Il crocifisso non è e non potrà mai essere stumento di divisione e sottomissione
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Il crocifisso non è e non potrà mai essere stumento di divisione e sottomissione

La Lega propone l’obbligo del Crocifisso in scuole, uffici, carceri e porti. Ma è un errore non solo da un punto di vista politico ma anche religioso

Il crocifisso non è e non potrà mai essere stumento di divisione e sottomissione
Crocifisso a scuola
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Rocco D'Ambrosio Modifica articolo

18 Settembre 2023 - 19.16


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Il fatto. La Lega propone l’obbligo del Crocifisso in scuole, uffici, carceri e porti. Multe fino a 1.000 euro per i non adempienti. La deputata Simona Bordonali, leghista bresciana, è la prima firmataria della proposta di legge, depositata a Montecitorio dal gruppo del partito guidato da Matteo Salvini (Il Sole XXIV Ore). 

L’obbligo di esporre il Crocifisso è molto, ma molto discutibile per diverse ragioni, e per ambedue le parti, politica ed ecclesiale. In sintesi, politicamente: tale obbligo non rispetta la laicità dello Stato; sembra essere un ritorno a una concezione di religione di Stato dove lo Stato si impegna a promuovere e tutelare una religione rispetto alle altre (vedi vecchio Concordato del 1929); riduce il valore del Crocifisso a dato “culturale” e non rispetta il suo valore intrinseco che è quello religioso; non fuga i dubbi che la proposta possa essere anche determinata dal voler conquistare una parte dell’elettorato cattolico; forse vuole essere il tentativo di mostrare una identità cristiana di alcuni politici, tradita di fatto da atteggiamenti platealmente non cristiani (ostilità verso i migranti, cultura dell’odio e del rifiuto, poca attenzione ai temi della solidarietà, della giustizia e della pace ecc.).

In sintesi, ecclesialmente: lo svalutare il Crocifisso a simbolo culturale dovrebbe preoccupare molto vescovi, preti e fedeli laici. Il Vangelo non è un testo culturale ma l’annuncio di Gesù morto e risorto per salvarci; la nostra fede non si impone ma propone a tutti, altrimenti caschiamo in nuove forme di crociate, tanto antiche quanto deleterie; non è molto cristiano rallegrarsi per proposte che provengono da chi sembra amare tanto il Crocifisso simbolo, ma disprezzare o non curare molto i “Crocifissi” persone, come poveri e migranti oppure agitare, in maniera quasi blasfema, simboli religiosi in comizi pubblici.  

Non è la prima volta che ci ritroviamo a discutere di proposte e atteggiamenti simili; alternando dibattiti e dialoghi a scontri e barricate, come sempre succede per i temi che riguardano il rapporto tra Stato italiano e Chiesa cattolica. Rapporto che, direbbe Gramsci, è una “categoria eterna storica”. Il proporre un obbligo di esposizione del Crocifisso, in ambienti pubblici, non può che sollevare dubbi e perplessità, visto che viviamo in uno Stato laico. Richiamo, a titolo strettamente personale, alcuni principi politici ed etici inderogabili per un sano rapporto tra sfera politica e sfera cattolica. 

In materia un lungo cammino storico ha portato le democrazie moderne a sancire laicità e autonomia nelle loro carte costituzionali. Nel caso italiano troviamo nella Costituzione: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani» (art. 7). I padri conciliari, del Vaticano II affermano dall’altra parte: «La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo» (GS, 76). Il Concilio continua spiegando che Chiesa e Stato non vanno confusi, ma distinti nella loro autonomia ed indipendenza e che ambedue, a titolo diverso, sono a servizio della “vocazione personale e sociale” di tutti. 

Per quanto chiaro dal punto di vista dottrinale, il rapporto tra potere statale e potere ecclesiale cattolico pone, specie nell’ordinarietà delle scelte di entrambi, diversi problemi. Quello dell’obbligo di esposizione del Crocifisso, in ambienti pubblici, è uno dei tanti. Non è facile fare sintesi dei tanti problemi, in Italia e nel mondo, tuttavia ci sembra di poter individuare alcuni atteggiamenti che si ripetono, anche in contesti e tempi diversi tra loro, e minano la laicità del potere statale e la dignità di quello ecclesiale cattolico, nonché la loro reciproca autonomia e indipendenza. In particolare mi riferisco a ingerenze, strumentalizzazioni, collaborazioni non chiare, cose da ascriversi, in diversi casi più che a lacune teoriche, a problemi di prassi di coloro che detengono ogni forma di potere.

Il potere statale è, per definizione, laico. Consegue che la laicità del potere consiste, almeno etimologicamente, nel non accettare ordini e direttive se non da se stesso. E’ evidente che, nel caso di un’istituzione, si può parlare di laicità nella misura in cui, nel suo pensare, agire e decidere, si è fedeli a ciò che è stabilito nel patto fondante, che per lo Stato è la Carta Costituzionale e le leggi che da essa ne derivano. Quindi lo Stato ha il dovere di evitare ingerenze e strumentalizzazioni delle religioni o di altri poteri ad essi equiparati, come le ideologie totalizzanti, e creare sempre uno spazio comune per il dialogo e il confronto. Dal punto di vista teologico qui è sottesa la lezione evangelica della distinzione dei poteri: «Rendete a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio» (Mt 22, 21). La risposta di Gesù è virtuosamente tra due estremi: la teocrazia, con la sua tendenza a concepire e assorbire qualsiasi forma di potere nella sfera religiosa e, all’altro estremo, l’invadenza del potere politico nella sfera della libertà personale, specie religiosa. Esistono poteri e poteri, ciascuno con il proprio ordine e prerogative, a cui rispondere; tutti tra di loro autonomi. 

Altro si potrebbe aggiungere, intanto ricordiamo che Primo Mazzolari precisava spesso che “il Crocifisso è una verità senza colore”. Aggiungerei: colore politico, culturale, economico, sportivo, mediatico e via discorrendo. Chi glie ne vuole attribuire uno probabilmente ha poca frequentazione dell’uomo ivi rappresentato: Gesù di Nazareth, nostro Salvatore.

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