"Marocchino di m...": sergente condannato per gli insulti razzisti al superiore
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"Marocchino di m...": sergente condannato per gli insulti razzisti al superiore

È la prima volta che l'aggravante della discriminazione razziale è usata in una sentenza della giustizia militare italiana

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16 Dicembre 2019 - 22.01


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Per la prima volta in Italia l’aggravante del razzismo è entrato nella giustizia militare: Carmelo Lo Manto, un sergente degli Alpini, è sttao cindannato per aver insultato un suo superiore, il maggiore Karim Akalay Bensellam, 36 anni, primo e unico ufficiale italiano delle penne nere di origini marocchine. Lo ha stabilito il Tribunale militare di Verona, infliggendo a Lo Manto una pena di un anno e sei mesi per diffamazione militare continuata pluriaggravata dalla discriminazione etnica.
Lo Manto si sarebbe lasciato andare più e più volte a espressioni come “sto marocchino di merda” e “pezzo di m..’sto meschino” e “non è degno di stare nell’Esercito italiano”. 
Tra i due non correva buon sangue, tanto che lo stesso Bensellam era finito sotto processo con l’accusa di aver aggredito il sergente. Il procedimento si era chiuso con un proscioglimento per ‘particolare tenuita’ del fatto’. Lo Manto, peraltro, era già finito davanti ai giudici militari per un precedente nei confronti di un sottoposto. Nato a Perugia da padre marocchino e madre italiana, Bensellam ha alle spalle varie missioni all’estero, soprattutto in Afghanistan, dove è stato impiegato come uomo di contatto con la popolazione locale. Da qualche tempo ha lasciato la città dolomitica per trasferirsi ad Aosta. Durante il processo un testimone ha raccontato che le offese venivano rivolte all’ufficiale quasi ogni giorno, senza che Lo Manto si preoccupasse della presenza di testimoni.
La severità della sentenza ha sorpreso per primo il legale del maggiore, Massimiliano Strampelli. “Giustizia è stata fatta – sottolinea – . Si tratta di una sentenza che farà cultura giuridica, la prima con l’aggravante della legge Mancino applicata in ambito militare”. Innegabile, aggiunge, il ruolo svolto dalla Procura militare di Verona. “Una parte del merito – conclude – va riconosciuta alla Procura che ha accolto la nostra tesi in ordine all’aggravante razziale”.

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