Sparati e mazziati. La Libia ci mitraglia con le motovedette regalate dall'Italia
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Sparati e mazziati. La Libia ci mitraglia con le motovedette regalate dall'Italia

Tra vedette fornite alle milizie libiche, improvvide ZPP e una farlocca zona SAR, abbiamo ceduto metà Mediterraneo Centrale alla #Libia ad "alto rischio" e l'altra metà alla Turchia

Motovedetta della LIbia
Motovedetta della LIbia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

8 Maggio 2021 - 11.02


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Alla faccia del Paese amico! Hanno sparato per uccidere. Ci sparano e noi li finanziamo. E gli regaliamo pure le motovedette da dove ci bersagliano.  Incredibile ma vero. Come vere, ma non incredibili visto chi le pronuncia, sono le parole del ministro degli Esteri Luigi Di Maio: “Al di là degli sconfinamenti dei nostri pescherecci, è inaccettabile che la guardia costiera libica spari segnali di avvertimento ad altezza uomo”. Così il titolare della Farnesina, commentando a L’Aria che tira su La 7 l’incidente che ha visto coinvolti l’altro  ieri alcuni pescherecci italiani e una motovedetta libica. “Adesso dobbiamo dirci la verità, quelle acque dove vanno questi pescherecci sono acque pericolose e sono proibite da noi da 10 anni”, ha aggiunto Di Maio, sottolineando che “dall’altra parte del mare c’è un Paese che è ancora in un processo di pace”. “Ringrazio la Marina militare, lo Stato Maggiore della Difesa ed il ministro Guerini, con il quale ieri  (giovedì, ndr) sono stato al telefono tutto il pomeriggio per capire le condizioni del comandante”, ha tenuto a precisare Di Maio, aggiungendo che “se c’è una minaccia alle nostre imbarcazioni parte l’elicottero della Marina però questo non vuol dire che si può andare a pescare lì”.
Siamo al più ridicolo cerchiobottismo: hanno fatto male a sparare, e ci mancherebbe altro, ma “questo non vuol dire che si può andare a pescare lì”. In altri termini: ve la siete voluta.
Sergio Scandura, firma di punta di Radio Radicale: Tra vedette fornite alle milizie libiche, improvvide ZPP e una farlocca zona SAR, abbiamo ceduto metà Mediterraneo Centrale alla #Libia ad “alto rischio” (cit. governo italiano) e l’altra metà alla #Turchia che ha fatto accordi marittimi coi libici. Un Twitter che è una sentenza. Assolutamente rispondente ai fatti

Sparati e mazziati

“Sono vivo”. Sono state queste le prime parole di Giuseppe Giacalone, comandante del peschereccio ‘Aliseo’, al suo arrivo al porto di Mazara del Vallo. Visibilmente scosso e con una fasciatura bianca sulla testa, dove è stato colpito da alcune schegge del finestrino della sua barca dopo l’attacco della Guardia costiera libica, ha incontrato il vescovo Domenico Mogavero e poi abbracciato i suoi familiari. Subito dopo il comandante ha lasciato il porto senza incontrare i giornalisti.

Ieri il figlio Alessandro, che ha parlato con il padre via radio, ha raccontato che i pescatori sul peschereccio “sono stati inseguiti per due ore” e che “alla motovedetta sparavano ad altezza d’uomo”. Appena sceso dall’imbarcazione un lungo abbraccio con i suoi familiari. “Il comandante Giacalone è molto giù di morale, d’altro canto è stato sfiorato da un proiettile e psicologicamente la situazione è grave. E’ una vicenda che sta lasciando il segno, speriamo che si riprendano al più presto e che abbiano il coraggio di tornare in mare”, ha detto monsignor Domenico Mogavero.

Oltre ogni limite

La nave della cosiddetta Guardia costiera libica che giovedì ha sparato al largo della Libia contro i due pescherecci italiani Artemide e Aliseo, ferendo il comandante di quest’ultimo, era stata donata dall’Italia alla Libia. La donazione era avvenuta nel 2018 nell’ambito di un piano di aiuti e legittimazione politica in favore delle milizie che facevano riferimento all’allora governo libico di Fayez al-Serraj, affinché intercettassero le navi dei migranti che partivano dalle coste libiche per raggiungere l’Italia. Come si vede dalle foto dell’incidente pubblicate dalla Marina militare italiana, la nave della Guardia costiera libica mostra il numero 660 dipinto sulla fiancata. Il numero rende possibile identificarla come la “Ubari-660”, una delle due navi donate del 2018 dal governo guidato da Paolo Gentiloni, il cui ministro dell’Interno era Marco Minniti. L’accordo fra il governo di Gentiloni e le milizie legate a Serraj, appoggiato anche dall’Unione Europea, è da allora molto criticato, dato che la Guardia costiera libica è composta da milizie armate che compiono sistematiche violazioni dei diritti umani nei confronti dei migranti. Le persone intercettate in acque libiche sono inoltre riportate in Libia in centri di detenzione gestiti da trafficanti di essere umani, a volte in combutta con le stesse milizie. Decine di inchieste giornalistiche e delle organizzazioni internazionali hanno dimostrato che nei centri di detenzione i migranti vengono sistematicamente torturati, picchiati, stuprati, schiavizzati e ridotti alla fame. Non sono disponibili dati certi su quante persone vengano respinte ogni mese dalla cosiddetta Guardia Costiera libica, ma si pensa siano diverse centinaia.

L’accordo prevedeva la consegna  di dieci ex navi della Guardia costiera italiana, consegnate solo nel 2019, e di due ex motovedette classe Corrubia dismesse dalla Guardia di Finanza italiana. Una di queste ultime due era la “660-Ubari”, arrivata a Tripoli  nel novembre del 2018, e l’altra era la “Fezzan-658”, entrambe utilizzate in questi tre anni per pattugliare la zona SAR (e quindi per facilitare le operazioni per riportare i migranti in Libia).

La nave “660-Ubari” era finita di recente al centro di un altro caso dopo che nell’ottobre del 2020 il ministero della Difesa della Turchia aveva diffuso su Twitter alcune immagini della nave utilizzata da personale turco nel corso di un addestramento della Guardia costiera libica: nel corso del 2020 la Turchia aveva infatti intensificato la sua presenza in Libia a sostegno dell’allora  primo ministro  al -Serraj e secondo diverse fonti anche assunto il controllo delle acque libiche.

I pescherecci italiani Aliseo e Artemide colpiti dai colpi esplosi dalla nave “660-Ubari’ erano partiti da Mazara del Vallo, in Sicilia, e al momento dell’incidente stavano navigando circa 30 miglia al largo delle acque di Misurata, nella parte occidentale della Libia. Un portavoce della Marina libica, Masoud Ibrahim Abdelsamad, ha detto all’Ansa  che nelle acque territoriali libiche stavano navigando «quattro o cinque pescherecci senza alcun permesso da parte del governo libico», aggiungendo che erano stati esplosi solo colpi di avvertimento in aria. Il comandante dell’Aliseo, Giuseppe Giacalone, ha smentito questa ricostruzione, spiegando che gli spari erano rivolti verso i pescherecci.

L’Europa fa comunicati, gli altri comandano

Le ambasciate di Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti in Libia hanno sollecitato le autorità e le istituzioni in vista delle elezioni previste per il prossimo 24 dicembre. In una nota diffusa nelle ultime ore le ambasciate richiamano la risoluzione 2570 del Consiglio di Sicurezza Onu, che fa appello alle autorità e alle istituzioni libiche, compreso il governo di unità nazionale e la Camera dei Rappresentanti, a facilitare le elezioni del 24 dicembre 2021 e a concordare la base costituzionale e legale per il voto entro il primo luglio. “Oltre alle disposizioni a livello politico e di sicurezza, saranno cruciali i preparativi a livello tecnico e logistico”, si legge nella nota in cui le ambasciate affermano di ritenere che “non sia il momento di cambiamenti dirompenti negli organismi competenti”.

Ma l’Alto consiglio di stato libico bolla come una “interferenza negli affari interni della Libia” il comunicato delle ambasciate di Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Usa. E’ quanto si legge in una nota rilanciata dal Libya Observer, in cui dall’Alto consiglio di stato arriva “grande stupore” per il riferimento nel testo al fatto che “il momento attuale non è adeguato a cambiamenti nelle posizioni che hanno a che fare con l’organizzazione delle elezioni in Libia”. 

“La violazione della sovranità libica non è solo legata alla presenza di mercenari stranieri sul terreno, ma anche ai tentativi di diktat politici esterni che sono categoricamente respinti” si legge inoltre nella nota. L’Alto consiglio di Stato afferma “la necessità di svolgere le elezioni secondo i tempi stabiliti”, ovvero il prossimo 24 dicembre, “su basi costituzionali solide” e “ribadisce l’indipendenza della decisione libica”. Tripoli chiede inoltre agli “ambasciatori dei governi stranieri di non andare oltre le loro prerogative, rispettare le norme diplomatiche e le leggi dello Stato ospitante”.

Globalist ha documentato con articoli e interviste questa guerra di mercenari al soldo di Russia, Turchia, Emirati Arabi Unit e, più defilati, Arabia Saudita e Qatar. L’Lna di Haftar sembra continui a reclutare mercenari sudanesi grazie ai fondi elargiti dagli Emirati Arabi Uniti.

Al servizio del “Sultano”

Quanto ad Erdogan, il presidente turco per la sua campagna libica fa leva sulla compagnia militare privata Sadat, etichettata da alcuni come “l’esercito ombra di Erdogan” in Libia, dove è attiva già dal 2012 (stesso anno in cui è stata fondata). Si tratta di gruppi di contractor formati da ex militari, con la benedizione dei servizi segreti turchi (Mit). Alla testa di Sadat è Adnan Tanriverdi, comandante in pensione dell’esercito, che ha specificato che la compagnia “fornisce sostegno e addestramento militare in 22 Paesi del mondo islamico e dell’Asia Centrale”.  Sadat è stata impegnata in operazioni spesso clandestine, come l’addestramento delle milizie siriane da opporre al regime di Bashar al-Assad. L’intervento di Sadat nei Paesi coinvolti nelle “primavere arabe” è servito a Erdogan per spingere nell’orbita turca realtà in profondo cambiamento, come appunto quella libica, molto spesso attraverso la raccolta di informazioni e interventi diretti circoscritti. La Turchia per avere la meglio sul campo in Libia si affida anche ai mercenari siriani. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani negli ultimi sei mesi Ankara ha portato sul fronte a Tripoli 9.600 mercenari e altri 3.300 li sta addestrando nei campi siriani, pronti a partire. Tra le reclute, segnala l’Osservatorio, vi sono circa 180 minori di età compresa tra 16 e 18 anni. 

Dal maggio 2019, in coincidenza non casuale con il coinvolgimento principalmente di Turchia e Russia nel conflitto, sono arrivati in Libia mercenari dal Ciad e alcuni ribelli del Darfur. Poi, non sono mancate le forze di supporto sudanesi, i combattenti libici Toubou e ciadiani nel sud per difendere campi e piste di atterraggio e combattenti russi per lavori più tecnici. In particolare, la Turchia aveva iniziato a rischierare i terroristi mercenari anti-Assad dalla Siria, come truppe di terra già nel 2019, subito dopo la firma degli accordi marittimi e militari intercorsi con il Gna.  La maggior parte di questi combattenti apparteneva all’esercito nazionale siriano “reclutato” da Erdogan per affrontare il governo di Assad sostenuto da Mosca. La maggioranza proveniva da due formazioni: la Brigata Sultan Murad (composta in parte da turkmeni dell’area di Aleppo e autoproclamata come un gruppo “islamista”) e la Brigata al-Sham (principalmente da Idlib e designata come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti). Molti altri provenivano dalla Brigata al-Mu’tasim (Aleppo) e da Jabhat al-Nusra (una branca di al-Qaeda). Per la maggior parte, questi gruppi sono ben addestrati ed esperti nella cooperazione con il supporto al combattimento con le forze armate turche

Secondo il Pentagono, la Turchia avrebbe pagato e offerto la cittadinanza a migliaia di mercenari siriani per combattere al fianco delle milizie libiche alleate del Gna

Una conferma sul ruolo svolto dai mercenari al servizio del “Sultano” di Ankara, viene da un recente report dell’organizzazione per i diritti umani “Syrians for Truth and Justice” (Stj) .

La Stj è riuscita a mettersi in contatto con un testimone che lavora al confine turco-siriano di Jarabulus e che ha testimoniato come il Ministero della Difesa turco abbia incaricato alcune compagnie di sicurezza privata, tra cui Sadat ed Abna al-

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