma non completamente». A cominciare da «un uso eccessivo della forza». Oltre al frequente rifiuto di fornire ai loro finanziatori europei le informazioni e i resoconti sugli interventi in mare. 

Il documento di Eunavformed è catalogato come «restricted». Fornisce un quadro chiaro della situazione in mare, riconoscendo che non esiste una unica “guardia costiera”, ma diverse sigle, e che in svariati casi l’Italia ha persino coordinato l’intercettazione di migranti da parte di motovedette del generale Haftar, l’uomo forte di Bengasi che a più riprese aveva tentato di abbattere il governo riconosciuto di Tripoli.In tutto 37 pagine, anticipate da Associated Press, che raccontano senza aggettivi né giudizi il ricatto da Tripoli: equipaggiamento e fondi, senza doverne poi rendere conto. Dal 2015 l’Unione Europea ha riversato 455 milioni di euro attraverso il Fondo fiduciario per l’Africa. Compilato dal contrammiraglio della marina italiana Stefano Turchetto, capo della missione di sorveglianza per l’embargo sulle armi (Operazione Irini), il testo raccoglie i contributi di altri ufficiali operativi.

Scrivono gli ammiragli che il loro compito avrebbe dovuto essere anche quello di fornire «una valutazione più coerente» sulle capacità raggiunte dai guardacoste equipaggiati e addestrati soprattutto dall’Italia. A ottobre ci sono stati ad esempio quattro episodi per i quali Eunavformed avrebbe voluto maggiori informazioni. «Nonostante i continui contatti» tra i vertici militari sulle due sponde del Mediterraneo «volti a rafforzare gli scambi di informazioni» sulle attività della marina libica, «non è stato possibile ricevere il nome degli asset (le navi della guardia costiera lbica, ndr) coinvolti in questi quattro eventi». L’osservazione di un episodio del 15 settembre durante le fasi di recupero di un gruppo di migranti «indica che l’addestramento ricevuto è ancora visibile, ma non viene più completamente seguito». In particolare, «l’uso eccessivo della forza fisica da parte della guardia costiera libica contro i migranti, ad esempio, può essere visto come una conseguenza – si legge – dello stallo politico». Con le forze armate libiche che hanno adoperato non di rado tattiche «mai osservate prima e non conformi all’addestramento». Probabilmente si tratta degli uomini di Bija. Nelle pagine successive, infatti, vengono menzionati una serie di interventi analizzati da Eunavfor. Si arriva proprio al 15 settembre, quando la motovedetta “Zawyah”, sotto il controllo delle milizie al comando del maggiore Abdurahman al-Milad (Bija) e collocata nel porto petrolifero di Zawiyah, dopo avere compiuto una cattura in mare trasmette un resoconto corredato da alcune immagini: «Analizzando le foto fornite all’interno del loro rapporto di missione – si legge nel dossier protocollato a Bruxelles – è evidente che durante questa attività” sono state utilizzate “Tttps (tecniche e procedure tattiche, ndr) mai osservate prima e non conformi alla formazione fornita da Operazione Sophia così come dalla regolamentazione internazionale».

Negli stessi giorni Bija diventava il comandante della ricostruita accademia militare della Marina libica e si occupa personalmente dell’addestramento delle reclute…”.

Così Scavo.

E Roma insiste

L’Italia ha consegnato al Ministero dell’Interno libico nuove attrezzature per il contrasto all’immigrazione clandestina, per un valore complessivo di 42 milioni di euro. Secondo quanto riportato dal quotidiano al-Wasat. tali attrezzature comprendono un’officina mobile per la manutenzione, pezzi di ricambio per imbarcazioni, uffici amministrativi mobili e supporto logistico per le attività di soccorso nel contesto delle missioni di ricerca in mare.

La consegna delle apparecchiature rientra nel quadro del progetto europeo “Supporting the Integrated Border and Migration Management in Libya”, supervisionato dal Ministero dell’Interno italiano, e finanziato dal “Fondo fiduciario di emergenza europeo”. Il Ministero dell’Interno libico ha reso noto che la cerimonia di consegna del materiale è avvenuta alla presenza del direttore del Dipartimento Generale della Sicurezza Costiera, il direttore del Dipartimento delle Relazioni e Cooperazione, il delegato per la Sicurezza dell’Ambasciata d’Italia in Libia, e alcuni funzionari del dipartimento di Sicurezza Costiera e dell’ambasciata d’Italia nel Paese nordafricano.

Siamo ormi oltre il diabolico perseverare…

Intanto, dopo9 giorni in mare è stato assegnato il porto di sbarco per i 439 migranti sulla nave GeoBarents che sono approdati nel primo pomeriggio di ieri nel porto commerciale di Augusta. Sono stati sbarcati   subito i minori e casi sanitari urgenti “tra cui un uomo con la gamba rotta – dice il Capo missione Juan Matìas Gil – vittima delle violenze sistematiche in Libia“. Le procedure di sbarco potrebbero durare fino alla serata di oggi, 29 gennaio, fa sapere Gil

E le elezioni?

In ultimo, torniamo sulla farsa elettorale. Nei giorni scorsi, la Camera dei Rappresentanti ha terminato la sessione volta a decidere le sorti dell’esecutivo ad interim libico e del premier Abdelhamid Dbeibah, votando l’esclusione dell’Alto Consiglio di Stato dalla scelta del nuovo primo ministro e dalla formazione del gabinetto, con 30 consensi e 21 voti contrari. Il Comitato per la road map elettorale dovrebbe presentare la relazione finale durante la sessione della prossima settimana.

Il Parlamento libico ha altresì posto la condizione che ogni candidato premier venga appoggiato da 25, evidenziando che quest’ultimo si impegnerà a non candidarsi alle prossime elezioni presidenziali. Secondo quanto riferito dal quotidiano libico Adress Libya, la Camera dei Rappresentanti ha stabilito 12 condizioni per candidarsi alla carica di primo ministro.

Tale decisione è avvenuta dopo che, il 24 gennaio, il capo dell’Alto Consiglio di Stato, Khaled Al-Mashri ha confermato il proprio sostegno al Governo di unità nazionale (Gnu), respingendo gli sforzi di molti membri della Camera dei Rappresentanti volti a cambiare l’esecutivo. Questi ultimi sviluppi potrebbero portare ad un nuovo confronto tra l’Alto Consiglio di Stato e Parlamento, che seguirebbe le tensioni dei mesi passati in merito alle leggi elettorali. Il mancato accordo tra i due organi legislativi sulla legge elettorale è stato una delle ragioni del rinvio delle elezioni dello scorso 24 dicembre.

Durante un incontro, avvenuto la sera del 24 gennaio, con l’inviato speciale del ministro degli Esteri italiano in Libia, Nicola Orlando, e l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Buccino, Al-Mashri ha sottolineato l’importanza di attivare il processo costituzionale e consentire al popolo libico di votare sulla bozza della Costituzione, vitale per l’organizzazione di elezioni libere ed eque. Orlando e Buccino hanno incontrato anche il vicecapo del Consiglio presidenziale, Abdullah Al-Lafi, per discutere della situazione politica.

Al-Lafi – recitano ancora le cronache – ha ribadito la necessità di tenere le elezioni libiche entro la fine del 2022, mentre Orlando ha sottolineato che l’Italia non vede l’ora di vedere gli emendamenti del Parlamento alla tabella di marcia che aprirà la strada allo svolgimento delle votazioni. Orlando ha altresì affermato che Roma segue da vicino la situazione in Libia ed è sempre stata entusiasta della sua stabilità e sovranità. “L’Italia vuole aiutare la Libia a porre fine al suo periodo di transizione ed entrare nella fase di un presidente eletto dal popolo”, ha aggiunto Orlando. È opinione diffusa sui media libici che alcune milizie armate possano intervenire per respingere le mosse della Camera dei Rappresentanti per rovesciare Dbeibah e formare un nuovo governo. Tre personalità hanno iniziato a contendersi la guida del Paese, prima tra tutte, l’ex ministro dell’Interno del Governo di Accordo Nazionale (Gna) Fathi Bashagha, che solleva timori di un conflitto armato.

Anche ad avviso del comando africano degli Stati Uniti (Africom), la richiesta della Camera dei Rappresentanti di formare un nuovo governo potrebbe creare nuove contrapposizioni tra le parti libiche. In una dichiarazione successiva alla sessione parlamentare del 25 gennaio, Africom ha indicato che altre istituzioni politiche e alcune fazioni armate potrebbero rifiutare un cambio di governo. La mobilitazione militare intorno a Tripoli fa temere che qualsiasi disputa sul governo possa portare a scontri all’interno della città.

Che dire di più: a credere alla favola delle elezioni c’è rimasto solo il ministro di Maio. 

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