L’Aquila, gli aquilani e il coraggio di resistere. Una vecchia (e nuova) storia
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L’Aquila, gli aquilani e il coraggio di resistere. Una vecchia (e nuova) storia

Molti anni fa scrissi di Francesca Luzi, del suo libro e del suo coraggio condiviso con tanta altra gente. Oggi le ripropongo

Una vecchia immagine della Casa dello studente dove morirono molti giovani
Una vecchia immagine della Casa dello studente dove morirono molti giovani
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Giancarlo Governi Modifica articolo

5 Aprile 2019 - 08.46


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Sono passati dieci anni e Francesca è ritornata nella sua casa ricostruita come era prima, insieme alla famiglia La città è tutta un cantiere per essere restituita agli aquilani prima del terremoto.

Ho letto il libro di Francesca Luzi Via Rustici, 38: “Quella è casa mia” . Me lo ha regalato Francesca quando sono andato all’Aquila alla manifestazione sui libri “Volta la carta” organizzata da lei e da altri aquilani e aquilane, soprattutto aquilane. Ho passato una giornata importante della mia vita con Francesca e le altre perché ho visto come tanta gente urli il proprio diritto a vivere la normalità in una città che troppi vogliono morta per sempre, sostituita da casette prefabbricate, da case nuove, da centri commerciali che dovrebbero fungere da ritrovi degli aquilani in sostituzione delle loro belle piazze, dei loro corsi, dei portici che ti permettono di stare insieme e di passeggiare anche quando piove e fa freddo. E loro lo fanno ancora. Molti di loro, soprattutto i giovani rifiutano i centri commerciali e si riuniscono nella loro città come quando era viva e palpitante ed ora è ridotta quasi a un set cinematografico abbandonato, dove nessuno gira più un film.

Francesca Luzi ha raccontato quella terribile notte fra il 5 e il 6 aprile, come hanno vissuto la grande scossa insieme a suo marito e ai suoi due bambini, come si sono ritrovati con gli amici i parenti le persone care, come si sono cercati, come si sono aiutati, come hanno continuato a vivere. Un reportage lucido dal di dentro della tragedia che nessun inviato, anche il più dotato e il più sensibile avrebbe potuto scrivere. Francesca ha superato lo shock, ha riconquistato la sua “normalità” sia pure precaria, si è fatto coraggio e l’ha scritto, con un epilogo che è un atto di condanna per tutti noi, per la società dei media, per la società dell’apparire che ha dimenticato L’Aquila tutta presa da altre tragedia che fanno più audience.

“Il tempo passa – scrive Francesca Luzi – scorrono i fogli del calendario, la città ogni tanto riapre un angolo di strada meno devastato degli altri e ci dà l’illusione che tutto presto tornerà come prima. Ancora non si vede un cantiere aperto nel centro storico. La burocrazia sta strangolando ciò che resta della città. I riflettori dei media oramai si sono spenti sulla nostra tragedia: neppure una manifestazione di ventimila persone su una città di settantamila abitanti è stata presa in considerazione dalle reti nazionali e questo la dice lunga. Il nostro futuro è assolutamente incerto ma quello che è certo è che io non me ne andrò: qui sono nata e qui voglio morire”.

Francesca rappresenta L’Aquila che resiste, aquilane e aquilani che rivoglio la loro città dove continuare a nascere vivere e morire. E noi italiani di buona volontà dobbiamo essere con loro!

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