L'ex sindaca di Lampedusa: "Il processo a Salvini è salvifico per la tenuta della democrazia"
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L'ex sindaca di Lampedusa: "Il processo a Salvini è salvifico per la tenuta della democrazia"

Giusi Nicolini: "Il processo servirà a sancire la differenza tra interesse pubblico e interesse di parte, a ridefinire la sostanza del concetto di stato di necessità, a restituire sacralità alla vita umana".

Giusi Nicolini
Giusi Nicolini
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30 Luglio 2020 - 17.01


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L’ex sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini, ha così commentato la decisione del Senato di autorizzare il processo a Matteo Salvini per il caso Open Arms: “Un processo sul caso Open Arms sarà salvifico per la tenuta democratica nel nostro Paese, perché servirà a sancire la differenza tra interesse pubblico e interesse di parte, a ridefinire la sostanza del concetto di stato di necessità, a restituire sacralità alla vita umana, legittimità e dignità all’opera di soccorso delle Ong”. 
“Così dovrebbe essere tutte le volte che la tracotanza del potere politico calpesta il diritto internazionale e viola le norme costituzionali a tutela dei diritti inviolabili della persona- dice – Salvini non ha affatto difeso il Paese da 151 terroristi nemici della Patria, ma ha abusato dei suoi poteri, negando reiteratamente un Porto Sicuro a naufraghi, anche minori, mentre il mare era in tempesta e l’Open Arms si era già rifugiata davanti Lampedusa”.
E ancora: “Tutto ciò al solo fine di far lievitare il suo consenso elettorale in un clima di crescente paura, intolleranza e odio razziale. La gravità degli abusi dell’ex ministro Salvini va oltre il tema delle migrazioni nel Mediterraneo”. Poi aggiunge: “Tutti dovremmo essere interessati a una maggiore protezione dei diritti fondamentali di fronte al pericoloso dilagare dei populismi e dei nazionalismi sprezzanti della Carta Costituzionale”. E aggiunge: “Sono inoltre convinta che la sentenza sul caso Open Arms non servirà soltanto a mettere il freno alle destre, ma sarà utile anche al campo politico che sinora ha inteso opporsi a Salvini senza revocare o almeno modificare i Decreti Sicurezza e senza cambiare l’approccio etico sulla gestione delle migrazioni nel Mediterraneo, a partire dalla persecuzione delle Ong e dal parallelo accordo coi criminali libici per ottenere illegali respingimenti in mare di un numero impressionante di persone, pari quasi al numero di coloro che continuano ad arrivare sia dalla Libia che dalla Tunisia”.
“La cronaca di questi giorni dimostra infatti il clamoroso fallimento delle politiche securitarie per fermare la fuga di rifugiati e migranti da Libia e Tunisia. Questa strada aperta dal leghista Maroni nel 2009, poi rispolverata da Minniti e percorsa con beffardo cinismo da Salvini, può portare soltanto a bearsi brevemente per la riduzione degli arrivi, peraltro al prezzo di prigionie, stupri e torture nei lager della Libia e di un crescente numero di morti in mare- aggiunge Nicolini-Ma la pressione migratoria e i trafficanti troveranno sempre altre vite di fuga, come infatti già avveniva con Salvini e continua oggi a verificarsi”.
Lo scorso febbraio, Palazzo Madama aveva già detto sì al processo per l’analoga vicenda della nave della Guardia costiera, Gregoretti, con 131 migranti bloccati a bordo, lo scorso luglio, al largo di Augusta. In quel caso, in Aula, i voti finali furono 152 a favore del processo, 76 contrari. Un via libera, che porterà, a ottobre, l’imputato Matteo Salvini in Tribunale a Catania di fronte al gup.
A mandarlo a processo, per la vicenda Gregoretti furono i senatori dell’attuale maggioranza giallorossa, dopo una battaglia procedurale scoppiata nella Giunta per il regolamento e il successivo ritiro dei membri di M5S, Pd e Leu dall’ultima seduta della Giunta per le immunità.
Salvini, invece fu salvato dal processo, tempo addietro – nel febbraio del 2019 – quando ancora era al governo con i 5Stelle e il premier Conte: alla richiesta di processo per il caso Diciotti, sempre relativo allo stop di uno sbarco di migranti in Sicilia, avvenuto nel luglio del 2018, votarono compattamente i senatori dell’allora maggioranza, non prima di un voto su Rousseau che vide la base del movimento M5S chiedere, con il 60% dei voti, di non dare il via libera al giudizio sul leader leghista.

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