Ogni giorno è il 15 Aprile
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Ogni giorno è il 15 Aprile

C'è bisogno di verità: Vittorio se la merita per quello che ci ha lasciato, per l’esempio della sua scelta, per essere stato un attivista libero. [Maria Elena Delia]

Ogni giorno è il 15 Aprile
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13 Aprile 2012 - 14.09


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di Maria Elena Delia

Ogni giorno il 15 Aprile.

La notte di confine tra il 14 e il 15 aprile del 2011, fu la notte in cui ogni cosa cambiò.

Vittorio era stato rapito il giorno prima, a Gaza, da un gruppo salafita, all’uscita della palestra in cui andava ad allenarsi. E dal momento in cui ne eravamo stati informati, il tempo si era congelato. Sprofondati in un unico eterno istante di disperazione, ma ancora sorretti dalla speranza che si potesse trattare solo di un incubo, avevamo atteso il lieto fine, quello di cui un giorno avremmo potuto sorridere con lui, magari sorseggiando un buon bicchiere di rosso, avvolti dal fumo dispettoso della sua pipa.

Quella notte, invece, cambiò ogni cosa. Fu come se una linea di demarcazione indelebile fosse stata tracciata a separare per sempre la vita che c’era stata prima, da quella che avremmo dovuto aspettarci di vivere, dopo Vittorio.

Pensai che dopo Vittorio non ci sarebbe stata più voce per Gaza, per la Palestina. Non la sua, sempre pronta a farsi eco per scuotere le orecchie pigre e colpevoli di questo occidente ignavo.

Pensai che dopo Vittorio nessuno di noi avrebbe avuto più quel punto di riferimento straordinario con cui potersi confrontare, né il migliore alleato possibile al mondo per costruire nuovi progetti a difesa dei diritti umani, sempre e ancora calpestati, dei Palestinesi. E non solo.

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Mi chiesi chi, dopo Vittorio, avrebbe potuto ispirare ancora quelle decine, centinaia di persone, che prima di imbattersi in lui nemmeno avrebbero saputo collocare correttamente su una carta geografica la Palestina e che, invece, dopo averlo trovato, avevano scelto di sapere, di capire, di agire.

Quella notte compresi il significato del termine “amputazione”. Lo compresi pienamente, realizzando fino in fondo che cosa intendano dirci gli amputati raccontandoci di quella surreale sensazione che ancora fa percepire l’arto mancante come perfettamente parte del corpo, proprio lì, dove invece c’è solo vuoto e assenza. Quella notte mi fu chiaro che così avrei vissuto, amputata.

E poi il tempo ricominciò a scorrere. E ci mise di fronte, fino a nausearci, amareggiati e increduli, alla totale assenza, indifferenza, delle istituzioni di questo Paese nei confronti di un suo cittadino, che questo Paese l’aveva onorato con la sua stessa vita e che era stato ucciso in circostanze poco chiare in un paese straniero. Nessun rappresentante di queste nostre istituzioni si presentò all’aeroporto di Fiumicino, quando la salma di Vittorio tornò in Italia. Nemmeno uno.

E poi il tempo continuò a scorrere e ci mise di fronte ad un’Atene calda e sofferente, gremita di uomini e donne provenienti da ogni parte del mondo, pronti a salire a bordo delle barche della Freedom Flotilla, nel nome di Vittorio, mossi dalla stessa spinta che lo aveva portato, tre anni prima, ad approdare a Gaza, sulle prime barche del Free Gaza Movement, in un giorno in cui si fece la Storia, in un giorno in cui la società civile riuscì a piegare e rompere l’assedio di Gaza, con la sola forza della convinzione e della determinazione.

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Ma ad Atene quelle donne e quegli uomini, che orgogliosamente indossavano la sua immagine o il suo Stay Human, furono messi di fronte ad un muro. Il muro potente e invalicabile che Israele costruì con la complicità di tutta la comunità internazionale, debole, ricattata, vergognosa, nessuno escluso. E i giorni al di qua di quella linea di demarcazione ci hanno costretto anche a dover assistere alla peggiore delle farse, al più grottesco dei teatrini, a quel processo, ancora in corso, nei confronti degli uomini accusati, rei confessi, del rapimento e dell’omicidio di Vittorio, gestito dal Tribunale Militare del governo di Hamas, a Gaza.

Un processo inutile, offensivo nei confronti della memoria di Vittorio e della sua famiglia, un processo in cui abbiamo visto susseguirsi un numero infinito di udienze, di cui quasi abbiamo perso il conto, a volte durate il tempo di un battito di ciglia, sospese per improvvise e inspiegabili assenze di testimoni o, addirittura, come nel peggiore dei romanzi gialli, per la fuga di uno dei quattro accusati.

E ogni giorno era il 15 Aprile.

E ogni giorno sarà sempre il 15 Aprile.

E ogni giorno ci chiediamo se mai ci sarà verità.

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Vittorio se la merita.

Gliela dobbiamo.

Per quello che ci ha lasciato, per l’esempio della sua scelta, per essere stato un attivista unico, libero da qualunque appartenenza di potere o di schieramento, un uomo tra gli uomini, che non aveva scelto di vivere Gaza arroccato e protetto negli appartamenti dei clan delle grosse multinazionali della cooperazione, ma immerso nella realtà quotidiana del popolo che voleva proteggere. Condividendo. Perché solo così, per Vittorio, si poteva capire davvero. E solo capendo davvero, per Vittorio, si poteva essere efficaci.

Glielo dobbiamo perché ci ha lasciato la sua forza, il suo coraggio e il suo senso della disciplina. Perché seguono le sue orme donne e uomini che, proprio oggi come domani, hanno scelto di essere lì, dove Vittorio ha lasciato il suo testimone.

Glielo dobbiamo per la sua ironia, per le risate che sapeva strappare anche nelle situazioni più improbabili e per la sua scrittura viscerale e pulsante, di cui non smetteremo mai di sentire la mancanza. Per aver ridato dignità e speranza a chi ancora crede che l’informazione non sia un prodotto da vendere, ma uno strumento sacro al servizio della verità.

E non permetteremo mai che si dimentichi. Né che la strada che ci ha indicato diventi un vicolo cieco.
E’ una promessa che onoreremo ogni giorno, perché ogni giorno sarà il 15 Aprile.

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