Viaggio nell'Erdoganistan, la più grande prigione per giornalisti al mondo
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Viaggio nell'Erdoganistan, la più grande prigione per giornalisti al mondo

In galera ne ha messi oltre 180, di giornalisti.  Per alcuni ha gettato le chiavi, facendoli condannare all’ergastolo o a trent’anni. L’ultimo, in ordine di tempo ma non di pena comminatagli,  è Can Dundar

Il presidente Erdogan
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

23 Dicembre 2020 - 15.04


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In galera ne ha messi oltre 180, di giornalisti.  Per alcuni ha gettato le chiavi, facendoli condannare all’ergastolo o a trent’anni. L’ultimo, in ordine di tempo ma non di pena comminatagli, è Can Dundar, che il tribunale di Istanbul ha condannato ieri  a più di 27 anni di carcere con l’accusa di aiutare un gruppo terroristico e di spionaggio.  Quanto ai giornali scomodi, nessun problema: c’è sempre qualche amico imprenditore che li può acquistare. E’ la stampa, bellezza. La stampa nella Turchia di Recep Tayyp Erdogan. Un anno fa la holding del magnate turco Aydin Dogan ha concluso un accordo per la vendita di alcuni tra i principali media di opposizione in Turchia, tra cui Hurriyet e la Cnn turca, a un gruppo di imprenditori vicini ad Erdogan per 1,25 miliardi di dollari. La notizia viene riportata dal sito indipendente T24. Tra i media oggetto della cessione, i quotidiani laici Hurriyet e Posta, tra i più venduti nel Paese, quello sportivo Fanatik, anch’esso molto diffuso, nonché le tv Cnn turca e Kanal D. A guidare la cordata di acquirenti è la holding che fa capo a Yildirim Demiroren, ex proprietario della squadra di calcio del Besiktas e attuale presidente della Federazione calcistica turca, che nel 2011 aveva già assunto il controllo dei quotidiani di opposizione Milliyet e Vatan, che hanno da allora cambiato la propria linea editoriale. 

Normalizzati

Secondo il rapporto Turkey-Media Ownership Monitor, attualmente il 71% circa dei media del paese appartengono a 4 società vicine al governo: Turkuvaz/Kalyon, Doğuş e Ciner, oltre alla già citata Demirören. Questi ultimi, assieme ai gruppi Albayrak e İhlas, sono proprietari delle 40 testate più diffuse in Turchia e hanno investimenti in diversi altri settori, dall’edilizia all’estrazione mineraria e petrolifera, dalla finanza al turismo e alle telecomunicazioni. La Fox TV turca, appartenente alla Walt Disney Company, è l’unica tra le 10 reti televisive principali a restare fuori da questo sistema. Secondo il Digital News Report (2020), la rete è la più seguita per i programmi di informazione, oltre a essere ritenuta la più affidabile. Il dato è indicativo della richiesta di notizie alternative, dal momento che la popolazione del paese si informa per oltre il 70% dalla televisione.  Questa richiesta traspare anche dal frequente utilizzo dei media online – inclusi i social media – che in contesto urbano supera l’80%, secondo il Digital News Report, anche se solo il 55% degli utenti si fida dell’informazione che riceve.

La più grande prigione per giornalisti

Un terzo dei giornalisti, operatori dei media e conduttori televisivi imprigionati nel mondo si trova nelle prigioni turche. Alcuni sono rimasti in prigione per mesi e nella maggioranza dei casi senza processo. Giornalisti di ogni ramo sono presi di mira in una repressione senza precedenti, che colpisce tutti i mezzi di comunicazione dell’opposizione. Lo spazio per il dissenso è sempre più piccolo e chi lo valica lo fa a un costo incommensurabile. L’erosione della libertà di stampa non è una cosa nuova in Turchia. Nel 2013, quando scoppiarono a Istanbul le grandi manifestazioni di Gezi Park, un importante canale trasmise un documentario sui pinguini anziché un servizio giornalistico. Molti giornalisti hanno perso il lavoro per aver deluso le autorità, le testate critiche nei confronti del governo sono state rifondate e la loro linea editoriale modificata e resa più compiacente. Gli editorialisti e i talk show più popolari contengono solo leggere critiche, non punti di vista realmente diversi, per paura di essere arrestati per aver criticato le autorità. Agli inizi di marzo, trentacinque premi Nobel hanno rivolto un apello al presidente turco, affinché liberi i giornalisti e gli scrittori incarcerati. “Chiediamo a Recep Tayyip Erdogan un rapido ritorno allo Stato di diritto e ad una totale libertà di parola e di espressione”.. La lettera è stata pubblicata sul quotidiano francese Le Monde. Tra i firmatari, anche i premi Nobel per la Letteratura Svetlana Alexievitch, Mario Vargas Llosa e Naipaul, e il Premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz..

Sotto la scure del presidente turco non sono finiti solo i giornalisti, ma anche Internet, che con i suoi molteplici pregi e difetti è oggigiorno teatro fondamentale per la manifestazione delle libertà di espressione e comunicazione. Facebook, Twitter e affini sono stati più volte bloccati da Erdogan in occasione di eventi importanti. Nei giorni scorsi, il New York Times ha pubblicato una lettera di Mehmet Altan dalla prigione di Silivri, in cui il giornalista dà voce alla disperazione sua e di 50mila persone arrestate dopo il fallito golpe e la successiva campagna epurativa, che ha visto anche il licenziamento di oltre 150mila dipendenti pubblici: “Passeremo il resto della nostra vita in una cella di tre metri per tre metri. Verremo portati fuori a vedere la luce del sole solo per una ora al giorno. Non avremo la grazia e moriremo in prigione. Sto andando all’inferno. Cammino nel buio come un dio che ha scritto il suo stesso destino”. Nelle stesse ore la tv turca di Stato Trt metteva al bando 208 canzoni, di cui 142 in turco e 66 in curdo, perché “inappropriate” o per i contenuti politici. Vietati i pezzi di Karapete, Xaco, Mihemed Sexo, curdi, ma anche di pop star come Sila, Demet Akalin, Bengu e Koray Avci. Anche la libertà in note non aggrada al “Sultano di Ankara”. 

Il Covid contro la libertà di stampa

La pandemia da Covid-19 ha aggiunto un ulteriore livello alla repressione della libertà di stampa in Turchia, dove secondo Amnesty International, con la scusa di combattere la disinformazione, vengono presi di mira giornalisti solo per aver scritto articoli o postato tweet sulla crisi sanitaria.

“Dal tentato colpo di stato del 2016 i giornalisti turchi rischiano ogni giorno arresti e processi. La pandemia ha dato alle autorità un ulteriore pretesto per prenderli di mira“, rimarca Milen Buyum, campaigner di Amnesty International sulla Turchia.

“I giornalisti temono costantemente che prima o poi verranno finiranno per aggiungersi ai tantissimi colleghi in carcere da mesi senza processo o che saranno processati sulla base delle vaghe e generiche norme antiterrorismo o di altre leggi che limitano il diritto alla libertà d’espressione“, aggiunge Buyum.

A partire dal luglio 2016 sono stati chiusi almeno 180 organi d’informazione e circa 2500 giornalisti e altri operatori dell’informazione hanno perso il lavoro. Nell’ultimo mese   almeno 27 tra portali e blog sono stati bloccati e, sempre di recente, giornalisti sono stati arrestati e accusati di terrorismo a causa dei contenuti dei loro articoli o dei loro post.

La detenzione preventiva per lunghi periodi di tempo è ormai la norma. Le indagini nei confronti dei giornalisti si basano su prove spesso fabbricate, a volte assurde o del tutto infondate.

A marzo sei giornalisti sono stati arrestati per aver scritto a proposito di un fatto già ampiamente noto: la morte di due presunti agenti dei servizi di sicurezza turchi in Libia. Alla fine di aprile gli avvocati hanno appreso da un articolo di stampa, e non da fonti giudiziarie, che i sei giornalisti sono stati formalmente incriminati e rischiano fino a 19 anni di carcere.

Ahmet Altan, noto scrittore e già direttore di quotidiani, è stato arrestato per la prima volta nel settembre 2016 con l’accusa di aver “inviato messaggi subliminali”, durante un dibattito televisivo, agli organizzatori del tentato colpo di stato. Da allora è stato condannato, prosciolto, processato con un capo d’accusa diverso, condannato, rilasciato in attesa dell’appello e ulteriormente arrestato. Come numerosissimi altri scrittori, giornalisti ed esponenti della società civile, Altan è in carcere semplicemente per aver espresso opinioni che non piacciono alle autorità.

L’ex direttore di Halk Tv, Hakan Aygün, è in carcere dal 4 aprile per aver criticato su Facebook e Twitter la decisione del presidente turco Erdogan  di aver diffuso le coordinate di un conto bancario sul quale il pubblico avrebbe potuto fare donazioni per contribuire al contrasto alla pandemia. Hakan è accusato di “incitamento all’inimicizia e all’odio” e di “offesa alla fede religiosa di una parte della società”.  La prima udienza del processo a suo carico è prevista il 6 maggio.

Il presentatore di Fox Tv Fatih Portakal è stato incriminato per i reati di “insulto al presidente” e “danno deliberato alla reputazione” delle banche dopo che il 6 aprile aveva paragonato su Twitter l’appello a donare per contrastare il Covid-19 alle tasse straordinarie imposte durante la guerra d’indipendenza successiva alla Prima guerra mondiale.

Tre produttori del programma condotto da Portakal sono sotto indagine per violazione dell’articolo 8/1b della Legge sull’istituzione dei canali radiofonici e televisivi, relativo all’incitamento dall’inimicizia e all’odio durante le trasmissioni.

Il 18 marzo la polizia ha arrestato İsmet Çiğit, direttore del’edizione online del quotidiano SES Kocaeli, dopo la pubblicazione di un articolo sulla morte di due pazienti ricoverati per Covid-19. Il giorno dopo Çiğit è stato rilasciato e al suo posto è stato arrestato il direttore del quotidiano, Güngör Aslan, a sua volta rilasciato il giorno successivo. Entrambi sono stati interrogati circa le loro fonti all’interno dell’ospedale e sono stati ammoniti a non occuparsi ulteriormente della vicenda.

Il 31 marzo è stata convocata per interrogatori la giornalista e difensora dei diritti umani Nurcan Baysal, che aveva diffuso un articolo sull’inadeguatezza delle misure adottate per contrastare la diffusione della pandemia nelle prigioni di Diyarbakır.

 L’organizzazione Reporters sans frontieres pone la Turchia al 157esimo posto su 180, nell’indice di libertà di stampa.

Giornalisti esclusi dai provvedimenti di decongestionamento

Il 13 aprile il parlamento turco ha approvato una legge che prevede il rilascio anticipato e con la condizionale di circa 90.000 detenuti.

Il provvedimento non ha riguardato i prigionieri in attesa di processo o condannati sulla base delle leggi antiterrorismo per reati contro lo stato, tra i quali numerosissimi giornalisti che continueranno a languire in carceri sovraffollate e prive di igiene.

La Turchia ha 385 prigioni, i detenuti sono 286 mila e il sovraffollamento è di oltre il 150%. Le testimonianze e le denunce che giungono da avvocati, organizzazione dei diritti umani e dai familiari dei detenuti sono raccapriccianti

“In Turchia la negazione e la violazione dello stato di diritto e dei diritti umani è purtroppo sistematica ormai da tempo – rimarcava in una intervista a Repubblica Giuliano Pisapia, oggi europarlamentare, già sindaco di Milano –  Negli anni ’80, da giovane avvocato ho assistito a Istanbul a processi contro deputati accusati, e condannati, solo per aver parlato in curdo in Parlamento. E da allora le cose sono cambiate solo in peggio, la repressione si è estesa: linguistica, etnica, religiosa, politica, di orientamento sessuale… Da parlamentare europeo mi chiedo come sia possibile che un Paese che è sull’uscio dell’Europa calpesti i valori più elementari del nostro comune vivere civile e non sia sottoposto a pesanti sanzioni, come sta accadendo al Venezuela o alla Bielorussia. E mi viene un dubbio atroce: è il ricatto sui migranti l’arma che permette l’impunità a un Paese guerrafondaio che ha bombardato la Siria e ha fomentato la guerra in Libia. O, e spero che non sia così, anche l’Europa e gli Stati democratici sono deboli con i forti e forti con i deboli?”.

Caro Giuliano, togli pure il punto interrogativo. L’Europa è ai piedi del Sultano di Ankara.

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