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Cartabellotta (Gimbe): "Il Servizio sanitario Nazionale è in codice rosso nell'indifferenza"

Il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta ha denunciato la crisi di sostenibilità del Servizio sanitario Nazionale che sta raggiungendo il punto di non ritorno

Cartabellotta (Gimbe): "Il Servizio sanitario Nazionale è in codice rosso nell'indifferenza"

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28 Marzo 2023 - 19.14


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Servizio sanitario nazionale, siamo ai titoli di coda? «La crisi di sostenibilità del Servizio sanitario Nazionale sta raggiungendo il punto di non ritorno tra l’indifferenza di tutti i Governi che negli ultimi 15 anni, oltre a tagliare o non investire in sanità, sono stati incapaci di attuare riforme coraggiose per garantire il diritto alla tutela della salute. Con l’aggravante di ignorare tre incontrovertibili certezze: la sanità pubblica è una conquista sociale irrinunciabile e un pilastro della nostra democrazia, il livello di salute e benessere della popolazione condiziona la crescita economica del Paese e, infine, la perdita di un Ssn universalistico porterà a un disastro sanitario, sociale ed economico senza precedenti».

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Lo dichiara in una nota il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta.

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L’emergenza Covid-19, si legge nella nota della Fondazione Gimbe, ha ulteriormente indebolito il Ssn, specialmente sul fronte del personale e il netto aumento del finanziamento pubblico negli ultimi anni è stato interamente assorbito dall’emergenza, tanto che ora le regioni rischiano di tagliare i servizi. Senza contare che il Ddl sull’autonomia differenziata potrebbe dare il colpo di grazia al Ssn.

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«E se durante la fase più drammatica dell’emergenza- sottolinea il presidente- tutte le forze politiche convergevano sulla necessità di potenziare la sanità pubblica, ben presto è ritornata nell’oblio. E i professionisti sanitari continuano ad essere ringraziati solo con la retorica degli eroi».

«Oggi i pazienti- tiene a precisare Cartabellotta- vivono ogni giorno le conseguenze di un Ssn ormai in codice rosso per la coesistenza di varie malattie: imponente sotto-finanziamento, carenza di personale per assenza di investimenti, mancata programmazione e crescente demotivazione, incapacità di ridurre le diseguaglianze, modelli organizzativi obsoleti e inesorabile avanzata del privato. Un Ssn gravemente malato che costringe i pazienti ad attese infinite, migrazione sanitaria, spese ingenti, sino alla rinuncia alle cure».

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Il ritardo delle prestazioni sanitarie accumulato durante la pandemia ha determinato un ulteriore allungamento delle liste di attesa che le regioni non riescono a smaltire nonostante le risorse stanziate dal Governo. «Così le persone sono costrette a rivolgersi al privato se ne hanno le possibilità economiche- spiega Cartabellotta- oppure attendere gli inaccettabili tempi di attesa delle strutture pubbliche sino a rinunciare alle prestazioni, con conseguenze imprevedibili sulla loro salute». Secondo una recente audizione dell’Istat, la quota di persone che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie è passata dal 6,3% nel 2019 al 9,6% nel 2020, sino all’11,1% nel 2021. E se nel 2022 le stime attesterebbero un recupero con una riduzione al 7%, l’ostacolo principale rimangono le lunghe liste di attesa (4,2%) rispetto alle rinunce per motivi economici (3,2%).

Nel 2021 la spesa sanitaria in Italia ha raggiunto i 168 miliardi di euro, di cui 127 miliardi di euro di spesa pubblica (75,6%), 36,5 miliardi di euro (21,8%) a carico delle famiglie e 4,5 miliardi di euro (2,7%) sostenuti da fondi sanitari e assicurazioni (dati Istat). Secondo il recente Rapporto Crea Sanità nel 2021 la spesa privata è in media 1.734 euro per nucleo familiare, ovvero il 5,7% dei consumi totali. E nel 2020 oltre 600mila famiglie hanno dovuto sostenere spese `catastrofiche´, ovvero insostenibili rispetto ai budget, e quasi 380mila famiglie si sono impoverite per spese sanitarie, in particolare nelle Regioni meridionali. «La chiave di lettura- chiosa Cartabellotta- è chiarissima: la politica si è sbarazzata di una consistente quota di spesa pubblica per la sanità, scaricando oneri iniqui sui bilanci delle famiglie».

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Spiega il presidente della Fondazione Gimbe che «il monitoraggio del ministero della Salute sugli adempimenti ai Livelli essenziali di assistenza (Lea) documenta enormi diseguaglianze regionali, con un gap nord-sud ormai incolmabile, che rende la `questione meridionale´ in sanità una priorità sociale ed economica». Infatti, guardando ai punteggi Lea nel decennio 2010-2019, tra le prime 10 regioni, solo due sono del centro (Umbria e Marche) e nessuna del sud. Nel 2020 solo 11 regioni risultano adempienti ai Lea, di cui solo la Puglia al sud. Eccetto Basilicata e Sardegna, sono in Piano di rientro tutte le regioni del centro-sud, con Calabria e Molise commissariate. E nel 2020 Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto attraggono il 94,1% della mobilità sanitaria.

«Esistono poi- afferma Cartabellotta- altre diseguaglianze meno note: tra aree urbane e rurali, tra uomini e donne, oltre che correlate al grado di istruzione e di reddito. Ovvero, il Ssn garantisce una `salute diseguale´ che si riflette anche sugli anni di vita perduti».

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Infatti, il recente report dell’Eurostat documenta che in Italia si vive più a lungo nelle regioni del centro-nord, con la provincia autonoma di Trento in testa (84,2 anni), rispetto a quelle del sud, con la Campania fanalino di coda (80,9 anni). «Un inaccettabile gap di oltre 3,3 anni- commenta Cartabellotta- che dimostra come la qualità dei servizi sanitari regionali produca effetti evidenti sull’aspettativa di vita, vanificando quel vantaggio che le regioni meridionali avevano conquistato nei decenni scorsi grazie a favorevoli condizioni ambientali e climatiche e alla dieta mediterranea».

L’ultimo aggiornamento dei Lea risale al gennaio 2017, ma per mancanza di risorse non è mai stato approvato il cd `Decreto Tariffe´, relativo a specialistica ambulatoriale e protesica. «Di conseguenza- puntualizza- innovazioni quali la procreazione medicalmente assistita, lo screening neonatale esteso, ausili e dispositivi all’avanguardia come apparecchi acustici digitali, protesi di ultima generazione o carrozzine basculanti, oggi possono essere erogate solo dalle regioni non in Piano di rientro con risorse proprie, generando ulteriori diseguaglianze e tenendo in ostaggio i diritti dei pazienti. Intanto, il `continuo aggiornamento dei Lea al fine di mantenerli allineati all’evoluzione delle conoscenze scientifiche´ rimane solo un vuoto slogan, visto che i Lea non vengono aggiornati da oltre 6 anni, rendendo numerose innovazioni diagnostico-terapeutiche inaccessibili a tutti i pazienti che ne avrebbero diritto».

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L’annuario statistico del Ssn pubblicato il 23 marzo restituisce l’entità dell’offerta delle strutture sanitarie private accreditate, ovvero rimborsate con il denaro pubblico. Nel 2021 risultano private accreditate: il 48,6% delle strutture ospedaliere (995), il 60,4% di quelle di specialistica ambulatoriale (8.778), l’84% di quelle deputate all’assistenza residenziale (7.984) e il 71,3% di quelle semiresidenziali (3.005), ovvero le due tipologie di Rsa, il 78,2% di quelle riabilitative (1.154).

«E’ necessario un repentino cambio di rotta- conclude Cartabellotta- indicato dalla Fondazione Gimbe con il `Piano di rilancio del Servizio sanitario nazionale´ che sarà presentato a Bologna il 31 marzo, in occasione della 15esima Conferenza Nazionale».

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