Esecuzioni sommarie, processi farsa, mazzette e lager. E questa sarebbe la "nuova" Libia?
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Esecuzioni sommarie, processi farsa, mazzette e lager. E questa sarebbe la "nuova" Libia?

Amnesty International ha dichiarato quest’oggi che nella Libia orientale i tribunali militari hanno condannato centinaia di civili in seguito a processi militari segreti profondamente iniqui

Guerra civile in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

27 Aprile 2021 - 14.53


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E questa sarebbe la “nuova Libia”. Lager, corti speciali, condanne a morte comminate al termine di processi farsa. 

Amnesty International ha dichiarato quest’oggi che nella Libia orientale i tribunali militari hanno condannato centinaia di civili in seguito a processi militari segreti profondamente iniqui, con l’obiettivo di punire veri o presunti oppositori e critici delle Forze armate arabe libiche (Laaf) e dei gruppi armati affiliati. Nel periodo tra il 2018 e il 2021, sono state almeno 22 le condanne a morte, mentre centinaia di altre persone sono state condannate alla reclusione. Molti imputati hanno subìto torture e altri maltrattamenti durante il periodo trascorso in regime di detenzione preventiva.

Tra i civili processati dai tribunali militari nella roccaforte delle Laaf nell’est della Libia figurano due persone colpite esclusivamente per la propria attività giornalistica, un gruppo che ha partecipato alle manifestazioni pacifiche e decine di persone che hanno difeso i diritti umani o hanno condiviso sui social le critiche alle Laaf o ad altri gruppi armati affiliati.

Gli ex detenuti che hanno parlato con Amnesty International hanno raccontato in dettaglio una serie di violazioni: sono stati rapiti e tenuti prigionieri fino a tre anni prima di essere deferiti alla giustizia militare, sono stati tenuti in regime di incommunicado fino a 20 mesi in circostanze simili a quelle di una sparizione forzata, sono stati sottoposti a percosse, minacciati e sottoposti a simulazioni di annegamento. Alcuni hanno detto di essere stati costretti a firmare delle “confessioni” per reati che non avevano commesso.

“Il processo di civili da parte di tribunali militari, iniquo per natura, non rispetta gli standard internazionali e regionali. Nella Libia orientale, questi procedimenti avvengono in segreto e a volte in assenza di avvocati e imputati, pregiudicando qualsiasi apparenza di giustizia. Il ricorso a tribunali militari per i civili è un’evidente cortina di fumo attraverso la quale le Laaf e i gruppi armati affiliati esercitano il proprio potere per punire gli oppositori e per diffondere un clima di paura”, dichiara Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Il Governo di unità nazionale deve immediatamente mettere fine ai processi di civili celebrati nei tribunali militari e ordinare delle indagini sulle torture e sugli altri reati previsti dal diritto internazionale commessi dai gruppi armati, ha aggiunto Diana Eltahawy.

Secondo il diritto internazionale, il ricorso ai tribunali militari deve limitarsi ai procedimenti nei confronti del personale militare per le violazioni della disciplina delle forze armate. L’uso dei tribunali militari per processare i civili pone diversi problemi perché accusa e giudici sono in servizio presso le forze militari e sono soggetti alla loro gerarchia e dunque mancano di indipendenza e imparzialità.

Tribunali speciali

Nel corso dei colloqui con 11 persone, tra cui ex imputati, difensori dei diritti umani e avvocati, Amnesty International ha riscontrato che le persone che hanno subìto un processo militare sono state trattenute illegalmente per mesi o persino anni, sono state torturate e soggette a procedimenti profondamente iniqui.

Un uomo condannato da un tribunale militare nel 2020 ha dichiarato che gli uomini affiliati alla “polizia militare”, un gruppo armato alleato delle Laaf, lo avevano picchiato, minacciato di stupro e gli aveva messo un cappuccio sulla testa prima di versargli dell’acqua addosso per simulare un annegamento. 

 Un processo militare per aver espresso critiche in maniera pacifica

Tra coloro che hanno affrontato dei procedimenti dinanzi a tribunali militari figura una donna che nel febbraio del 2020 era stata portata via dalla sua abitazione da un gruppo armato per un post di critica sui social nei confronti delle Laaf. Non è stato permesso né ai suoi familiari né al suo avvocato di vederla prima che, in attesa del processo, ottenesse la libertà provvisoria nell’aprile del 2021.

Inoltre, Amnesty International è venuta a conoscenza di 18 uomini arrestati per le proteste contro i gruppi armati avvenute a settembre 2020 che sono stati deferiti ai tribunali militari.   

 Processi farsa

I processi dinanzi ai tribunali militari nella Libia orientale non rispettano una serie di diritti relativi al processo equo, tra cui il diritto all’assistenza legale prima e durante il processo, il diritto a non rispondere, il diritto a un’udienza pubblica ed equa dinanzi a un tribunale imparziale e indipendente, il diritto a essere presenti durante il processo, ad avere una sentenza motivata nonché la possibilità di revisione.

Gli imputati hanno di norma raccontato di non aver potuto incontrare il proprio avvocato durante il periodo di detenzione preventiva e, a volte, durante il processo. Anche gli avvocati sono stati colpiti. Secondo Libyan crimes watch, gruppo libico impegnato nella difesa dei diritti umani, nel mese di marzo del 2020, due avvocati sono stati arrestati e detenuti per molti giorni a causa di alcune denunce nei loro confronti fatte da Slim al-Fergani, presidente del tribunale militare permanente a Bengasi. Secondo una delle denunce esaminata da Amnesty International, un avvocato ha accusato Slim al-Ferjani di aver proibito ai legali di esaminare i fascicoli o di presentare una difesa in tribunale.

A maggio del 2020, un tribunale militare ha condannato il giornalista Ismail Bouzreeba Al-Zway a 15 anni di detenzione, perché accusato di appoggiare il terrorismo. Amnesty International ritiene che sia stato punito per i contenuti trovati sul suo telefono, tra cui dei messaggi di critica alle Laaf e delle comunicazioni con stampa straniera. Non gli è stato permesso di mettersi in comunicazione con la sua famiglia e con il suo avvocato durante l’intero periodo di detenzione preventiva ed il processo è avvenuto in sua assenza.

In molti casi, fino al processo agli imputati non venivano comunicate con esattezza le accuse nei loro confronti, le udienze non erano pubbliche e non veniva dato loro accesso ai fascicoli o alle prove contro di loro o, una volta condannati, alle sentenze motivate.

Inoltre, le sentenze emesse da un tribunale militare possono essere appellate esclusivamente dinanzi a tribunali militari di grado superiore.

Sia la procura militare che i giudici mancano di indipendenza e imparzialità, essendo associati alle Laaf o ai gruppi armati alleati. A esempio, Faraj AlSoussa’a, attuale capo della procura militare nella Libia orientale rappresenta anche le Laaf nei colloqui della commissione militare libica (5+5) sotto l’egida dell’Onu, mentre Khairi al-Sabri a capo dell’Autorità militare giudiziaria generale, in passato ha guidato l’intelligence militare sotto il controllo delle Laaf. A sua volta, il giudice del tribunale militare permanente a Bengasi è subordinato alla direzione dell’Autorità militare giudiziaria generale.

Pena di morte

Secondo le dichiarazioni della Unsmil (la Missione di sostegno in Libia delle Nazioni Unite) e delle Laaf, tra il 2018 e il 2020, i tribunali militari hanno condannato a morte almeno 22 persone, in seguito a processi iniqui. Secondo le organizzazioni libiche per i diritti umani, sono almeno 31 le condanne a morte comminate.

Amnesty International è contraria al ricorso alla pena di morte in qualsiasi circostanza. Secondo il diritto internazionale, i processi per i reati punibili con la pena di morte devono rispettare tutti i principi relativi a un processo equo e le esecuzioni a seguito di processi iniqui violano il diritto alla vita.

“Chiediamo al Governo libico di unità nazionale di annullare tutte le condanne e le sentenze riguardanti civili da parte di tribunali militari. Tutte le persone detenute per aver esercitato pacificamente i propri diritti umani devono essere immediatamente rilasciate e coloro che sono detenuti legalmente dovrebbero ricevere le necessarie tutele contro le torture e avere accesso alle loro famiglie e ai loro avvocati. I processi per tutti i civili accusati di reati riconosciuti a livello internazionale devono essere equi, non prevedere il ricorso alla pena di morte e devono essere celebrati dinanzi a tribunali civili, ha aggiunto Diana Eltahawy. 

 Pesanti conseguenze per i civili condannati

I civili scarcerati dopo aver scontato le pene hanno riferito che questi procedimenti nei loro confronti hanno danneggiato le loro vite, anche le loro prospettive lavorative future. Sulle loro teste incombe la paura di ulteriori arresti.

Ibrahim el-Wegli, un medico che lavorava in un ospedale pubblico a Bengasi ha detto ad Amnesty International che dopo la sua scarcerazione il suo contratto di lavoro pubblico era stato invalidato a causa della sentenza a lui sfavorevole, emessa dal tribunale militare.

Inoltre, due uomini condannati dai tribunali militari hanno riferito ad Amnesty International che dopo il loro rilascio, hanno ricevuto costanti minacce verbali di ulteriori arresti e di sentenze più dure da parte di persone affiliate alla “polizia militare”, il che li ha spinti a fuggire dalla Libia.

 Motivazioni legali dubbie

Nel 2017, i membri della Camera dei rappresentanti, l’ultimo parlamento libico eletto, hanno approvato la legge n. 4/2017 che sanciva la giurisdizione dei tribunali militari sui civili accusati di “terrorismo” e di reati commessi nelle “zone militari”. In quel momento, il paese era diviso tra due organismi contrapposti e in conflitto: la camera dei rappresentanti di Tobruk, alleata con le Laaf, che avevano il controllo della maggior parte dell’est della Libia, e il Governo di accordo nazionale (Gna) con sede a Tripoli.

A novembre del 2018, un portavoce delle Laaf ha dichiarato che gli emendamenti del 2017 hanno fornito una base giuridica per i processi nei confronti delle persone accusate di “terrorismo” dinanzi ai tribunali militari.

Tuttavia, nel 2020, l’allora ministro della Giustizia del Gna ha dichiarato che la legge approvata dalla Camera dei rappresentanti non era in vigore e ha affermato che solo i tribunali civili hanno giurisdizione sui civili.

L’attuale Governo di unità nazionale deve ancora commentare pubblicamente la validità degli emendamenti alle leggi militari del 2017 o il processo di civili da parte dei tribunali militari.

Il Forum del dialogo politico libico ha portato all’unificazione nominale delle istituzioni libiche e del Governo di unità nazionale proclamato dalla Camera dei rappresentanti il 10 marzo 2021. In pratica, le Laaf e i gruppi armati alleati continuano a esercitare un controllo effettivo sull’est della Libia.

A suon di mazzette

Scrive su Internazionale il regista Khalifa Abo Kraisse: “
Stephanie Williams, rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Libia, ha selezionato 75 libici dopo un farsesco giro di colloqui online e ha stabilito che queste 75 persone avrebbero rappresentato il popolo libico e deciso il futuro del paese votando per un nuovo governo di unità nazionale. Con una certa sorpresa – anche per lei, immagino – Abdul Hamid Dbeibah è stato eletto a Ginevra insieme a un consiglio presidenziale composto da tre uomini, dopo che la sua lista aveva vinto contro i rivali favoriti per 39 voti contro 34. 

Secondo un’inchiesta delle Nazioni Unite arrivate all’Afp, il primo ministro libico ad interim avrebbe vinto le elezioni a suon di mazzette: alcuni dei suoi sostenitori avrebbero offerto tra i 150mila e i 200mila dollari per comprare voti. I delegati sarebbero stati avvicinati in un hotel a Tunisi durante l’ultimo appuntamento del Forum per il dialogo politico in Libia, guidato dall’Onu. Pare che alcuni delegati abbiano fatto una scenata nell’atrio dell’albergo dopo aver scoperto che i loro compensi erano più bassi di quelli di altri. Dbeibah ha negato le accuse definendole notizie false finalizzate a far deragliare il fragile processo politico. 

Nonostante Stephanie Williams abbia chiesto di indagare sull’incidente e molti partecipanti al forum abbiano esortato a pubblicare il resoconto completo dell’indagine, alcune parti del rapporto del tavolo di esperti dell’Onu sono state omesse. Le Nazioni Unite hanno evitato di pubblicare la parte relativa alle accuse di corruzione, inserendola nell’“allegato riservato” e dichiarando di non “avere in programma altri aggiornamenti sull’argomento…”.

 E questa sarebbe la “nuova Libia”? 

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