I guardacoste libici minacciano di arrestare Sea Watch in acque internazionali
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I guardacoste libici minacciano di arrestare Sea Watch in acque internazionali

La denuncia della Ong: per impedire la navigazione dei volontari i militari della Libia hanno avvertito di essere pronta a usare “ogni mezzo”.

La guardia costiera libica
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27 Luglio 2021 - 16.41


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La Guardia costiera libica, ossia la stessa organizzazione che lo stato italiano continua a finanziare nonostante siano note le loro violazioni e il loro approccio inaccettabile.
Ora, come è stato denunciato dalla Ong – i libici hanno minacciato di arrestare in acque internazionali l’equipaggio di soccorso. E per intimidire la “Sea Watch 3” la cosiddetta Guardia costiera libica ha avvertito di essere pronta a usare “ogni mezzo”.

L’episodio è accaduto nel Canale di Sicilia, al di fuori delle acque territoriali e di pertinenza libiche, nella cosiddetta “Sar”, la zona di ricerca e soccorso nella quale i libici hanno competenza per gli interventi, ma non in via esclusiva
La denuncia della Ong

In una serie di tweet, i responsabili dell’ong scrivono: “La cosiddetta Guardia costiera libica ha minacciato di arrestare l’equipaggio di Sea-Watch 3. Millantano di avere giurisdizione sulla zona Sar libica ma è solo l’area in cui hanno la responsabilità di salvare vite. Acque internazionali in cui noi abbiamo il diritto di operare?”.

L’organizzazione di ricerca e soccorso denuncia una “gravissima violazione della Convenzione sul diritto del mare”.

Secondo l’ong, impegnata nel salvataggio delle persone che tentano di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo centrale, “invece di adempiere all’obbligo di salvare vite nella zona Sar di sua competenza, la cosiddetta Guardia costiera libica minaccia di ‘ricorrere a tutti i mezzi disponibili’ per costringerci ad andarcene. Se non ci fosse un interesse europeo a proteggere la sistematica violazione del diritto internazionale marittimo da parte delle autorità libiche, questo comportamento porterebbe a una crisi diplomatica. Le autorità tedesche ne sono state informate”.

A Bengasi ucciso il capo milizia Al Kani
Mohammed Al-Kani, ricercato per aver commesso atroci crimini di guerra a Tarhuna, in Libia, è stato ucciso nella sua residenza a Bengasi insieme ad altri due miliziani latitanti, confermano i rapporti della città. 

Lo scrive su Twitter The Libya Observer aggiungendo che “uomini armati affiliati alla milizia di Tariq Bin Zyad hanno fatto irruzione nella residenza di Al-Kani nel distretto di Bu Atni alle prime ore del giorno e hanno sparato a lui e ai suoi compagni”.

Mohammed Khalifa Al-Kani, insieme a suo fratello Abdrerahim era stato iscritto dell’Ue nella lista nera europea per le violazioni dei diritti umani. Capo della milizia Kaniyat, Mohammed Khalifa Al-Kani, e suo fratello hanno esercitato il controllo sulla citta’ libica di Tarhuna tra il 2015 e il giugno 2020 e sono ritenuti responsabili di uccisioni extragiudiziali e sparizioni forzate di persone. Dopo che la milizia ha lasciato Tarhuna, nel giugno 2020, furono scoperte varie fosse comuni.

La milizia Kaniyat e’ quella che nel 2017 insceno’ una parata a Tarhuna per sottolineare il proprio dominio sul piccolo centro agricolo a circa un’ora di auto a sud-est di Tripoli: vi risalto’ un pick-up bianco con a bordo miliziani ma soprattutto, accovacciate sul tettuccio, due leonesse al guinzaglio, simbolo della paura che i fratelli Kani volevano incutere. 

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