Silvia Romano: Jihādismo, intelligence, propaganda e l’ombra turca
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Silvia Romano: Jihādismo, intelligence, propaganda e l’ombra turca

Il caso dell'operatrice umanitaria rapita e le pillole di approfondimento. Volontariamente lontano dagli schiamazzi emotivi dei primi giorni

Silvia Romano
Silvia Romano
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17 Maggio 2020 - 17.41


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di Claudio Locatelli

Il vestito e la scelta mediatica 

Il Premier Conte, Il Ministro degli Esteri Di Maio, decine di accrediti giornalistici direttamente sulle piste dell’aeroporto. Dopo mesi di Coronavirus a “reti-unificate”, le immagini dell’arrivo di Silvia Romano, diventano notizia dominante.
Non si è scelto di evitare il clamore, di lasciarle raggiungere casa senza schiamazzi, di scegliere la privacy nel ricongiungimento con la sua famiglia, dolorosamente in attesa da 18 mesi.

L’impatto sull’opinione pubblica dello sgargiante vestito islamico è chiaro a tutti. Come non notarlo.
La scelta di creare delle condizioni di visibilità così ampie, mostra una volontà di sovraesporre, di comunicare un messaggio, di cui Roma non poteva essere all’oscuro.

La domande non è tanto cosa, ma verso chi? A chi dobbiamo qualcosa?
Il suo caso è stato trasformato in un elemento di propaganda religiosa radicale, di cui hanno beneficiato nell’immediato il gruppo terroristico di
Al-Shabaab ed i mediatori Turchi.

Dall’altro lato, un messaggio visivo di distensione verso il variegato mondo islamico, può aver contributo a  mantenere distanti attacchi terroristici (di matrice islamista) dal nostro paese, e ciò non è poco.
Inoltre, ogni negoziazione ha la sua valenza comunicativa e quindi politica.
La delicata trattativa per liberare Silvia può aver richiesto altrettante delicate condizioni. 
La controparte o quella mediatrice possono aver richiesto atteggiamenti specifici, abituali nelle negoziazioni di questo tipo, o sono stati semplicemente necessari a mantenere i rapporti nell’area, ricordando che la Somalia fu colonia Italiana. 

Forse ricorderete ma non mi stupirei del contrario, che 2 mesi fa, a marzo, venne liberato il padovano Luca Tacchetto e la sua ragazza Canadese. Il Padre del giovane si è lamentato in questi giorni per il divario d’accoglienza ricevuto dal figlio, rispetto a Silvia. Nessuna scelta mediatica forte, nessun carosello, nessuna valanga di accrediti stampa. Forse meglio così.
Silvia è stata liberata, questo è il punto più importante.
Ed improvvisamente arriva ai giornali una particolare fotografia…

Il giubbotto antiproiettile, la scritta ed Ankara 

Aprendo la stampa turca, si nota la fiera rivendicazione del MIT, i servizi segreti Turchi. Elogiati come gli unici ad aver portato in salvo la ragazza.

Ogni dove si mostrano le immagini del vestito islamico, così come di una particolare foto diffusa dalla storica agenzia Anadolu Ajansi (AA), dove  Silvia indossa una vest militare, solitamente usata per allocare le piastre anti proiettile, recante una patch molto specifica: La mezzaluna ed una scritta in caratteri antichi che significano KAYI, la storica tribù che fondò l’impero Ottomano. Simbolismo capace di evocare orgoglio ed imperialismo nella popolazione turca.

I servizi segreti italiani si affrettano a smentire, gridano al fotomontaggio o ad un momento in cui qualcuno possa aver attaccato tale patch per scattare la foto. Dichiarazioni che non indica colpevoli, dando un’idea più raffazzonata che pensata. 

Negli articoli Turchi si sottolineano forti altri due aspetti: l’ispirazione del Corano durante la prigionia e la scelta religiosa “libera”. Il taglio giornalistico strizza l’occhio alla religione in ogni paragrafo, in un riferimento quasi celebrativo.
La mediazione Turca, che dalle ultime informazioni sembra sia stata richiesta dalle nostre autorità a fine 2019, lascia spazio all’idea di un protagonismo netto. Ankara è sempre più presente a supporto di gruppi jihadisti in varie parti del mondo, inclusa la Somalia…

Il rapimento, il luogo ed i rapitori 

Al-Shabaab, gruppo jihadista dominante nell’area, è tra le realtà filo Al-Quaida non disdegnate dall’AKP, il partito del leader turco Recep Tayyip Erdoğan , l’uomo che fin dal suo primo mandato ha traghettato la Turchia verso la religione, lontano dallo storico laicismo di Ataturk, il fondatore della patria turca.

Il rapimento è avvenuto in Kenya, inizialmente si pensava per opera di gruppi locali, si è capito poi che tutto è stato coordinato da un commando di Al-Shabaab, capace di operare oltre i confini somali. 
Dove si trovava esattamente? In un luogo non così strano in realtà.
Sono circa 70 i kilometri dalla gettonata Malindi al villaggio di Chakama, dove Silvia è stata rapita.
La prima strada è asfaltata, è la stessa dei safari battuti da migliaia di turisti, porta al parco di Tsavo-Est. La stazione di polizia di Langobaya non è lontana.
Nel villaggio conosce diverse persone, uno di questi si rivela essere il basista dell’operazione.
E’ proprio lui a trarla in inganno, favorendo il comando
Al-Shabaab composto da tre uomini.
Viene sequestrata e portata fin dentro la Somalia. Sono oltre 400 i kilometri verso nord, anche dovessimo scegliere la strada più breve per il confine.

“Ho pianto per tutti i primi mesi” racconta Silvia, in un interrogatorio i cui contorni sono subito stati girati alla stampa…

Un’esagerazione d’informazioni

“…almeno in un occasione mi hanno dato della pasta”
Dettagli, indicazioni su cosa mangiava in prigionia, e molto altro.
Non c’è niente di normale nel livello di informazioni arrivate alla stampa in pochi minuti.
Tutto troppo e troppo in fretta. Insolito in vicende così delicate.

Informazioni che in queste fase sarebbero dovute rimanere private o comunque trattate con maggiore cautela, parte della sfera personale e psicologica. Come ad esempio la decisione di convertirsi, di cui lei avrebbe parlato solo in un interrogatorio, ad una psicologa, poco dopo la liberazione.
La conversione in cattività

Ci sono persone che dopo una guarigione di un familiare diventano cristiane, che dopo un evento fortuito in cui sono scampate alla morte si votano a Dio, ecco, lasciamo questo aspetto alla sfera personale, al trascorso esperienziale che l’ha determinato. 
Senza un’analisi diretta non si possono formula diagnosi psicologiche, ne di ”Sindrome” di Stoccolma, ne di altro, figuriamoci poi tramite il web. Molti non hanno ancora capito che è uno psicologo a doversene occupare, nessun’altro.
Certamente in 18 mesi di cattività è difficile etichettare come libera, slegata dall’eccezionale contesto, qualunque decisione.

La mente si adatta a tutto, cerca strategie per affrontare l’improbabile.
Lo stiamo facendo in 2 mesi di Lockdown, dove non ci sono guardie armate e le serie Netflix abbondano, figuriamoci in Somalia, tra le mura di prigionia in cui Silvia è stata costretta a vivere. 
La doppia faccia del riscatto

4 milioni, 1, in realtà forse era 1 e mezzo.
Nessuna fonte ufficiale, ne del governo Italiano ne dei terroristi, che tramite un’agenzia somala on line, fanno sapere di non aver rilasciato nessun’intervista; ovviamente.
Eppure viene dato per scontato, e così forse è.
Non mi importa dei possibili “onerosi” 6 centesimi (secondo le stime più alte) pagati a testa tramite le nostre tasse; ne avrei messi volentieri di più, se ciò avesse agevolato le operazioni di liberazione di un’italiana rapita.
Mi importa invece dell’altro lato della medaglia, l’ennesima immagine di “pagatori facili” che il nostro paese si è costruito. Esponendo a futuri rischi.
C’era una soluzione alternativa? Questo non è dato saperlo, non abbiamo tutti i dati ne le competenze per poterlo determinare.

Sicuramente si sono evitati scenari peggiori: come quello costatato dall’Ex Presidente francese Hollande nel 2013, proprio in Somalia, proprio a causa di un altro sequestro finito nelle stesse mani, Al-Shabaab. Fu un operazione di liberazione congiunta tra Francia e Stati Uniti: morirono sia l’ostaggio, sia due soldati di Parigi, che diversi civili.

Gli Stati Uniti infelicemente estranei

E’ da qualche anno che Washington si trova ai ferri corti con un suo alleato Nato, la Turchia. Basti pensare al supporto militare dato ai curdi del Rojava nel Nord della Siria, considerati addirittura terroristi da Erdogan.
In questa operazione di liberazione, è evidente l’egemonia di Ankara ed il mancato coinvolgimento di Washington. Il comando USA d’Africa non sembrerebbe aver apprezzato il tutto.

L’intrigo tra 007 è il riflesso delle politiche internazionali. Gli Stati Uniti dettano ancora legge ma sempre più la stanca super potenza Americana lascia spazio ad altri protagonisti, determinati a dettare le loro condizioni.

Il volontariato, vero e malato 

La madre di Silvia si è dimostrata subito molto distaccata dall’Associazione Milanese con cui Silvia aveva raggiunto il Kenya. I motivi ed eventuali responsabilità verranno chiariti dalla magistratura.
Il valore di chi lavora volontariamente per il bisogno dei più deboli è però innegabile.
Se un terremoto colpisse la vostra casa, se vi trovaste ingiustamente senza lavoro o se foste nati nelle baraccopoli di Nairobi, saranno persone come Silvia Romano ad aiutarvi.
L’Italia non è un isola, vive in un mondo interconnesso. I rapporti con gli altri pesi, con chi commerciamo, dove mandiamo i nostri soldati, chi decidiamo di aiutare. Tutto si riflette sulla nostra vita e quella del nostro paese.
Chiarito questo è doveroso fare dei distinguo:
Esistono realtà, ne ho viste alcune personalmente, che non lavorano volontariamente per il prossimo.

Si fregiano di questa percezione ma vivono solleticando il bisogno di viaggi alternativi, più improntate a fare cassa, a sfruttare il concetto di “White Saviour” (Salvatore Bianco).
Realtà che non incidono veramente, ne si adoperano per farlo. Lasciando spesso più problemi che soluzioni.

D’altro canto il loro fine è intrattenere voi, non utilizzare la vostra disponibilità per aiutare davvero.
Un volontariato di comodità, soft quanto imbarazzante. Le si distingue dal contributo economico richiesto ma non solo.
Ti fai la foto con i bambini africani, ti lavi la coscienza facendo credere a te stesso di aver fatto del bene, torni.
Non che ci sia qualcosa di male nel fare una foto circondati dai i volti sorridenti di bambini africani. Il punto è con chi si è lì, per fare cose e fregiandosi di quale risultato.
Non sappiamo se è questo il caso, ma è giusto capire il contesto di realtà, spiegandone tutti gli aspetti.
Non è bianco o nero. Non lo è mai.
L’Italia e le minacce senza limite

L’esposizione del caso Silvia Romano, ha calamitato un’ondata di odio privo di senso.
Non sono stati i terroristi, per quanto ne sappiamo, ad insultarla, vessarla ed esporre un ostaggio appena liberato ad una gogna mediatica con pochi precedenti, ma bensì siamo stati noi italiani, noi suoi concittadini… non tutti per fortuna.
Il virus dei tuttologi, questa volta esperti di Jihadismo, politica estera, negoziazione, sembra non aver raggiunto il suo picco, procede crescendo, senza curve di attenuazione.

Lo so, il massimo del disagio internazionale che avete vissuto è la perdita dei bagagli in aeroporto. Figuriamoci un sequestro, per coincidenza vicino a Malindi, una delle località più gettonate tra i vacanzieri italiani. Sarebbe potuto accadere a voi, e non mentre lavorate volontariamente per i più bisognosi ma mentre sorseggiate mojito nelle bianche spiagge di un hotel. E’ successo anche questo in passato, un raid di Al-Shabaab a Mpeketoni, vicino alla città di Lamu, nel nord del paese.
Il problema è cercare di empatizzare con qualcosa di così lontano dalla maggior parte di noi.

Una figlia, una sorella, una madre, qualcuno che amate viene rapito. Forse è questo a cui dovremmo pensare tutti.

La vicenda è articolata e tocca molteplici aspetti.
L’unica cosa che rimane da dire è semplicemente: bentornata Silvia

 

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