Nessuna guerra umanitaria per aiutare i servi bambini
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Nessuna guerra umanitaria per aiutare i servi bambini

La schiavitù è ancora una tragica realtà, ma l'occidente finge di non vedere. Il caso del Pakistan.

Nessuna guerra umanitaria per aiutare i servi bambini
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27 Gennaio 2012 - 15.14


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di Zofeen Ebrahim*

Alla fine, Jannat Bibi ha capito che il prezzo pagato per quel letto di seconda mano è stato forse troppo alto. Ora è là, smontato, tavole e materassi appoggiati alla parete del monolocale, triste monumento al volto peggiore della povertà, che aveva costretto Bibi e suo marito Ghualm Shabbir a mandare i bambini a servizio. Shan Ali, il figlio undicenne, andava a servizio da Atiya Al Hussain e Mudassar Abbas, una coppia che abitava in un quartiere elegante di Islamabad. Era da loro che Bibi aveva comprato quel letto a due piazze, prezzo pattuito 18 mila rupie (152 euro), ovvero 3500 rupie (29 euro e 50) al mese, che era la paga mensile per il lavoro che, da quel momento in poi, Ali avrebbe svolto in casa Al Hussaini.

Ali ha continuato a lavorare presso quella famiglia anche dopo che il debito era stato ripagato, fino al 5 gennaio di quest’anno, quando la polizia lo ha trovato morto, il corpo piegato in avanti e una tenda stretta intorno al collo. Suicidio, insistevano i datori di lavoro. In tutta questa faccenda, però, la polizia non ci ha visto chiaro e ha disposto l’autopsia. Ali era stato strangolato.

Durante l’inchiesta, Al Hussaini ha confessato di aver strangolato il bambino in un attacco di rabbia, perché non era stato in grado di calmare il figlio di sette mesi della coppia, che invece voleva riposare.
I datori di lavori di Ali, che sono anche i suoi assassini, sono stati arrestati, ma usciranno di galera a febbraio, dopo aver ottenuto il perdono dei genitori del ragazzo in lutto. “Siamo troppo poveri per affrontare il processo. L’avvocato ci ha detto che ci costerebbe cento – duecentomila rupie (tra 850 e i 1700 euro), denaro che non abbiamo. Viste le circostanze, ci conviene concedere il perdono alla coppia e dimenticare” ha detto al nostro giornale Rubine, la figlia più grande di Bibi. “Il denaro che la coppia ci aveva offerto per risarcimento i miei lo hanno rifiutato”.
Da quando Ali è morto, il padre, operaio a giornata, e la madre, donna delle pulizie, non sono andati al lavoro.
La SPARC, Society for the Protection of the Rights of the Child, un’ONG che si occupa dei diritti dei bambini, ha documentato 18 casi di grave violenza negli ultimi due anni. I mezzi di comunicazione hanno raccontato le storie di 13 bambini uccisi e di altri cinque gravemente feriti.
Chissà di quanti altri casi nessuno ha mai fatto parola.

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Sonia aveva dieci anni e il suo datore di lavoro la picchiava con una scarpa ogni volta che non faceva bene il suo dovere. Firdaus di anni ne aveva dodici, e ha dovuto sopportare torture e abusi sessuali prima di essere avvelenata. Usman, 14 anni, è stato torturato perché aveva dimenticato di dare da mangiare al cane di casa. E poi Laiba, sei anni – il suo padrone le ha rotto un braccio e provocato un trauma cranico, e Khalida, 14 anni, violentata e uccisa… L’elenco va avanti con altre storie, una più raccapricciante dell’altra. “Il più delle volte il datore di lavoro la passa liscia, magari perché è una persona influente o di potere” dice Zarina Jillani del dipartimento di ricerca di SPARC. “Fino a oggi nessun datore di lavoro è stato condannato. Di solito va a finire che la famiglia, spesso molto povera, accetta una somma di denaro pattuita in accordi presi fuori dall’aula del tribunale, ” va avanti Anees Jillani, avvocato della Corte Suprema pakistana e attivista per i diritti dei minori.

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Tehmina aveva dodici anni quando l’hanno spinta giù dal balcone, perché pretendeva il suo salario dopo che, da mesi, non la pagavano. La ragazza ha subito un grave danno alla spina dorsale, ed è rimasta paralizzata. Suo padre ha accettato un risarcimento, più che altro per evitare la causa ai datori di lavoro. Tehmina è morta pochi mesi dopo.

Dal momento che le denunce di abusi su minori si moltiplicano, la SPARC ha fatto pressione sul governo perché inserisca, in tempi brevi, anche il lavoro domestico tra i 35 mestieri vietati, perché rischiosi, dalla Legge sul Lavoro Minorile del 1991. Secondo la Jillani il lavoro domestico sarebbe addirittura più pericoloso di quello nelle fabbriche.

Povertà, una lunga storia di sfruttamento del più debole e mancanza di opportunità, sia lavorative che di formazione, sono tra le cause dell’aumento della brutalità nei confronti di bambini-domestici. Assumere bambini, talvolta anche più piccoli di sei anni, è di uso comune presso le famiglie facoltose, soprattutto perché in Pakistan non c’è una legge che lo vieti. Secondo l’avvocato Jillani non ci sono leggi specifiche che regolino il lavoro minorile a Islamabad come invece “in Sindh, Punjab e Khyber Pakhtunkhwa, dove però non sono previste clausole specifiche che regolino il lavoro entro le mura domestiche. “Il Pakistan ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite per i Diritti del Fanciullo, che però non viene osservata nel Paese” aggiungendo che l’International Labour Organisation ha presentato una convenzione specifica, che il Pakistan deve ancora sottoscrivere. “Il lavoro domestico, sia minorile che no, da noi non è ancora regolamentato”.

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Secondo i dati del Children’s Fund delle Nazioni Unite, nel 2003 erano otto milioni i bambini sotto i 14 anni impiegati nelle fabbriche di mattoni e di tappeti, nell’agricoltura, nella piccola industria e nelle case private. Samar Minallah, antropologo e documentarista, ritiene che per un datore di lavoro è preferibile assumere un minore, perché non fa storie su lavoro straordinario e paga più bassa o nulla, quando viene sostituita da vitto e alloggio.
La cosa peggiore è che è gente apparentemente di buona cultura che assume bambini, che si troveranno poi a “lavorare dall’alba fino a sera tardi, con ritmi che un adulto non sopporterebbe”.

Una ricerca condotta dalla Sparc nel 2004 ha dimostrato che una famiglia su quattro impiega un minore, sia a ore che a tempo pieno. “Soprattutto a Karachi, dove la percentuale sale a una famiglia su tre, seguita da Lahore, Islamabad, Quetta e Peshawar” ci dice un portavoce. L’avvocato Jillani sostiene che ciò avviene perché le famiglie si sentono in qualche modo più sicure con un bambino che lavora in casa invece di un adulto. Malleabilità, obbedienza e remissività sono tra le ragioni che rendono tale scelta preferibile. “Un bambino è più facile da controllare, lavora per poco o niente, e col crescente numero di donne che lavora fuori casa, c’è sempre più richiesta di collaboratori domestici fidati”. Ecco perché, continua l’avvocato, è necessario che questo mestiere venga inserito tra quelli da regolamentare. Senza contare che solo con la scolarizzazione obbligatoria si potrà, un giorno, ridurre lo sfruttamento.


*The Dawn Pakistan
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