Quella scritta sul muro che rinvia alla morte dei capo dei capi di Cosa nostra
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Quella scritta sul muro che rinvia alla morte dei capo dei capi di Cosa nostra

Una scritta su un muro di Agrigento nasconde un mistero ancora insoluto sulla vicenda del capo dei capi Giuseppe Settecasi

La scritta
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

28 Ottobre 2018 - 17.50


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“Su maanciò Anacleto”. Il mistero sta tutto in questa scritta misteriosa, con quella doppia A che sembra un segnale in codice. Mistero che diventa un rompicapo perchè prima che comparisse questa scritta, sullo stesso muro di una strada di Agrigento c’era un’altra scritta, “Anacleto ti struppio”. Una minaccia esplicita: ti distruggo di botte fino a renderti storpio. La seconda scritta comparve quando la prima fu cancellata da lavori per rafforzare il muro. L’una e l’altra frase incomprensibili, se non si tiene conto che in quel luogo fu ucciso Giuseppe Settecasi. E se si disegna il profilo di Settacasi dall’incomprensione della scritta si passa all’inquietante ipotesi di una promessa di vendetta passata da padre in figlio e in figlio ancora. Chi era Settacasi, prima che Cosa nostra passasse nelle mani dei Corleonesi? Settecasi – pochi lo ricordano – fu il capo della Cupola, il capo dei capi. Un agrigentino numero uno della mafia e di una mafia che a lui rispondeva in tutta l’Isola ma anche nel Nord America, USA e Canada. E a lui dovevano far capo tutte le “questioni” che facevano entrare in conflitto le famiglie d’Oltreoceano, ed anche i dissidi che nascevano tra mafia siciliana e ‘ndrangheta. Quando accadeva, Settecasi si trasferiva negli Stati Uniti o in Canada e curava direttamente la “pratica”. Solo lui poteva. E all’epoca non era un ragazzino, aveva già superato i settanta anni. Del suo potere parlò anche Tommaso Buscetta, quando ricostruì guerre intestine che avevano messo “sottosopra” la Cosa nostra. Ma lasciamo momentaneamente Settecasi per tornare alla scritta. Diciamo, intanto, che sul mistero di Anacleto c’è chi sta scrivendo un libro, mentre in Rete ci si confronta sul senso e sulla storia di quelle due scritte, la prima scomparsa, la seconda sotto gli occhi di chi oggi passa ogni giorno da quella strada. Per chiunque abbia visto il film “La spada nella roccia”, Anacleto è un personaggio familiare. E’ il gufo parlante del mago Merlino. Ogni volta che il protagonista di nascosto mangiava qualcosa nella cucina del mago, Merlino gli domandava:”L’hai mangiato tu?”. Il ragazzo rispondeva alzando le spalle come per dire no. Ed il Mago:” E niente…se lo mangiò Anacleto…”. Per i genitori dei bambini legati a “La spada nella roccia”, l’espressione è diventata un ammonimento, una minaccia: “Guarda, so che sei stato tu…”. E per capirci qualcosa sulle due scritte, forse si deve partire da questo: una minaccia, la promessa di una vendetta, proposta in modo velato, ma non troppo. La scritta è in palermitano e non in agrigentino. E questo non è un elemento secondario. La prima scritta,”Anacleto ti struppio” ( Anacleto ti rendo storpio ) aveva una O finale molto scolorita, quasi assente. Volutamente. Mistero su mistero. E in Rete, ad Agrigento, si raccolgono spiegazioni su spiegazioni. 
“Da circa 20 anni questa scritta è visibile su un muro della città, a un paio di metri di altezza dal marciapiede – ricostruisce Tano Siracusa, fotografo di grande sensibilità – Ambigua, insinuante, la scritta informa che qualcuno ha mangiato qualcun altro. Uno dei due si chiama Anacleto l’altro non si sa. E non si sa altro. L’unica certezza è che qualcuno si è arrampicato di notte con una scala e ha scritto sul muro quella frase dove tutto è perentorio, incerto e nominato, noto e sconosciuto, a cominciare dal destinatario del messaggio che potrebbe essere una singola persona, un gruppo in possesso di un codice”. Continuiamo con Tano Siracusa la possibile lettura della scritta. “Su maangió Anacleto”. Non ci sono segni di interpunzione e la lingua siciliana, che sembra trascritta direttamente dal parlato, lascia ambiguamente imprecisato il soggetto. In Italiano sarebbe: se lo mangiò Anacleto. E non ci sarebbe dubbio che Anacleto sia il soggetto, colui cioè che ha mangiato. Ma in siciliano non è altrettanto chiaro. Chi sia il soggetto, se Anacleto abbia o sia stato mangiato, nella riproduzione scritta del siciliano parlato rimane indeciso. Tradotto in un italiano sgrammaticato sarebbe: ‘…se lo mangió ad Anacleto ‘. La scomparsa della preposizione ‘a’ nella frase sarebbe dovuta al suo assorbimento, nel parlato, da parte della A di Anacleto”.                       
In ogni caso l’identità del secondo personaggio rimane non meno oscura e sfuggente. La forma pronominale ‘su’ – ‘se lo’ (mangiò) – rimanda ad un soggetto la cui conoscenza sembra condivisa da chi legge e da chi scrive. Non è molto, ma serve a capirci qualcosa. C’è pure chi ricorda di una pubblicità, un cartone animato, di un gufo. Anacleto, la cui caratteristica pare fosse quella di parlare troppo, e che ipotizza perciò un messaggio obliquo, minaccioso, in un codice decifrabile solo in ambienti malavitosi. E la malavita qui è mafia. E così si torna a quella realtà agrigentina che ebbe in Settacasi la sua massima espressione. Questo, dopo non aver trascurato possibili riferimenti a piccoli episodi e a malefatte della politica locale. Anche questa qui sempre fatta di potenti, e di potentati legati a Cosa nostra. E allora Anacleto rinvia a quel Settecasi che ad Agrigento appariva come un mite signore di una certa età, senza alcuna promessa di violenza, che usava passare il tempo in maniche di camicia, giocare a carte, davanti alla stazione ferroviaria, con i tassisti in attesa del treno dei turisti. Smetteva quella abitudine quando le cose Oltreoceano si mettevano male. Faceva la valigia, partiva, presiedeva infuocate riunioni delle famiglie americane e metteva ordine. Quindi tornava al suo tavolino improvvisato della stazione, alla scopa e alla briscola. Di quelle riunioni Oltreoceano si riuscirono ad intercettare quella del 22 aprile e del 10 maggio del 1974, al “Reggio bar” di Montreal, un locale di proprietà del capo di una famiglia canadese, Paul Violi. Verbali che restarono nel cassetto per 14 anni, fino alle stragi di Porto Empedocle, che disse anche ai ciechi di quanto potente fosse la mafia agrigentina, e di quante trame internazionali dirigesse. Di quegli anni ora si conosce tanto, i Rizzuto, i Cuntrera, i Caruana sono nella storia dei crimini e dei misfatti di Cosa nostra. Tutti a rendere omaggio a Settecasi da Agrigento. Tant’altro non si sa. E in questo tant’altro entra anche Anacleto.
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