Cronache da Lesbo, un inferno dimenticato
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Cronache da Lesbo, un inferno dimenticato

Oxfam e Greek Refugees Council hanno denunciato l’inferno nelle isole greche. L’ultimo vergognoso provvedimento è il trasferimento già in corso di uomini, donne e bambini verso il campo di Mavrovouini

Migranti all'isola di Lesbo
Migranti all'isola di Lesbo
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

28 Aprile 2021 - 13.44


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Lesbo, un inferno dimenticato. La decisione della Grecia di chiudere il campo profughi di Kara Tepe a Lesbo – l’unico in grado di offrire condizioni di vita dignitose a oltre 1.000 persone estremamente vulnerabili – è inaccettabile e deve essere ripensata. Come pure deve essere rivisto il sistema di detenzione de facto, protratta anche per lunghi mesi, di persone già vittime di traumi e in fuga da guerre e violenze. Nonostante gli sbarchi nelle isole greche a febbraio e marzo di quest’anno si siano ridotti dell’86% (rispetto allo stesso periodo del 2020) con solo 638 persone arrivate, le denunce di respingimenti illegali verso la Turchia sono aumentate.

 È l’allarme lanciato ieri da Oxfam e Greek Refugees Council (Grc) con un nuovo rapporto che denuncia – attraverso numeri e testimonianze – l’inferno dei migranti nelle isole greche. L’ultimo vergognoso provvedimento è appunto il trasferimento già in corso di uomini, donne e bambini verso il campo di Mavrovouini, ribattezzato Moria 2.0, dove già oltre 6 mila persone sono costrette a sopravvivere in condizioni disumane.

“Il campo di Kara Tepe, che funziona come uno spazio abitativo alternativo, fino ad oggi offriva ai migranti campi da gioco, aree ricreative e di aggregazione. – rimarca Paolo Pezzatipolicy advisor per la crisi migratoria di Oxfam Italia – Ma da un giorno all’altro, senza ricevere nessuna comunicazione famiglie con bambini piccoli, madri single, persone con problemi di salute o vittime di abusi hanno iniziato ad essere trasferite nel campo Moria 2.0, così ribattezzato perché le condizioni di vita sono terribili come nel primo Moria andato in fiamme ad agosto 2020. Un trattamento che la Grecia, con l’avallo dell’Europa, continua a riservare a persone scappate da paesi come Afghanistan, Siria, Somalia e Iraq. Si tratta di migranti che una volta entrati in Europa hanno il diritto di chiedere asilo e essere protette. Ma anche qui, come nel Mediterraneo centrale dove si contano centinaia di morti, le responsabilità politiche dell’Unione europea e degli stati membri sono enormi”.

La chiusura del campo di Kara Tepe non è la sola. Anche il Pikpa, ex campo estivo che fungeva da residenza temporanea per molte persone alle prese con un processo di richiesta di asilo kafkiano è stato chiuso.  A novembre infatti molte persone estremamente vulnerabili, che adesso rischiano di ritrovarsi nell’inferno di Moria 2.0, erano state trasferite proprio a Kara Tepe dal campo temporaneo di Pikpa.

 Il nuovo inferno di Lesbo, dove vivono oltre 3 mila bambini

Nel campo Moria 2.0 a Mavrovouni, le persone sono costrette a vivere in tende del tutto inadatte a proteggere dal caldo e dal freddo: 2 servizi igienici su 3 non funzionano, non c’è acqua calda, le donne sono esposte al rischio di molestie e molte denunce cadono nel vuoto. Tra i disperati che si trovano a Lesbo in queste condizioni il 23% sono donne e quasi 3.000 (il 35%) sono bambini, di cui il 16% ragazze. Quasi il 70% dei minorenni ha meno di 12 anni, di cui 180 (il 6%) non accompagnati o separati dalla propria famiglia.

“Oltre a quella dei minori, la condizione delle donne all’interno dei campi è particolarmente preoccupante, raccontano di non sentirsi al sicuro. – continua Pezzati – Hanno anche paura di raggiungere le docce dalle loro tende, quindi fanno come possono senza spostarsi. Il buio, il fatto che chiunque possa entrare nelle tende in cui vivono, la difficoltà di denunciare casi di molestie, tutto contribuisce a un clima di totale insicurezza. Per coloro che hanno già subito abuso sessuale, l’inadeguatezza dei servizi di supporto e il senso di paura sono causa di ulteriori traumi.”

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 La quarantena a Megal Therma

Gli aggiornamenti riportati nel rapporto pubblicato oggi, denunciano inoltre il ricorso sempre più frequente a pratiche simili ad una vera e propria detenzione. In teoria le persone dovrebbero stare in quarantena nel campo di Megal Therma per 14 giorni, ma di fatto il tempo può raddoppiare senza ragione. Durante questo periodo le persone non ricevono assistenza sanitaria o legale, e nessun altro tipo di protezione prevista dalla legge sull’asilo dell’Ue dato che i nuovi arrivati vengono registrati solo alla fine della quarantena. Questo è il campo dove 13 persone, incluse una donna incinta e famiglie con bambini piccoli sono state picchiate con i bastoni da 4 uomini con uniformi non identificate, privati dei loro beni prima di essere respinte verso la Turchia a bordo di zattere di fortuna.

Voci dal centro di detenzione di Kos

Ad oggi sono 248 le persone sottoposte a detenzione amministrativa anche per oltre un anno nelle isole greche, in maggioranza sono profughi siriani tra cui donne che hanno subito violenze. Persone che hanno il diritto di chiedere asilo in Europa e che invece sono detenute col fine ultimo di respingerle in Turchia.

Condizioni che possono avere un impatto drammatico sulla salute mentale e fisica: due persone sono morte nel giro di una settimana a fine marzo, uno yemenita di 44 anni deceduto per cause mediche, mentre si riteneva non fosse in pericolo di vita e un ragazzo di 24 anni a cui è stato negato il rilascio dopo un anno e mezzo di reclusione, che si è tolto la vita. 

 Altre testimonianze raccolte da Oxfam e Grc nell’ultimo mese aggiungono orrore all’orrore: Grace (nome di fantasia), una ragazza vittima di tratta e violenza di genere arrivata in Grecia dal Togo lo scorso gennaio, è stata posta in stato di detenzione amministrativa presso il centro di Kos per tutta la durata del processo di richiesta di asilo, in totale disprezzo della sua condizione di vulnerabilità; Farhad (nome di fantasia), richiedente asilo Lgbt, fuggito dalle persecuzioni in Iran, al suo arrivo a Kos è stato arrestato senza nessun approfondimento del suo caso. Dopo aver subito abusi, ha vissuto per 4 mesi nascosto in una cella per il timore di altre violenze, finché il suo caso non è stato segnalato e preso in carico da Unhcr e Grc, ottenendo lo status di rifugiato.

L’appello all’Unione europea

“La cieca politica dell’Ue basata su detenzione e contenimento porta con sé morte e disperazione – conclude Pezzati – Se a questo aggiungiamo la chiusura di campi che funzionavano e il ritorno a condizioni che replicano l’esperienza di Moria, non rimane da dire che è pura politica di deterrenza sulla pelle dei più deboli. Invece di replicare queste pratiche brutali nel Patto sulle migrazioni, governo greco e Ue devono affrontare con urgenza le drammatiche condizioni dei bambini, delle donne e degli uomini che arrivano sulle isole. Detenzione e disprezzo dei più vulnerabili non possono essere le basi su cui fondare la legge europea sull’asilo. L’Italia dovrebbe spingere molto di più sul tema del ricollocamento, non è possibile che l’Europa non riesca a trovare un accordo per svuotare Lesbo e garantire l’esercizio di diritti fondamentali come quello della richiesta della protezione internazionale”.

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Donne incinte e bambini detenuti nei campi

Al loro arrivo negli hotspot delle isole, i migranti – molti dei quali in condizione di particolare vulnerabilità, come bambini, donne incinta, disabili – vengono di fatto posti in stato di detenzione senza accesso alle necessarie cure e tutele. Il sistema rende poi incredibilmente difficile l’esame delle cause che spingono i richiedenti asilo a lasciare i propri paesi di origine, spesso attraversati da guerre e persecuzioni. Le testimonianze raccolte da Grc nel campo di Moria sono ancora una volta terribili. Rawan (nome di fantasia) arrivata dall’Afghanistan in Grecia da sola con due figli minorenni, vittima di violenza di genere, ha dovuto vivere sotto una tenda per 6 mesi in una zona del campo sovraffollata dove non ci sono nemmeno i bagni.  “La situazione nel campo era già spaventosa, ma con la pandemia è diventato peggio. Se il virus arriva qui – ci dicevamo – scaveranno una gigantesca fossa in cui seppellirci. Ci hanno dato due mascherine e un pezzo di sapone, di cui non sappiamo che farcene visto che non c’è acqua. Alla distribuzione dei pasti c’era talmente tanta gente che era impossibile mantenere la distanza”.

Mesi e anni in cui si rimane intrappolati in condizioni disumane nei campi come Moria, con il bene placet dell’Unione europea; esposti a molestie e abusi, soprattutto se si è donne sole. Questo è l’inferno di Lesbo. Proprio durante gli ultimi mesi di lockdown dovuti all’emergenza coronavirus, si è registrato un aumento di denunce di casi di stupro e violenze.

 “Ricordo una notte in cui degli uomini hanno iniziato a minacciare un gruppo di donne, sono entrati nelle loro tende e gli hanno preso i cellulari – racconta Barlin (nome di fantasia), rifugiata somala in uno dei campi – Una donna qui deve difendersi da sola ed è pericoloso anche solo usare i bagni perché non c’è polizia, nessuno che ti protegga. Molte delle giovani ragazze sono terrorizzate e soffrono di attacchi di panico. Hanno bisogno di essere soccorse, curate, ma nel campo non ci sono medici”.

Alla vergogna del campo di Lesbo, dove vivono in condizioni disumane oltre 20.000 migranti, ora si aggiunge un’altra sconvolgente rivelazione: il governo greco sta imprigionando i migranti in isolamento in un sito segreto, situato nel Nord-Est del Paese, prima di espellerli in Turchia senza che possano presentare richiesta di asilo o parlare con un avvocato. E’ quanto denuncia il New York Times, sottolineando come Atene stia cercando in questo modo di scongiurare la crisi del 2015, quando più di 850.000 persone prive di documenti riuscirono ad entrare nel Paese, per poi proseguire verso l’Europa
 Il Nyt è venuto a conoscenza del sito da informazioni raccolte sul terreno e dall’analisi delle immagini satellitari. Diversi migranti hanno raccontato al quotidiano americano di essere stati catturati, privati dei beni, picchiati ed espulsi dalla Grecia senza aver avuto la possibilità di presentare richiesta di asilo o di parlare a un avvocato. 
Tramite incroci di informazioni, descrizioni, dati e coordinate satellitari, il New York Times è riuscito a localizzare il centro di detenzione, che si trova nei terreni agricoli tra Poros e il fiume Evros. La Grecia è firmataria della Convenzione europea sui rifugiati ed è quindi illegale rifiutarsi di accogliere una domanda d’asilo o rimpatriare dei richiedenti asilo in Paesi in cui corrono dei rischi. Secondo Eleni Takou, vicedirettore e responsabile della Ong HumanRights360, ogni giorno emergono testimonianze e vittime dei cosiddetti “push-back”, i respingimenti di migranti alla frontiera al di là del fiume Evros. 

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A pagarne il prezzo più alto sono i più indifesi tra gli indifesi: i bambini. La clinica pediatrica di Medici senza frontiere a Lesbo  conta più di 100 visite al giorno, tra cui bambini con gravi patologie cardiache, casi di epilessia, diabete. Soffrono di problemi respiratori, dermatologici, legati alla nutrizione e psicosomatici. Bambini “spaventati, esposti a situazioni pericolose e senza un posto sicuro dove stare – testimonia Marco Sandrone  è il capo del progetto di Msf nell’isola. -. Si chiudono a guscio. Accogliamo genitori che ci dicono che i loro bambini non vogliono più uscire dalle tende, che hanno smesso di parlare. Oltre al trauma della guerra, della fuga, la sofferenza di vivere a Lesbo toglie ogni speranza ai nostri piccoli pazienti”. “Il diritto di essere bambini – dice il responsabile di Msf –  è qui fagocitato dalla miseria di un campo senza dignità, alle porte dell’Europa”. 

Le richieste di Save the Children e Unicef

“Ai rifugiati e ai richiedenti asilo va garantita l’assistenza e la protezione alla quale hanno diritto. I bambini in particolar modo, e tutte le persone vulnerabili, devono essere protetti ad ogni costo e non possono essere respinti ai confini come pedine in un gioco politico. Ora più che mai, i leader europei devono unire gli sforzi e convergere su meccanismi di responsabilità condivisa, aumentando i reinsediamenti e garantendo che gli aiuti umanitari possano raggiungere i più vulnerabili. I minori non accompagnati e le famiglie vulnerabili devono inoltre essere ricollocati con urgenza dalle isole greche ai Paesi dell’Ue e vanno accelerati i trasferimenti dei bambini che hanno diritto di ricongiungersi ai propri familiari in altri Paesi membri”, afferma Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children.

Gli Stati europei devono agire immediatamente per porre fine alle condizioni disumane in cui si trovano migliaia di bambini e adolescenti intrappolati sulle isole di approdo in Grecia, garantendo la loro accoglienza e protezione attraverso il ricollocamento, dando seguito all’appello del presidente del Parlamento europeo Sassoli sulla protezione dei minori più vulnerabili in condizioni di emergenza in Grecia. In una situazione che rischia di peggiorare ulteriormente di ora in ora, il richiamo alla responsabilità dei singoli stati del Presidente del Parlamento Europeo Sassoli non può rimanere inascoltato mettendo così a rischio la vita e il futuro di tanti minori”, incalza Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children. “Occorre immediatamente mettere in atto un meccanismo di responsabilità condivisa, che tuteli rifugiati e richiedenti asilo, anziché chiudersi in egoismi nazionali – prosegue Milano -. Anche di fronte alla grave emergenza umanitaria con migliaia di persone al confine di Edirne, dove secondo le stime il 40% sono donne e bambini, gli Stati Europei non possono comportarsi come se la cosa non li riguardasse. Non si gioca con la vita dei bambini”. Save the Children ricorda che nelle isole greche “i bambini, vivono in condizioni disumane, dormendo anche all’aperto nei rigori invernali e sono esposti a rischi per la salute e a violenze e stanno  pagando un prezzo altissimo”.

Cartoline da Lesbo, un inferno dimenticato. Una vergogna dell’Europa. 

 

 

 

 

 

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