Le 560 vittime della strage nazi-fascista di Stazzema non meritano una parola da Meloni e Salvini
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Le 560 vittime della strage nazi-fascista di Stazzema non meritano una parola da Meloni e Salvini

Il fascismo e il nazismo godono di troppi silenzi. Ogni anno la memoria si affievolisce e non si paga più un prezzo politico.

L'eccidio di sant'Anna di Stazzema
L'eccidio di sant'Anna di Stazzema
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12 Agosto 2021 - 17.27


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La storia di 560 civili italiani, tra cui 130 bambini, orrendamente massacrati dai nazi-fascisti.
Uno degli eccidi più gravi di tutta la storia del Novecento che, giustamente, ogni anno viene ricordato perché quella barbarie resti incancellabile tra gli orrori del nazismo e del fascismo.
Una strage che, purtroppo, non fu la sola: tante furono le stragi naziste sempre compiute con la complicità dei fascisti.
Eppure, a testimonianza che la nostra destra non si riconosce nei valori della Costituzione democratica e antifascista (anzi, cerca di demolirla) c’è da resgistrare che come in tante occasioni simili anche quest’anno Salvini e Meloni non hanno trovato il coraggio e la dignità di spendere una parola per quei 560 morti.
Il fascismo e il nazismo godono di troppi silenzi. Ogni anno la memoria si affievolisce e non si paga più un prezzo politico.

Poi questi hanno la faccia tosta di definirsi patrioti o difensori degli italiani.

 

Noi ricordiamo quegli eventi attraverso una ricostruzione di Giovanni Giovannetti 

 

Strage nazifascista di Sant’Anna di Stazzema, entroterra della Versilia, una delle più efferate per modalità e numero di caduti civili: uomini, donne, bambini massacrati e poi bruciati, cancellati con il lanciafiamme.
Il brutale eccidio di San’Anna, precede di poco altre feroci stragi terroristiche nazifasciste, ad opera degli stessi reparti, come a Fivizzano (19 agosto 1944, 340 morti) o a Monte Sole presso Marzabotto (29 settembre-5 ottobre 1944, 700 morti). Sant’Anna: un crimine per il quale nessuno pagherà.
L’armadio della vergogna
Nel 1994 – ben cinquant’anni dopo – dall’armadio “della vergogna” (rinvenuto girato negli scantinati romani di palazzo Cesi) usciranno i fascicoli con i nomi e i cognomi dei responsabili. Dalla memoria dei sopravvissuti emerge anche la presenza di fascisti collaborazionisti – rimasti ignoti – sul posto al fianco delle truppe naziste.
Dieci ufficiali tedeschi verranno processati e infine condannati all’ergastolo: una sentenza, sia pure dall’alto valore simbolico, a carico di persone ormai ultraottantenni, che non varcheranno mai le porte di un carcere. Ma una volta tanto la verità storica ha potuto specchiarsi, nella sostanza, in quella giudiziaria.
Assassini con la divisa
Enio Mancini, superstite della strage, oggi è ottantenne. Quando i suoi anni erano sei, è miracolosamente scampato alla strage.
Sant’Anna. Tra le case sparse di questi pascoli montani nell’estate 1944 avevano trovato rifugio centinaia di sfollati dal sottostante litorale tirrenico. La guerra pareva lontano affare di eserciti, disposti sui due lati della vicina Linea gotica: di là gli alleati; di qua tedeschi e repubblichini, oltre a qualche brigata partigiana in disturbo sui monti.
La mattina del 12 agosto 1944 il paese è circondato da reparti tedeschi della 16ª SS Panzer-Grenadier Division di Max Simon accompagnati da repubblichini del posto a volto coperto. In zona anche la 4ª compagnia del battaglione esplorante guidata da Walter Reder.

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Gli assassini con la divisa cercavano partigiani e hanno trovato donne vecchi e bambini, rimasti nelle case ritenendo che nulla sarebbe loro capitato in quanto civili (gli uomini si erano rifugiati nei boschi per evitare il rastrellamento e la conseguente deportazione). Vengono massacrati con inaudita ferocia, mitragliati o uccisi con bombe a mano e lanciafiamme. Ancora oggi non si conosce il numero delle vittime: forse 600, forse meno (quelle accertabili sono 390). Una criminale operazione stragista contro civili inermi ad opera di invasati. Fare “terra bruciata”: lo stesso “metodo” adottato a Monte Sole presso Marzabotto poco più di un mese dopo (ancora Simon, ancora Reder: 770 civili uccisi).

Terra bruciata

La famiglia di Enio scampa al massacro solo perché un soldato diciottenne, comandato di ammazzarli, stomacato li risparmia: «Rimasto solo – racconta Mancini – gesticolando ci ha invitati a scappare. Subito dopo sentiamo una raffica di mitra. Era lui. Abbiamo temuto che fosse diretta a noi, e invece stava sparando in aria». Un ragazzo a suo modo eroico, che Mancini definisce «l’altra faccia di quella spaventosa giornata». Di lui non ha saputo più nulla, fino a qualche anno fa. Il soldato era morto nel 1994 ma sulla strage di Sant’Anna e in particolare su quell’episodio aveva lasciato una confusa memoria scritta, così che, smanettando in internet, un suo giovane parente ha potuto faticosamente rintracciare i miracolati.
“Terra bruciata” sulla piazzetta davanti alla chiesa. Quella mattina 138 persone – quasi tutti donne e bambini – vengono massacrati e subito arsi con i lanciafiamme usando le panche della chiesa come legna.

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«Vedete questa fotografia? È di qualche giorno prima e solo due bambine sono sopravvissute. La nostra casa bruciava e cercammo inutilmente di spegnere l’incendio. Verso il pomeriggio un adulto passato dalla piazza portò la notizia della strage. Da quelle parti avevamo parenti e amici. Vidi i corpi massacrati della famiglia Pieri, dei Pierotti. Vidi i cadaveri bruciati sulla piazza. Tra loro cercai i miei piccoli amici. Ricordo l’odore della carne bruciata; una sensazione che ancora non ho superato è proprio l’odore di quell’immenso carnaio di cadaveri fumanti. C’è poi una cosa orribile…»

La Evelina

Che può esserci di più orribile di questa “terra bruciata”? Enio racconta ciò che vide Elio Toaff, il futuro rabbino capo di Roma, all’epoca partigiano su questi monti. Era giunto quasi per caso a Sant’Anna in quella tarda mattinata, poco dopo la partenza dei tedeschi: «Dietro la chiesa una sola casa superstite. L’uscio era spalancato. Toaff entrò e tutto pareva in ordine, a parte un dettaglio: in mezzo alla stanza sedeva morta la Evelina, quasi fosse stata viva. Il giorno prima del massacro aveva avuto le doglie per il suo terzo figlio. Le belve avevano squarciato il suo ventre con una baionetta e strappato il bimbo vivo dalla pancia e freddato con un colpo alla tempia. Il cordone ombelicale ancora legava il cadaverino alla madre uccisa».
Enio racconta dell’amico Enrico Pieri, dieci anni all’epoca, sopravvissuto tra i cadaveri perché lo avevano creduto morto. Emigrato in Svizzera, Enrico ha voluto che suo figlio imparasse il tedesco e oggi con Mancini è tra gli animatori dell’associazione “12 agosto”, meglio nota come associazione “martiri”, propugnatori di una diversa cultura della pace. A Sant’Anna o Pietrasanta o in Germania o… ovunque li chiamino i membri dell’associazione volentieri tengono periodici incontri con le scolaresche.
Educazione alla pace. Allargando progressivamente il cerchio, ricorderemo l’incontro a Sant’Anna, nell’agosto 2001, tra venti giovani israeliani e palestinesi: come osserva Enio, «alcuni fra loro hanno mantenuto i contatti e grazie a internet si sentono ancora oggi».

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