L’Aquila a 6 anni dal terremoto, tra memoria e nostalgia del futuro
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L’Aquila a 6 anni dal terremoto, tra memoria e nostalgia del futuro

Reportage, video e fotografie: il Centro sperimentale di cinematografia dell’Abruzzo dà volto e voce alla città il cui calendario parte ormai dal 6 aprile 2009.

L’Aquila a 6 anni dal terremoto, tra memoria e nostalgia del futuro
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5 Aprile 2015 - 10.46


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“Sembra quasi che noi abbiamo un nuovo calendario che invece di partire dalla nascita di Cristo, parte dal terremoto. Per noi è come se fosse una specie di anno zero”. A parlare è uno degli aquilani protagonisti dei radio documentari che, insieme a video, reportage e fotografie, contribuiscono a costruire “L’Aquila, frammenti di memoria”, l’installazione multimediale realizzata dagli allievi del corso di base di reportage audiovisivo del Centro sperimentale di cinematografia dell’Abruzzo. Sotto la direzione di Daniele Segre, i ragazzi hanno affrontato una ricerca sulla città, concentrandosi sulla memoria, intesa come tensione emotiva e intellettuale di chi, avendo vissuto il terremoto e trovandosi nella condizione di testimone quotidiano della sua eredità, vuole mantenere un legame con la propria identià, frammentata dalla deflagrazione spaziale e relazionale innescata dal sisma del 6 aprile 2009.

Ne sono nati 18 video individuali, 2 collettivi, 5 radio documentari, 2 laboratori fotografici (uno dei quali con Mario Dondero) e 9 studi per video individuali che si realizzeranno nel 2015. Si parte con “Senza parole”, video collettivo di poco più di 9 minuti in cui gli allievi esplorano il centro storico dell’Aquila, per la prima volta. Un lavoro che, insieme agli altri realizzati, racconta una situazione che, sebbene abbia avuto una sua dinamicità, per molti versi è immutata, in particolare in quei luoghi rimasti ai margini dello svolgersi della vita quotidiana. “Viviamo in un mondo diverso e ne prendiamo atto – racconta un altro aquilano – Chi perde una gamba, ne prende atto e si comporta di conseguenza, ma non mi si venga a dire che quella persona non sente la mancanza della sua gamba”.

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“L’Aquila è una città di 70 mila persone. Ma non si vede nessuno girare a piedi, spesso non ci sono nemmeno i marciapiedi”. Inizia così “I ragazzi dei progetti Case”, uno dei reportage degli allievi che hanno incontrato le persone che vivono nei quartieri realizzati dopo il 2009, nuclei abitativi in cui non ci sono spazi comuni per incontrarsi, e non c’è traccia di negozi, bar o altri servizi, piazze o chiese. “Sotto casa tenevo tutto, supermercato, parrucchiere, farmacia, pizzeria, bar. Basta che uscivo dal portone di casa e tenevo tutto, qua non tengo niente”, racconta una signora. “Dove sto non è casa mia, non me la sento mia”, dice un’altra. Le parole di chi vive in uno di quei “parallelepipedi di cemento – con balcone – immersi nel verde” rendono conto dello spaesamento che, a distanza di 6 anni, gli aquilani vivono. Tanto che, come racconta un altro: “Tutti quanti hanno il desiderio di ritornare a casa: se domani mattina fossero pronte le loro case, pure di notte, a piedi tornerebbero”. Perché, come si racconta nel reportage “La via di casa”: “Alla domanda ‘dove abita?’ le persone del Progetto Case rispondono sempre con la via di casa a cui appartenevano, vie del centro aquilano, e non la via in cui vivono adesso”.

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“Dopo 6 anni non è cambiato niente, non c’è più niente di utile. Le persone preferiscono andare fuori a lavorare, all’università. Pian piano, peggiora sempre di più”. Se ne parla in “I commercianti dell’Aquila” reportage che racconta le difficoltà dei negozianti, che non vogliono tornare nel centro dell’Aquila perché ormai è un posto disagiato, non raggiungibile, disabitato, ma in cui si evidenzia anche il coraggio dei pochi che hanno avuto la forza di rialzarsi in piedi per cercare di far rivivere le viuzze affollate di un tempo. “Le uniche attività presenti sono bar, tavole calde e pub che funzionano maggiormente per le feste degli universitari e per dare un pasto caldo ai lavoratori della ricostruzione”.

Nonostante le difficoltà, però, gli aquilani hanno cercato di riprendere in mano la propria vita. Ne è un esempio la gestione della Tenda amica del Progetto Case di Bazzano a pochi chilometri dall’Aquila. Edificata dalla Protezione civile all’indomani del terremoto per assistere la popolazione, è diventata a poco a poco un polo di attrazione sociale, ed è stata mantenuta attiva. “La tenda ha rappresentato la possibiiltà di superare, grazie alla coesione sociale, la spersonalizzazione di abitare in un luogo che non era sentito come proprio”, si legge nel reportage “Una tenda per amico”.

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“Ricostruire un paese è ricostruire una parte della nostra anima. Nel farlo, alcune ferite si rimarginano, altre lasceranno per sempre il segno”. La ricerca della normalità, ancora lontana, è raccontata nel reportage “Menti spezzate” in cui vengono anche riportati i dati sui casi di depressione grave (cresciuti del 70% a causa della sindrome da stress post traumatico) e sui disturbi lievi (aumentati dell’80%), spesso fatali, in particolare per le persone anziane. “Credere di poter vivere e morire in quella casa, in quel posto che non era solo una struttura architettonica, ma il nido che conteneva delle abitudini che sono state spezzate e ancora oggi non ritornano”. In questo senso, il progetto “L’Aquila, frammenti di memoria” vuole dare un contributo di speranza per la riappropriazione di luoghi, spazi ed emozioni, con lo sguardo rivolto verso il futuro, quel futuro di cui “la maggior parte degli aquilani ha nostalgia”.

“L’Aquila, frammenti di memoria” è composta da una mostra di fotografia e testi, una dark room per l’ascolto dei reportage radiofonici, proiezioni video. Dal 15 al 19 aprile, l’installazione sarà presentata a Perugia al Festival internazionale del giornalismo (Centro espositivo Rocca Paolina, piazza Italia, 11). Dal 5 al 12 aprile, i radio documentari sarano trasmessi su Radio Rai 3 all’interno delle trasmissioni “Zazà” e “Tre soldi”. (lp)

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