È il caso di dirlo: la politica è alla canna del gas
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È il caso di dirlo: la politica è alla canna del gas

Appena si esce dal chiacchiericcio da bar e chi si candida a governare il belpaese è costretto a fare i conti con i grandi problemi del tempo, eccoli a bussare alla porta dell’uomo che hanno fato fuori politicamente. Draghi

È il caso di dirlo: la politica è alla canna del gas
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Agosto 2022 - 16.41


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Di fronte alla tragicommedia di questi giorni, la battuta viene facile: la politica italiana è alla canna del gas. E’ il caso di dirlo, alto e forte: mala tempora currunt. Appena si esce dal chiacchiericcio da bar e chi si candida a governare il belpaese è costretto a fare i conti con i grandi problemi del tempo, eccoli a bussare alla porta dell’uomo che hanno fato fuori politicamente. 

Alla canna del gas

Scrive Carmelo Russo su Il Foglio: “Se non li prende a parolacce è perché non sono leader di parola. E infatti, Matteo Salvini, quello che lo ha cacciato in malo modo, e il “modo ancor mi offende”, ha proposto di dargli addirittura “i pieni poteri”, e si dice che lui, Draghi, ascoltandolo abbia sorriso: “Adesso me li vuole dare… dopo aver tolto la fiducia al governo”, mentre Silvio Berlusconi, uno che è convinto che lo abbia inventato lui, ripete, “Draghi? E mica lo abbiamo cacciato noi?”. A Palazzo Chigi, dove arrivano già le suppliche dei vincitori, “dovete intervenire”, hanno cominciato ad apprezzare Giorgia Meloni che almeno conosce la pudicizia e non propone “l’armistizio”, l’ultimo imbroglio di “questo ragazzo” (così viene chiamato Salvini)…”.

Strada in salita

La traccia Linkiesta: “Il 7 settembre i rappresentanti degli Stati membri parteciperanno a un seminario nel quale la Commissione presenterà i modelli di price cap, come spiega il Corriere della Sera. Quelli sul tavolo sono tre: il modello italiano, quello greco e quello spagnolo-portoghese. Poi il 9 settembre i ministri Ue dell’Energia si incontreranno a Bruxelles per un consiglio straordinario convocato dalla presidenza ceca di turno dell’Unione.

La Commissione Ue avrebbe preferito che il Consiglio si tenesse il 15 settembre, il giorno successivo al discorso sullo Stato dell’Unione che la presidente von der Leyen pronuncerà a Strasburgo alla plenaria del Parlamento europeo. Ma serviva un segnale immediato. È chiaro che «abbiamo bisogno di un nuovo modello di mercato per l’elettricità — ha detto von der Leyen — che funzioni davvero e ci riporti in equilibrio». A imprimere un’accelerazione «i prezzi alle stelle dell’elettricità» che «stanno ora esponendo, per ragioni diverse, i limiti del nostro attuale modello di mercato elettrico. È stato sviluppato in circostanze completamente diverse e per scopi completamente diversi. Non è più adatto allo scopo».

I costi non più sostenibili per famiglie e imprese stanno spingendo anche la Germania a rivedere le proprie posizioni. Così come l’Olanda, la cui Borsa del gas sta traendo grandi benefici dall’impennata dei prezzi del gas. Restano tuttavia per Berlino dei nodi da sciogliere, che avrebbe già esposto alle altre cancellerie. È necessario chiarire cosa accadrà se non dovesse arrivare abbastanza gas da Mosca, dopo l’imposizione di un tetto al prezzo del gas importato, e come prevenire la speculazione dei mercati.

La nuova misura, per funzionare, dovrebbe andare di pari passo con un razionamento. Ma al momento il taglio al consumo di gas, deciso nel consiglio Energia straordinario del 26 luglio scorso, è solo volontario. È attesa per il 28 settembre una comunicazione della Commissione in cui Bruxelles potrebbe indicare i prossimi passi per la solidarietà energetica Ue da lasciar decidere ai capi di Stato e di governo nella riunione di fine ottobre.

Bisognerà lavorare a una riforma del mercato elettrico che preveda di scollegare il prezzo dell’elettricità da quello del gas, su cui è appunto al lavoro la Commissione. E poi, molto probabilmente, si dovrà stabilire un tetto al prezzo solo sulle importazioni che arrivano dalla Russia. Mosca si è dimostrata un partner inaffidabile, tagliando le forniture all’Ue con i pretesti più diversi. Per la Commissione la Russia usa l’energia come un’arma contro l’Unione per il sostegno militare ed economico che l’Occidente sta fornendo a Kiev nella guerra scatenata da Mosca contro l’Ucraina. Anche ieri von der Leyen ha ribadito che «dobbiamo prepararci a una potenziale interruzione totale del gas russo».

Il modello italiano di price cap sembrerebbe il più semplice dal punto di vista tecnico rispetto a quello spagnolo-portoghese che avrebbe un impatto sui bilanci pubblici e a quello greco che agisce a livello di transazioni considerato troppo invasivo.

A Palazzo Chigi, ieri, il ministro Roberto Cingolani ha parlato di «risultato storico». Il titolare del ministero per la Transizione ecologica è convinto che il 7 settembre, quando lo staff tecnico italiano incontrerà quello olandese per illustrare la proposta, le cose potranno finalmente cambiare perché anche l’Olanda comincia a sentire gli impatti della crisi sulla sua economia. E perché, spiegano fonti di governo, «se la Germania arriva, l’Olanda non può che seguire».

È la conferma che Mario Draghi attendeva. Perché il premier pensa non si possa andare avanti mettendo toppe all’emergenza. Ha dato indicazione di lavorare per un intervento, fino a 10 miliardi, che potrebbe la prossima settimana andare a rafforzare il decreto aiuti di agosto. Ma – spiega Repubblica – il premier considera la via europea l’unica vera soluzione, quella che all’interno della Ue invoca inascoltato da mesi.

Peccato solo essere arrivati così tardi, quando già prima dell’estate Draghi aveva spiegato più volte al cancelliere Olaf Scholz lo schema del ricatto di Mosca sul gas e la necessità di agire sui prezzi a livello Ue. Ora che l’interruzione dei flussi dalla Russia è uno scenario più concreto, non c’è ragione per indugiare.

La soluzione è a Bruxelles, come dimostra l’effetto immediato sui prezzi del metano che ieri per la prima volta da settimane sono tornati a scendere, proprio a ricasco dell’accelerazione europea. È questa soluzione che potrebbe permettere a Draghi anche di limitare anche la portata di nuove misure nazionali contro i rincari energetici.

Questa volta il problema è dove trovare i nuovi fondi. Matteo Salvini e Giuseppe Conte dai social e dai palchi dei comizi dicono che serve uno scostamento di bilancio, per trovare venti o trenta miliardi, ma è una richiesta che Draghi non prende in considerazione.

Con il decreto di agosto da 15 miliardi, che solo domani inizierà il suo iter in Parlamento, si sono rastrellate tutte le risorse derivanti nella prima metà dell’anno da incassi fiscali ben superiori al previsto. Ora si aspetta la fine del mese per capire quanto agosto avrà portato all’erario. Anche perché si spera di ricavare qualcosa anche dagli extraprofitti, visto che scade il 31 agosto il termine per le aziende produttrici di energia per mettersi in regola con l’acconto: dei 4,2 miliardi stimati, a giugno se n’è incassato soltanto uno e adesso sommando anche le sanzioni potrebbero in teoria arrivare fino a 3,7 miliardi. Ma incassare tutto è poco più di un auspicio, a conti fatti la cifra potrebbe essere ben più bassa. Dunque trovare tra i 5 e i 10 miliardi necessari per un intervento efficace, è un obiettivo ancora da raggiungere. Poi bisognerà valutare cosa fare.

All’inizio della prossima settimana si avrà un quadro dei conti. E il 9 settembre arriveranno le prime risposte dall’Europa. I due piani si intrecceranno. Con la consapevolezza che il 25 settembre è vicino”.

Una consapevolezza che fa venire i brividi.

Le ragioni sono nitidamente focalizzate da Alessandro Cipolla per Money.it:  Dopo settimane passate a snocciolare roboanti ed esose promesse elettorali, i partiti di colpo sembrerebbero essersi accorti che in Italia c’è un problema legato all’aumento del costo del gas: qualche bomba in più e forse a breve realizzeranno anche che c’è una guerra in Ucraina e che la Libia è di nuovo nel caos. Mario Draghi però non sembrerebbe essere intenzionato ad accontentare i partiti, con il governo in carica che soltanto dopo aver appreso quale sarà l’ammontare delle entrate tributarie di agosto, potrebbe dare vita a un nuovo decreto legge contro il caro-bollette utilizzando però quello che c’è in cassa senza far ricorso a ulteriore debito. Anche se in carica solo per il disbrigo degli affari correnti, vista l’eccezionalità della situazione il governo potrebbe intervenire in tempi celeri con un provvedimento più corposo come invocato da Salvini e Calenda. Draghi però sembrerebbe essere irremovibile sul non ricorrere a uno scostamento di bilancio per far fronte all’emergenza gas, anche perché al momento la tassa sugli extraprofitti che avrebbe dovuto finanziare gli ultimi interventi sulle bollette si è rivelato essere un sostanziale flop: il buco sarebbe di circa di 9 miliardi, fortuna che sono i “miglio Nell’immediato una mano all’Italia sul gas non arriverà anche dall’Europa, visto che a Bruxelles i ministri dell’energia dei Paesi Ue si riuniranno solo a metà settembre con tutte le decisioni che però dovrebbero essere prese il prossimo 6 e 7 ottobre, quando a Praga andrà in scena il Consiglio europeo. Tempi comodi in pratica. Nel frattempo  – rimarca ancora Cipolla – famiglie, aziende e negozi rischiano di essere travolti dallo tsunami degli aumenti vertiginosi delle bollette: se Draghi ad aprile domandò agli italiani se preferissero la pace o il condizionatore acceso, il sentore è che a breve i cittadini saranno cornuti e mazziati.

E qui torniamo alla canna del gas della politica.

Scrive Alessandro Barbera su La Stampa: “La richiesta di Matteo Salvini e Giuseppe Conte di un intervento choc è respinta al mittente. A Palazzo Chigi la battuta con cui Enrico Letta aveva bollato di «scarsa credibilità» chi ha prima provocato la crisi e ora chiede al premier uscente di farsi carico delle scelte è stata registrata con soddisfazione. La cifra da cui si inizierà a ragionare oggi nelle stanze del governo oscilla fra gli otto e i dieci miliardi, il minimo indispensabile per confermare e rafforzare alcune delle misure approvate con i precedenti due decreti di aiuti. Giorgia Meloni ha già fatto sapere all’ex premier di essere favorevole alla linea prudente, partendo dalla constatazione che margini per fare deficit non ce ne sono. Non solo: se il governo decidesse di fare di più, affrontando una trattativa con la Commissione europea, si corre il rischio di lasciare la nuova maggioranza senza risorse per la Finanziaria che dovrà essere discussa e approvata a partire da novembre.[…] Per evitare incidenti fra la chiusura delle vecchie Camere e l’insediamento delle nuove, l’ipotesi più probabile resta quella di un emendamento al decreto aiuti bis, che deve essere convertito in legge entro metà settembre. Mercoledì 31 agosto si chiude il ravvedimento per il pagamento dell’acconto della tassa sugli extraprofitti delle aziende energetiche: quello sarà il momento in cui i tecnici saranno in grado di avere stime precise delle risorse a disposizione. Draghi ha nel frattempo fatto recapitare ai partiti del centrodestra un messaggio che si può riassumere così: invece di chiedere a me l’impossibile, siate coerenti nell’attuare il piano di diversificazione degli approvvigionamenti costruito con fatica in questi mesi. Detta ancora più chiaramente: senza il rigassificatore di Piombino per aumentare le forniture di gas liquido dall’Africa (contro il quale sta facendo le barricate il sindaco di Fratelli d’Italia) ogni sforzo sarebbe vano. Draghi non vuole assumersi la responsabilità di scelte azzardate non solo per ragioni politiche, ma anche di buon senso: due giorni fa il numero uno della Banca di Francia ha avvertito che a settembre occorre «un significativo aumento dei tassi di interesse» da parte della Banca centrale europea. Con queste premesse, affrontare i mercati con un intervento in deficit significherebbe sfidare gli investitori a nuove scommesse al ribasso sui conti italiani, con conseguenze sullo spread fra i titoli di Stato italiani e tedeschi…”.

Povera Italia…

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