Gli ostacoli all'istruzione nell'Africa rurale
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Gli ostacoli all'istruzione nell'Africa rurale

Distanza sociale e culturale ma anche fisica. Raggiungere le scuole per i giovani studenti dei Paesi poveri rappresenta un grave problema ed è spesso un pericolo.<br>

Gli ostacoli all'istruzione nell'Africa rurale
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11 Luglio 2012 - 18.56


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di Federico Tulli

Aminata ha smesso di studiare a 7 anni. Mentre andava a scuola, una costruzione fatiscente ricavata da un ovile che dista due ore di cammino da casa sua, è stata aggredita da un uomo. È riuscita a scappare perché le compagne che erano con lei hanno attirato l’attenzione di alcuni contadini che lavoravano nelle vicinanze. Aminata vive in Africa, nel Senegal, il nome è di fantasia, l’aggressione no. Per questo i genitori non hanno più voluto che andasse a scuola. Nei Paesi poveri, la violenza da parte di sconosciuti è uno dei pericoli maggiori che i bambini si trovano a dover affrontare mentre raggiungono i luoghi d’istruzione. Pericolo che cresce in maniera esponenziale all’aumentare della distanza da percorrere per andare a scuola. Che nel caso delle zone rurali «può essere anche di dieci chilometri e più», spiega Lavinia Gasperini, senior education officer del dipartimento Sviluppo sostenibile servizio educazione, divulgazione e comunicazione della Food and agricolture organization (Fao).

Nel 2000 a New York l'”Educazione delle popolazioni rurali” è stata indicata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite come uno dei principali Obiettivi del Millennio. Ma già nel 1990 – dichiarato dall’Onu anno internazionale dell’alfabetizzazione – in occasione della Conferenza di Jomtien (Thailandia) era stato messo in evidenza che il soddisfare i bisogni della formazione di base rappresenta l’unica opportunità che le persone hanno per divenire capaci di contribuire allo sviluppo di un Paese. «In questi 18 anni molto è stato fatto sia dalla Fao sia dalla cooperazione internazionale, compresa quella italiana sempre molto attiva, ma» osserva Gasperini «non c’è dubbio che la cattiva distribuzione della rete scolastica tra aree urbane e zone rurali rifletta ancora in pieno il livello di disuguaglianze e iniquità di un Paese». La notevole distanza dai luoghi di istruzione riguarda in pratica tutte le popolazioni che vivono di agricoltura nei Paesi poveri.

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E, se si pensa che il 70 per cento dei poveri del mondo vive nelle zone rurali, si scopre che proprio chi ne avrebbe più bisogno si ritrova con meno possibilità di studiare. Uno squilibrio, quello tra città e campagna, che affonda le sue radici nel tempo. Per l’istruzione è sempre stato così, in Sud America come in Africa, ma anche in Europa, per esempio in Kosovo, spiega la funzionaria della Fao: «Nei secoli passati le scuole erano solo in città perché vi abitavano le elite coloniali, poi, nella seconda metà del ‘900 sono rimaste in città per istruire i figli delle elite dei nuovi governi. Difficile pensare a una spinta interna verso un diverso stato delle cose perché i poveri, che sono soprattutto “rurali”, non hanno mai una rappresentanza politica che gli permetta di rivendicare i propri diritti». Quindi, come Aminata, chi nasce in una zona extraurbana ha un’elevata probabilità di dover affrontare enormi disagi per ottenere un livello di istruzione equiparabile a quello di un coetaneo “cittadino”.

«Ho visto situazioni in Colombia e Africa in cui i bambini devono camminare anche due ore per arrivare a scuola» conferma Gasperini. «In queste due ore può accadere di tutto perché spesso non ci sono strade, si possono incontrare animali feroci, a volte c’è la guerra. E chi è più esposto sono proprio le bambine, nei cui confronti sono molto frequenti le aggressioni. Problemi, questi, praticamente sconosciuti in ambiente urbano. Nonostante ciò la politica e i politici, che fanno parte della popolazione urbana, intervengono di rado spontaneamente. Gli investimenti in infrastrutture e in materiale didattico, gli incentivi agli educatori, ai maestri e ai professori sono sempre dirottati nelle zone cittadine, quelle dove c’è maggiore densità di popolazione e il consenso popolare è più immediato e determinante».

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C’è poi un altro aspetto che si aggiunge a quello delle infrastrutture carenti e che è un vero e proprio squarcio nella rete scolastica delle zone rurali. «È come se fosse una piramide con una base traballante», sottolinea Gasperini. «Nel senso che è all’asilo che si pongono le basi per il successo dei livelli di istruzione successivi, ma in queste aree dei Paesi poveri l’asilo non c’è mai. Quindi tutta una serie di competenze che si devono sviluppare quando ancora il bambino è piccolo vengono ignorate. E dopo, nel corso della crescita, è quasi inevitabile per lui un processo di apprendimento difficoltoso». Ma la rete educativa è spesso incompleta anche nei livelli successivi al primo. Una ferita, questa, particolarmente aperta in Africa.

«In questo continente» racconta ancora la funzionaria Fao «ogni 100 bambini di città che vanno alla scuola primaria solo 68 vanno a scuola nelle zone rurali. Su 100 che completano le primarie in città ce ne sono 48 che le completano nelle campagne. Inoltre, tra questi ultimi pochissimi vanno alle secondarie e quasi nessuno raggiunge l’università. Questo comporta il riprodursi continuo di una classe dominante uguale a se stessa che è sempre quella urbana. Perché i poveri non arrivano a sviluppare la conoscenza che consenta loro di stare nella società competitiva e fare quella carriera che gli permetterebbe di entrare in politica per cambiare lo stato delle cose».

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C’è infine un terzo concetto di “distanza” che acuisce il gap esistente tra il livello di scolarizzazione tra città e campagne. Cosa si studia a scuola nelle zone rurali? «Esattamente quello che si studia nei centri urbani». Risponde Gasperini «I programmi sono unificati e ovviamente, per quanto detto sino a ora, il tipo di cultura che si diffonde risponde prevalentemente ai bisogni della popolazione urbana. Che sono molto distanti da quelli di chi deve crescere in realtà essenzialmente agricole. Una famiglia rurale non vede perché privarsi dell’aiuto del figlio nei campi per mandarlo a scuola a imparare “cosa è un cinema”, quando invece sarebbe utilissimo per lui sapere come si preparano i nastri per prendere le aragoste. O come organizzare un piccolo sistema di irrigazione. Insomma», conclude Gasperini, «senza un efficace sistema di scolarizzazione universale non ci sarà mai una società democratica e partecipata».

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